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Creatività etica

Creatività etica

Mode eccentriche - “là dove il fare moda ha aiutato persone (donne soprattutto) carcerate, malate psichiatriche, vittime di mafia, a vivere un presente meno alienante e a ricostruirsi un futuro”

Chessa Pietroboni Paola Martedi, 14/06/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2011

Recupero della dimensione locale, eco sostenibilità, responsabilità: anche nel mondo della moda cresce l’attenzione per le nuove parole d’ordine. Che in realtà, in una versione ‘estrema’ e significativa, sono già state adottate da parecchi anni in diverse regioni italiane, là dove il fare moda ha aiutato persone (donne soprattutto) carcerate, malate psichiatriche, vittime di mafia, a vivere un presente meno alienante e a ricostruirsi un futuro. Si tratta di esperienze fuori dal comune sotto molti punti di vista, alcune delle quali sono state presentate il 6 maggio all’Università Cattolica di Milano, nel corso di un convegno promosso dal Centro per lo studio della moda e della produzione culturale. Il brand Cangiari per esempio, del consorzio MADE IN GOEL che lavora con i beni confiscati alla malavita, produce Alta moda etica artigianale, sotto la tutela dell’imprenditore Santo Versace. Nelle carceri di Lecce e Trani è attiva l’Officina creativa che, recuperando tradizioni e mestieri locali, aiuta i soggetti disagiati a reinserirsi nella società, con il sostegno dei talenti presenti sul territorio. MADE IN CARCERE, il loro marchio. La cooperativa Alice gestisce dal 1992 laboratori di sartoria all’interno del carcere di San Vittore a Milano. Obiettivo: consentire alle detenute un futuro e definitivo inserimento lavorativo. Luisa Della Morte, coordinatrice e responsabile, spiega: “Dopo aver fatto i conto terzisti per una ventina d’anni ci siamo sentiti abbastanza forti per il salto di qualità: un nostro marchio e un nostro negozio. Da luglio avremo anche una collezione di abiti da sposa”. Li aiuta da tempo una stilista. Ecolab, sempre a San Vittore, ha creato con Alice il marchio I Gatti Galeotti. Il presidente Massimo D’Angelo dice: “Più del lavoro per noi conta la persona. Tutti i prodotti che realizziamo sono di qualità molto alta perché vogliamo che il livello di competenza professionale raggiunto sia tale da consentire poi una vera autonomia”. I docenti vengono dal mondo imprenditoriale: Armani ha mandato il suo responsabile; Lega Ambiente ha parlato d’impatto ambientale. Aggiunge D’Angelo: “Dato che abbiamo cominciato con un prodotto di pelletteria, si è deciso di usare materiale riciclato, come quello degli striscioni pubblicitari, per limitare l’inquinamento. Ogni borsa quindi è diversa dall’altra. Prima sembrava una pazzia. Oggi chi acquista è contento di poter scegliere la ‘sua’ borsa, un pezzo unico. Ma la cosa davvero importante alla fine è quante persone in questi 10 anni abbiamo riqualificato. La recidiva, il ritorno dietro le sbarre, che normalmente è del 68%, si è abbassata radicalmente”. Oggi c’è anche un nuovo locale, un’officina con tre vetrine su strada. Essere visibili per il quartiere, spiega D’Angelo, è importante per vincere la diffidenza dei meno sensibili. Altra esperienza: nel carcere di Torino è nato, con l’aiuto di un ‘naso’ famoso, Laura Tonatto, il profumo Fumne (donne). Le carcerate che frequentano il laboratorio, racconta Monica Cristina Gallo, responsabile de lacasadipinocchio, associazione culturale di riferimento, hanno un totale rifiuto delle regole, una ribellione innata. Ma se si riesce a veicolare tutto questo in maniera creativa, si producono ottimi risultati, non devianza. Una domanda allora: perché le istituzioni non fanno di più? Perché non si pensa per esempio a un’esenzione fiscale per le attività di utilità sociale?



Presto sarà in libreria il volume Creative Evasioni. Manifatture di moda in carcere curato da Carla Lunghi.

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