Chiese - “anche se predicano l'uguaglianza, le religioni attribuiscono ruoli diversi ai generi e conferiscono superiorità agli uomini. Sono dunque responsabili dei pregiudizi, degli stereotipi, delle discriminazioni”. E delle violenze
Giancarla Codrignani Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2008
L'Italia, più di altri paesi, rischia molto a causa di radicati pregiudizi che confondono la fenomenologia religiosa con la sostanza di qualunque "fede", anche laica. Il salto nel terzo millennio comporta i rischi di ogni passaggio "in avanti" e la tentazione di confondere la retromarcia con l'acceleratore è dietro l'angolo. La memoria del passato, infatti, è fondamentale, ma non per ritorni nostalgici.
L'antropologia ha insegnato che anche i valori viaggiano con la storia: le aspirazioni umane restano alte nel cuore umano, ma si evolvono e ci aspettano su mete ancora lontane. Il senso del "sacro", tuttavia, persiste e spesso inquina le religioni, i cui messaggi fondativi sono di ben altro significato.
Gli antichi Greci e Romani, per aver simboleggiato il divino nelle forme umane, si sono sottratti a molti rischi del monoteismo, mentre l'ebraismo, che riconosce un Dio unico creatore che non vuole essere conosciuto né nominato "invano" e che richiama gli umani a preoccuparsi non di lui, ma della rettitudine del proprio agire, ha avuto la presunzione di conoscerne la Legge, di avere una casta sacerdotale che la interpretava per tutti e rendeva temibile la divinità. Politeisti e monoteisti hanno trasmesso una "sacralità" patriarcale, connotata da tabù sessisti che mortificano il femminile. E hanno dato alle religioni il connotato del potere.
Il Cristianesimo ricondusse il divino ebraico ad una storia da vivere in termini universali e ridusse la legge ai due comandamenti dell'amore: per Dio e per il prossimo. Nacque, dunque, come religione depurata sia dal sacro antropologico, sia dalla logica del potere. L'inevitabile necessità di darsi un'organizzazione ha limitato la libertà della fede.
L'Islam, che completa la triade dei monoteismi, pur libero da centralismi vaticani, ha ripreso il valore autoritario della legge divina, inchiodando all'obbedienza la responsabilità individuale e ribadendo l'inferiorità della donna.
Nel terzo millennio dell'avanzamento cognitivo che ha portato le scienze ad avanzare in ogni direzione, dal macrocosmo dell'universo al microcosmo della cellula, le religioni sono ragionevolmente a rischio. Ma la complessità delle stesse innovazioni tecnologiche mette in crisi le ipotesi etiche e suscita paure, anche inconsapevoli, che comportano il recupero del bisogno di certezze a sostegno della difficoltà di dare senso alla vita. Torna, cioè, il bisogno del "sacro": folle vanno a Medjugorie o a vedere la mummia di padre Pio, come se la preghiera o il miracolo fossero condizionate non dalla fede, ma dalla suggestione dei luoghi. E torna per le chiese la tentazione del potere, come se la verità, anche quando ritenuta coincidente con il divino, non fosse ricerca comune. E torna il conflitto fra le religioni, come se il divino non stesse al di là dei nomi con cui donne e uomini lo chiamano nelle diverse fedi.
La laicità persiste ad essere, dunque, una pratica difficile. Per antica tradizione le donne sono ritenute più spiritualmente vicine al sentire religioso e, anche nel giudizio politico moderno, più influenzabili dal monito ecclesiastico.
Il che è vero e non vero insieme. Come genere più compenetrato dalla responsabilità di produrre la vita, una vita destinata prima o poi al dolore e alla morte, le donne sono più sensibili ai valori simbolici che si possono confondere con ritualità talora autentiche, talora conformiste se non superstiziose. Tuttavia la percezione che le chiese temano così tanto il "potere" riproduttivo da porre le donne sotto la tutela di norme scritte e non scritte ha insegnato loro una laicità "di genere".
Qualche anno fa, al Parlamento europeo, è stata approvata una risoluzione (n.1464 del 2005) su ‘Donne e religione in Europa’, in cui si riconosce che ‘la maggior parte delle donne in un modo o in un altro, è presa di mira dalle posizioni delle differenti religioni direttamente o tramite la loro tradizionale influenza sullo Stato...’ per questo ‘i diritti delle donne sono spesso limitati e disprezzati in nome della religione’. Anche se predicano l'uguaglianza, le religioni attribuiscono ruoli diversi ai generi e conferiscono superiorità agli uomini. Sono dunque responsabili dei pregiudizi, degli stereotipi, delle discriminazioni; e anche delle violenze che vanno dai femminicidi, alle mutilazioni genitali, ai matrimoni forzati - soprattutto in paesi del Sud - ma anche a quella cultura di sottomissione che considera esclusivo il "ruolo" di moglie e di madre. Bisogna, dunque, ‘garantire la separazione necessaria tra la Chiesa e lo Stato, affinché le donne non siano sottomesse a politiche o leggi ispirate dalla religione (per esempio nel campo della famiglia, del divorzio e delle leggi contro l'aborto’.
Il voto femminile per i referendum sul divorzio e l'aborto hanno confermato nella storia il "genere della laicità" delle donne. Una risorsa, come si dice sempre del nostro genere. Anche in questo campo finora sprecata.
