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Costanza Miriano a Cesena...quello che avrei voluto dire...

Costanza Miriano a Cesena...quello che avrei voluto dire...

L'autrice di "Sposati e sii sottomessa" è stata ospite il 26 Marzo della Diocesi di Cesena e ciò ha stimolato la riflessione, oltre che di alcune associazioni LGBTI, di una delle Donne di UDI Forlì

Martedi, 07/04/2015 -
Il 26 marzo 2015 è stata ospite di uno degli incontri “Dialogando con la città”, organizzati dalla Diocesi di Cesena, Costanza Miriano, giornalista di Rai Vaticano, blogger, collaboratrice de “La Croce” ma più conosciuta come autrice del libro “Sposati e sii sottomessa”.

Sono consapevole che l'invito da parte della Diocesi cesenate le sia stato rivolto anche e soprattutto in quanto fervente cattolica, attualmente allineata con il raggruppamento delle 'Sentinelle in piedi', ma non posso far finta di non sapere che buona parte del suo successo Le derivi proprio dal libro.

In Spagna, il libro ha suscitato grandi polemiche ed è stato, anzi, grazie soprattutto al clamore ivi scatenatosi che in Italia il libro è salito alla ribalta ed agli onori della cronaca, godendo di un inaspettato successo e di una seconda edizione. In Italia però, come di consueto, non siamo abbastanza attenti o critici per cogliere quanto in Spagna è invece apparso lampante, al punto da spingere alcuni a richiedere il ritiro del volume dalle librerie, ma soprattutto da portare alcune esponenti del Partito Popolare (decisamente cattolico e conservatore) a manifestare apertamente il proprio dissenso nei confronti del libro stesso. Infatti -come giustamente scriveva Andrea De Benedetti nel dicembre 2013 su Donnaeuropa: “in un paese [la Spagna, nda] che ha maturato, ben prima dell’Italia, la dolorosa consapevolezza del dramma della violenza di genere, il pamphlet è suonato fin dal titolo quasi come un’istigazione a delinquere, come un richiamo colpevolizzante a quell’antica e 'virtuosa' omertà femminile al riparo della quale, nei secoli, gli uomini hanno potuto disporre del corpo e della vita delle donne come fossero di loro esclusiva pertinenza”.

A mio parere, la scelta di un tale titolo (che non è stata fatta a caso) è particolarmente offensiva e preoccupante, prima ancora dei contenuti esposti o delle idee di cui la Miriano si è fatta portavoce.

L'autrice (che sottomessa di certo non è) sostiene infatti in diverse interviste di non farne una questione di parità tra uomo e donna (o “di chi lava i piatti in casa” come si esprime lei) quanto piuttosto di voler dare voce a quelle donne che vogliono tornare a “fare spazio” (agli uomini?) e che “preferirebbero essere a casa a preparare la merenda ai loro bambini (piuttosto che in ufficio alle 5 del pomeriggio)”. La motivazione profonda che, a quanto emerge scorrendo il libro, giustificherebbe queste scelte (che se fatte a livello personale ed individuale non possono essere sindacate) è che uomo e donna sono “irreparabilmente diversi”: l'uomo infatti deve “incarnare la guida, la regola, l’autorevolezza” mentre “la donna deve uscire dalla logica dell’emancipazione e riabbracciare con gioia il ruolo dell’accoglienza e del servizio”, perchè “troppe donne (...) non hanno capito il segreto dell’accoglienza e poi della sottomissione, dell’obbedienza come atto di generosità”. E, per illustrare questa irreparabile differenza, l'autrice infarcisce la sua prosa di alcuni tra i più banali luoghi comuni (l'uomo sa “leggere la storia dipanando fili misteriosi di complotti sovranazionali, ma (è) disabile alla memorizzazione di vicende esistenzial-sentimentali”).

