Benessere/Strumenti - Gli incidenti collaterali e il modo di uscirne
Morselli Gianna Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2006
Il trauma fa innanzitutto parte dell’esperienza individuale di ogni singola persona, quindi è qualcosa di soggettivo: ecco perché quello che costituisce un trauma per una persona, non lo è per un’altra. Forse non tutti abbiamo dovuto sopportare traumi di vasta portata, ma ogni giorno sperimentiamo traumi di minor intensità che, se non vengono elaborati, tendono a intrecciarsi in una rete invisibile capace di condizionarci nel tempo. Se esaminiamo quelli che possono essere i traumi che segnano la nostra mente, come ad esempio una bocciatura, un licenziamento, una separazione o un lutto, ci accorgiamo che nel tempo, questi “incidenti” producono veri e propri effetti collaterali. Ciò che rende pericoloso un vecchio trauma non “digerito”, consiste nel fatto che l’emozione che abbiamo provato allora (ad esempio rabbia o paura) può essere rivissuta nel presente se esiste un elemento in grado di “riattivarla”. Di certo, se non li si affrontano (negandoli, o assumendo farmaci che ce li rendano meno pesanti), i traumi rimangono nel nostro archivio mentale e, quando meno ce lo aspettiamo, rispuntano costringendoci a comportamenti irrazionali e non adeguati al momento che stiamo vivendo. Pensare che non ci resti che convivere con i traumi, accettandone inevitabilmente le conseguenze psicologiche, é uno stereotipo. Al giorno d’oggi le conoscenze sui traumi sono molto più vaste che in passato: sappiamo come si sviluppano, quali effetti hanno a livello mentale, fisico ed emotivo ma, ancora più importante, sappiamo come rendere inoffensivi, in modo permanente, i loro effetti. In questo contesto, una tecnica che allevia il dolore diventa un contributo fondamentale alla crescita personale. Le prime tecniche di gestione nacquero dall’esigenza di gestire gli effetti di due grandi fonti di traumi per l’individuo: la guerra e la violenza domestica. Si tratta di traumi gravi e profondi che furono portati alla luce negli Stati Uniti, a partire dagli anni ’70, tramite gli studi sui veterani del Vietnam e sulle donne vittime di violenza. Fondamentale fu il riconoscimento di una categoria diagnostica ben precisa: il Disturbo Post Traumatico da Stress. Lo psichiatra americano Frank Gerbode e la sua equipe hanno proposto una tecnica, chiamata RIT (Riduzione degli Incidenti Traumatici) e riconosciuta dall’Apa (American Psychological Association) come una delle terapie brevi più efficaci nella gestione dello stress da esperienze traumatiche. Lo psicologo Giovanni Crivellaro, (Certified Trauma Specialist e direttore del Centro di Metapsicologia Applicata di Milano) è il principale sostenitore e divulgatore delle tecniche di RIT e ha già formato i primi facilitatori in Italia nella PTSD (post traumatic stress disordered). RIT non è una terapia in senso tradizionale e non usa l'ipnosi né i farmaci. Favorisce lo sviluppo della consapevolezza nell'individuo, così che possa affrontare in modo più adeguato la vita, libero da condizionamenti dovuti ad eventi spiacevoli che gli sono capitati.
(2 aprile 2006)
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