Laicità - Quale influenza ha avuto il cristianesimo nel diffondere e consolidare nel tempo il modello sociale della donna inferiore, succube e senza parola?
Stefania Friggeri Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2009
A pag. 207 di “ Inchiesta sul Cristianesimo” (di Augias e Cacitti) ci si chiede: “quando il cristianesimo diventa religione di Stato, l’annuncio del Vangelo aiuta a cambiare le leggi che riguardano la posizione della donna, la sessualità, la famiglia?”. Ci si chiede insomma quale influenza abbia avuto il cristianesimo nel diffondere e consolidare nel tempo il modello sociale della donna inferiore, succube e senza parola. Secondo il prof. Cacitti la visione che i Padri della Chiesa avevano della donna, una visione contraria al femminile e in alcuni casi sintomo di vera e propria misoginia, “risponde ai criteri ordinari e abitudinari della società classica nonché giudaica”. “A ciò bisogna aggiungere l’influenza di una particolare lettura della Genesi” di cui la Bibbia riporta due diverse lezioni (ma chi lo sa? gli italiani non conoscono la Bibbia): in una versione “Dio plasma dal fango un’entità che è insieme maschile e femminile…Donna e uomo, dunque, godono di pari dignità”; nell’altra, quella della costola, la donna,“subordinata all’uomo cui deve la vita”, appare “più lontana dal modello divino”. A dire il vero Adamo, quando cede ad Eva, si dimostra ben più debole di lei che era stata tentata da Satana in persona e aveva peccato spinta dal desiderio, molto apprezzabile, di conoscenza. Ma questa interpretazione non diventa quella prevalente e, anche se nel Vangelo di Giovanni il Cristo risorto appare per primo alla Maddalena, col tempo la figura femminile rientra nei canoni tradizionali; anzi “si arriva al punto di incolpare Eva, e con lei ogni donna e il femminile, di essere l’autentica ‘ianua diaboli’, la porta (ianua) attraverso la quale il male ha fatto irruzione nel mondo”. Non è un caso infatti che Satana sia rappresentato dal serpente, ovvero dal simbolo del membro virile, incarnazione animale dell’istinto sessuale, serpe immondo che viene schiacciato coi piedi dalla casta Maria. Mentre Eva, libidinosa e peccatrice, diventa l’emblema della donna seduttrice da cui il maschio, ammaestrato dalla sorte sventurata di Adamo, deve difendersi; e lo può fare solo in due modi: il più drastico, e praticato di rado anche nel cristianesimo primitivo, è la castrazione, un espediente che dice quanto indomabile sia sentito da alcuni il desiderio della donna; l’altro espediente, proposto ancora oggi, è quello di mutilare e reprimere la donna attraverso la figura della casta Maria. Figura asessuata, sempre vergine, modello ideale per legittimare il controllo sul corpo e sulla vita delle donne, a partire dalla famiglia, dal clan, con la complicità delle donne stesse che, vittime dell’educazione familiare, religiosa e del condizionamento sociale, ne introiettano la figura e la trasmettono alle figlie. Da ultimo va poi aggiunto che ha contribuito al consolidamento della disistima e della insignificanza sociale delle donne il dualismo culturale che sta a fondamento del cristianesimo: il vivere l’anima e il corpo come divisi e nemici, (svalutando il corpo, e dunque il sesso, a favore della vita spirituale), il negare valore alla vita terrena, (proiettando l’esistenza umana nella conquista della vita eterna); questa visione dualistica del mondo che, svalutando la corporeità, ha svalutato contemporaneamente anche l’immagine la donna, esprime una filosofia della vita che urta contro un dato di natura ineliminabile: nella specie umana la conservazione della specie viene garantita attraverso un elemento molto efficace, quasi una ingegnosa trovata della selezione naturale: la ricerca del piacere. Un impulso istintivo e indomabile di cui i padri del cristianesimo devono essersi sentiti tanto più colpevoli quanto più lo avvertivano misterioso ed incontrollabile. E la donna, l’essere misterioso il cui ciclo la lega alla luna, il cui vaso perde sangue quando non accoglie un bambino, rappresentava in quel mondo arcaico il capro espiatorio ideale, come lo rappresenta tuttora nelle società intrise di senso del magico ed analfabete dal punto di vista scientifico. La casta Maria dunque deve dire: “non lo fo per piacer mio ma per dar dei figli a Dio”; la donna che prova piacere, invece è figlia di Eva, è colpevole e peccatrice. Quanto grave per la salute dell’anima sia il piacere che offre la vita sessuale ce lo dice S. Girolamo “ E’ adultero chi ama troppo ardentemente la moglie…L’uomo saggio deve amare con giudizio non con passione”, oppure S. Gregorio: “Il piacere non può mai essere senza peccato…nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre”; ma nella “Mulieris dignitatem” papa Wojtyla non si esprime molto diversamente: “ ciascun uomo deve guardare dentro di sé e vedere se colei che gli è affidata (sic!) come sorella nella stessa umanità, come sposa, non sia diventata nel suo cuore oggetto di adulterio”. Una domanda: una religione basata su queste premesse può avere un rapporto sano con la sessualità?
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