Il problema quindi, dal mio punto di vista, non è tanto che l'autrice ci propini un ritorno -cattolico e per nulla nuovo- della donna a fare la mamma e ad accudire la famiglia, quanto il fatto che -fra le righe o esplicitamente- ella delinei una definizione di ruoli in cui uomo e donna dovrebbero necessariamente riconoscersi. Qui sta il tasto dolente ma anche –evidentemente - il legame che si è stretto con le 'Sentinelle in piedi' e con tutta la campagna comunicativa in atto contro un'ipotetica 'ideologia gender' che si starebbe insinuando nelle nostre vite. Tralasciando però questo ultimo punto, mi limiterò a guardare la cosa da un punto di vista emancipazionista e femminista.

La pari dignità, che pure la Miriano dice di non intaccare minimamente, non può essere garantita nel momento in cui si viene incasellati in ruoli predefiniti e quanto mai stereotipi. Non è forse una conquista per gli uomini (e per le rispettive compagne) aver potuto svelare a se stessi e ad altri l'attitudine all'accudimento dei cuccioli, essersi rivendicati uno spazio maggiore con i bambini sia dal punto di vista dei tempi sia, soprattutto, dei sentimenti e delle emozioni? Non siamo forse così padri e madri migliori? Non è forse una conquista poter equamente gestire la vita domestica e familiare in modo che, quando si decide di 'passare il resto della vita insieme' lo si faccia condividendo un progetto e le annesse fatiche e responsabilità? La delineazione, per la donna, di un ruolo materno, accogliente, accudente e che 'fa spazio' al proprio uomo invece di “volerlo cambiare e renderlo simile a sé” (questa la colpa delle donne di oggi secondo l'autrice) implica un suo 'ritiro' nella sfera domestica, intima, privata e personale che fa spazio –appunto– all'uomo nella sfera decisionale e pubblica.

Così buttiamo nel secchio anni di riflessione teorica (non solo femminista), in cui si è cercato di rivendicare pari valore e pari diritti, a prescindere dalle differenze, e in cui si è cercato di portare avanti un discorso di pari opportunità, proprio perché non ci fosse più un 'secondo sesso' che doveva 'farsi uomo' (alla Simone de Beauvoir) per poter godere degli stessi diritti. Di colpo veniamo riportati ad una dimensione nella quale il fatto che uomo e donna siano diversi non significa più semplicemente che non sono uguali ma stabilisce un primato: uomo e donna sono irreparabilmente diversi, quindi sposati e sottomettiti!

Questo è quello che il titolo suggerisce e che, comunque, al di là delle intenzioni dichiarate dall'autrice, può derivare ad un lettore/lettrice, che non è nella testa di lei e che non ha la sua esperienza di vita di donna libera e realizzata.

Quello che la Miriano finge di non sapere infatti è che il richiamo all'accoglienza che lei, da cattolica, fa -e che potrebbe essere condivisibile in un'ottica, appunto, religiosa- nulla c'entra con la 'sottomissione'... soprattutto se questa viene richiamata dopo il verbo 'sposarsi'. Perché questo ci fa tornare ad un passato in cui le donne non avevano indipendenza economica, non avevano riconoscimento giuridico e quindi economico come membro della famiglia, non esercitavano la potestà sui figli, non potevano disporre liberamente del proprio corpo... un passato in cui il sesso matrimoniale veniva comunque considerato consensuale anche quando tale non era, perché la donna doveva soddisfare l'uomo, sottomettersi –appunto!- ai suoi 'bisogni naturali'.

I ruoli che la Miriano delinea sono stantii, vecchi e connessi ad una realtà che dovrebbe essere ormai diversa dalla nostra; sono palesemente offensivi e limitanti per chiunque rivendichi il diritto ad una propria pienezza, o identità (altra parola che oggi purtroppo viene strumentalizzata sempre da parte di certo cattolicesimo oltranzista e conservatore).

Se fatichiamo tanto a vedere riconosciuto il nostro valore, ad avere pari salario, ad avere pari rappresentanza politica, ad avere pari diritti ed opportunità in Italia (prima e di più che in altri Paesi) la colpa è proprio di una cultura che è ancora fortemente permeata da una visione patriarcale, una visione cattolica della donna come 'madre-vergine-madonna' e del fatto che, non appena si è dato inizio al tentativo di demolizione di una certa rappresentazione della donna (nei media, nei libri di scuola ecc.), subito sono arrivati libri come quello della Miriano a fare 'restaurazione'.

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