Cosa sta succedendo al lavoro femminile in America
USA - Tutti negativi i dati dell’occupazione femminile in America. La ripresa non tocca le donne ma secondo Hanna Rosin è in atto una rivoluzione
Cristina Carpinelli Domenica, 11/11/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2012
Dal dicembre 2007 al febbraio 2010 il mercato del lavoro statunitense ha toccato il fondo. Sono, infatti, andati persi oltre 8,5 milioni di posti di lavoro. I più penalizzati sono stati gli uomini. La successiva ripresa del mercato del lavoro è stata debole per entrambi i generi. Tuttavia, gli uomini hanno recuperato un quinto dei posti di lavoro persi mentre le donne meno di un decimo.
Gli uomini e le donne sono generalmente occupati in rami diversi della produzione. All’inizio della recessione (2008), le donne occupavano più della metà dei posti di lavoro dipendente (senza considerare il settore agricolo) nel settore privato. In particolare, rappresentavano il 29% della forza lavoro nel ramo manifatturiero e il 13% della forza lavoro nel ramo dell’edilizia. Proprio in questi due rami dell’economia, ad alta concentrazione di manodopera maschile, la crisi si era fatta particolarmente sentire. Per contrasto, le donne occupavano tre quarti dei posti di lavoro nel ramo dell’istruzione e della sanità pubblica. E mentre nel resto dell’economia, in piena crisi recessiva, i tassi d’occupazione scendevano vertiginosamente, nelle scuole e nei servizi sanitari si registrava un aumento dei posti di lavoro, soprattutto di quelli destinati all’assistenza sanitaria a domicilio o presso case di cura. Il motivo di ciò stava nel fatto che la perdita del lavoro aveva comportato, da un lato, la perdita dell’assicurazione sanitaria pagata dal datore di lavoro, dall’altro, in conseguenza, la necessità d’incrementare sia la spesa federale e statale da devolvere al Medicaid (programma federale sanitario che provvede a fornire aiuti agli individui e alle famiglie con basso reddito salariale), sia le risorse umane da impiegare nel campo della sanità pubblica per attuare il programma federale. Nel settore pubblico, dove le donne già ricoprivano il 57% dei posti di lavoro, si erano, dunque, aggiunti nuovi posti di lavoro. Ciò aveva prodotto, in generale, una minore flessione dell’occupazione femminile rispetto a quella maschile, nonostante fossero andati persi nel corso della crisi economica ben 2,7 milioni di posti di lavoro occupati da maestranze femminili.
Dal secondo trimestre del 2010 l’economia aveva iniziato, pur lentamente, a crescere. L’inversione del trend aveva portato ad una modifica del mercato del lavoro in relazione ai tassi d’occupazione/disoccupazione divisi secondo il genere. Dei posti di lavoro creati a partire dal febbraio 2010, l’81% erano andati agli uomini e il 19% alle donne. Gli uomini avevano occupato nuovi posti di lavoro nel ramo manifatturiero e avevano beneficiato dell’aumento dell’occupazione anche nel ramo edilizio. Non era stato così per le donne. Qui le donne, già sotto rappresentate, avevano continuato a perdere posti di lavoro. All’inizio della recessione, nel settore privato, il 47% della forza lavoro salariata era maschile. Questa negli anni della crisi aveva perso il 59% dei posti di lavoro, guadagnandone, tuttavia, il 66% nel corso della ripresa. Nell’istruzione e sanità pubblica, dove sempre all’inizio della recessione il 23% della manodopera era maschile, il 37% dei nuovi posti di lavoro creati nel 2010 erano stati coperti da uomini. Dunque, benché prima della crisi, nel settore privato, la manodopera femminile fosse rappresentata al 53%, con il rilancio economico le donne avevano costituito solo un terzo di coloro che erano riusciti a entrare di nuovo nel mercato del lavoro.
La tendenza alla discriminazione di genere sul mercato del lavoro si era manifestata soprattutto nel settore pubblico. Dopo aver retto la contrazione economica in confronto ai posti di lavoro persi nel settore privato, in quello pubblico l’occupazione femminile non aveva registrato alcuna espansione in fase di ripresa economica. Anzi vi era stata una perdita di posti di lavoro nelle amministrazioni dei singoli Stati e a livello municipale. Due terzi del calo dell’occupazione nel settore pubblico era da attribuire ai posti di lavoro persi dalle donne, soprattutto nelle scuole e in enti amministrati a livello locale. I dati del dipartimento del Lavoro e quelli di uno studio condotto dal Pew Research Center evidenziano che appena superata la crisi l’80% dei 2,6 milioni di posti di lavoro creati erano stati coperti da uomini. Costoro trovavano con più facilità un lavoro, mentre le donne tendevano a perderlo. E ciò, nonostante il tasso di disoccupazione maschile fosse di 1 punto percentuale superiore a quello femminile, e che il 56% dei disoccupati fossero uomini. Il motivo era che nelle manifatture, epicentro della debole crescita americana, gli uomini costituivano la maggioranza, mentre le donne prevalevano nel settore pubblico che continuava ad essere quello più colpito dai tagli.