Donne e religione in Europa
Risoluzione 1464 (2005)
1. La religione continua a giocare un ruolo importante nella vita di molte donne europee. D’altra parte, siano esse credenti o no, la maggior parte delle donne in un modo o nell’altro è presa di mira dalla posizione delle differenti religioni riguardo alle donne, o direttamente o tramite la loro tradizionale influenza sullo Stato.
2. Questa influenza raramente è inoffensiva: i diritti delle donne sono spesso limitati o disprezzati in nome della religione. Per quanto la maggior parte delle religioni predichi l’uguaglianza tra uomini e donne davanti a Dio, esse attribuiscono loro ruoli diversi sulla terra. Degli stereotipi di genere motivati da credenze religiose hanno conferito agli uomini un sentimento di superiorità che è sfociato in un trattamento discriminante sulle donne da parte degli uomini, spinto sino al ricorso alla violenza.
3. A un’estremità della scala figurano le violazioni più gravi dei diritti fondamentali delle donne, come i pretesi “delitti d’onore”, i matrimoni forzati, le mutilazioni genitali femminili, che – benché ancora rare in Europa – sono in aumento dentro certe comunità.
4. All’altro estremo della scala, si osservano forme più sottili e meno clamorose di intolleranza e discriminazione che sono molto più diffuse in Europa – e che possono essere altrettanto efficaci ai fini della sottomissione della donna, come il rifiuto di mettere in discussione una cultura patriarcale che considera il ruolo di sposa, di madre e di angelo del focolare come modello ideale e rifiuta di adottare misure positive a favore delle donne (per esempio nel quadro delle elezioni politiche).
5. Tutte le donne che vivono negli Stati membri del Consiglio d’Europa hanno diritto all’uguaglianza e alla dignità in ogni ambito della vita. La libertà di religione non può essere accettata come pretesto per giustificare le violazioni dei diritti delle donne, siano esse palesi o subdole, legali o illegali, praticate con o senza il consenso teorico delle vittime: le donne.
6. E’ compito degli Stati membri del Consiglio d’Europa proteggere le donne contro le violazioni dei loro diritti in nome della religione, e promuovere e mettere pienamente in atto la parità dei sessi. Gli Stati non devono accettare alcun relativismo culturale o religioso in materia di diritti fondamentali delle donne. Essi non devono accettare né giustificare la discriminazione e la disuguaglianza che colpiscono le donne per ragioni quali la differenziazione fisica o biologica fondata su, o attribuita alla, religione. Essi devono lottare contro gli stereotipi sul ruolo delle donne e degli uomini motivati da credenze religiose, e ciò fin dalla più giovane età, comprendendo anche la scuola.
7. L’Assemblea parlamentare esorta dunque gli Stati membri del Consiglio d’Europa a:
7.1 proteggere pienamente tutte le donne che vivono sul loro territorio contro ogni violazione dei loro diritti fondata sulla o attribuita alla religione:
7.1.1 mettendo in vigore e applicando politiche specifiche miranti a lottare efficacemente contro ogni violazione del diritto delle donne alla vita, all’integrità fisica, alla libera circolazione e alla libera scelta del partner, a cominciare dai pretesi delitti d’onore, i matrimoni forzati e le mutilazioni genitali femminili, dovunque queste violazioni siano commesse e chiunque le abbia compiute, e qualunque sia la loro giustificazione, indipendentemente dal consenso teorico della vittima; il che significa che la libertà di religione trova i suoi limiti nei diritti della persona umana;
7.1.2 rifiutando di riconoscere i codici di famiglia stranieri e le leggi relative allo statuto personale che violino i diritti delle donne, cessando di applicarli sul proprio suolo, rinegoziando, se necessario, dei trattati bilaterali;
7.2 prendere posizione, specialmente in seno a istanze internazionali come le Nazioni Unite, l’UIP e altre contro la violazione dei diritti fondamentali delle donne giustificate dal relativismo religioso o culturale dovunque nel mondo;
7. 3 garantire la separazione necessaria tra la Chiesa e lo Stato affinché le donne non siano sottomesse a politiche o leggi ispirate dalla religione (per esempio nel campo della famiglia, del divorzio e delle leggi contro l’aborto);
7.4 vigilare affinché la libertà di religione ed il rispetto della cultura non siano accolte come pretesti per giustificare violazioni dei diritti delle donne, come quando ragazze minorenni sono contrarie a sottomettersi a codici religiosi (compresi codici relativi agli abiti), la loro libertà di circolazione è ostacolata o l’accesso alla contraccezione è loro proibito dalla famiglia o dalla comunità;
7.5 quando l’educazione religiosa è consentita a scuola, vigilare a che il suo insegnamento sia conforme ai principi di eguaglianza dei generi;
7.6 prendere posizione contro ogni dottrina religiosa antidemocratica o non rispettosa dei diritti fondamentali della persona umana, e più particolarmente dei diritti delle donne, e rifiutare di permettere che tali dottrine esercitino un’influenza sulle decisioni politiche;
7.7 incoraggiare in modo attivo il rispetto dei diritti delle donne, la loro uguaglianza e la loro dignità in tutti i campi della vita mediante il dialogo con rappresentanti delle diverse religioni, e operare al fine di realizzare una compiuta parità dei sessi nella società.
Testo adottato dall’Assemblea il 4 ottobre 2005 (26^ seduta)
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