A condizionare negativamente il lavoro femminile era stata anche la trasformazione nel ramo del commercio al dettaglio dove dal dicembre 2009 gli uomini avevano occupato nuovi posti di lavoro mentre le donne li avevano persi, producendo nel tempo un’inversione nell’equilibrio di genere: rispetto al tradizionale dominio delle donne in impieghi come commessi o camerieri, oggi dei 14,75 milioni di lavoratori occupati nel commercio al minuto il 51% è composto da uomini. Non migliore era la situazione nella sanità pubblica, dove fino al 2009 gli uomini erano solo il 23% del totale dei dipendenti, pur avendo ottenuto negli ultimi tre anni il 39% dei nuovi posti di lavoro. La forza lavoro maschile tendeva ad imporsi in settori diversi della produzione: dai servizi finanziari alle banche, dall’immobiliare all’istruzione e tempo libero, sebbene fossero ancora mercati a preminente manodopera femminile.
Nel 2009 il governo federale aveva devoluto ai singoli Stati quasi $60 miliardi di sgravi fiscali come parte del pacchetto di stimoli (Recovery and Reinvestment Act) varato affinché i governi locali evitassero di ridurre i posti di lavoro. Eppure, i tagli nel comparto pubblico non erano diminuiti. Gli insegnanti erano stati i più colpiti: i governatori avevano tagliato le spese per l’istruzione pubblica a partire dal 1° luglio 2011 (inizio dell’anno fiscale per la maggior parte degli Stati americani). I governi municipali, di fronte alla cronica carenza di entrate fiscali locali e di fondi trasferiti dallo Stato, erano stati costretti a diminuire servizi e posti di lavoro. Dal 2009, l’80% dei nuovi posti di lavoro era andato agli uomini, complici anche i tagli nel settore pubblico.
Negli ultimi anni il mercato del lavoro americano aveva segnato un’inversione potenziale di tendenza. I lavori che fino a ieri erano definiti “pink-collar”, quali l’insegnamento nelle scuole dell’infanzia o i lavori di segreteria, stavano sempre più trasformandosi in occupazioni “attraenti” anche per il mondo maschile. In più, nel quadro di una lenta ripresa economica, le donne continuavano a non ricevere un trattamento equo rispetto ai colleghi maschi. Ancora oggi percepiscono il 77% per ogni dollaro guadagnato da un uomo, pur rappresentando oltre il 50% della forza lavoro totale e la maggioranza degli studenti universitari.
Questi dati non sono certo confortanti. Ciò nondimeno, una nota giornalista statunitense, Hanna Rosin, è certa che proprio in questi ultimi anni sia accaduta in America la più grande svolta in 200mila anni di storia dell’umanità: “La fine degli uomini (e l’ascesa delle donne)”, che è anche il titolo di un suo libro appena uscito. Secondo la giornalista, le donne dovendosi continuamente adattare alle situazioni più varie, cercando di conciliare più cose insieme, lavorando molte ore senza interruzione, utilizzando, infine, talenti duttili (“intelligenza sociale, empatia, capacità di pensare diciotto cose in una volta, concentrazione in condizioni disagiate e sonnellini in ascensore”), sono riuscite a trasformare la crisi economica a loro sfavorevole in un’opportunità. In più, le donne sono ora disposte a lasciare uomini-parassiti (incapaci di contribuire al bilancio familiare), preferendo arrangiarsi da sole e non soccorrere più mariti e amanti in preda a depressioni esistenziali e professionali. A sostegno della sua tesi, Rosin mostra dei dati: il 60% dei laureati e il 51% della forza lavoro è femminile, il 23% delle mogli guadagna più dei mariti, la metà dei quadri è donna, le ragazze metropolitane guadagnano più dei loro coetanei “Nel mondo le donne dominano gli atenei e le scuole professionali in ogni continente tranne l’Africa. Negli Usa, per due uomini che otterranno il Bachelor of Arts quest’anno, le donne saranno tre. Delle quindici categorie professionali che cresceranno di più negli Stati Uniti nel prossimo decennio, dodici impiegano in prevalenza donne”. La rivoluzione, secondo Hanna Rosin, è, dunque, già in corso.
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