Login Registrati
Cosa significa ‘buono da mangiare’?

Cosa significa ‘buono da mangiare’?

Parliamo di bioetica - Alla scelta del cibo leghiamo la cura del corpo, della terra e delle altre specie

Battaglia Luisella Giovedi, 17/02/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2011

Non esiste forse comportamento più carico di simbolismo di quello alimentare: atto sacrale, momento di socializzazione, espressione culturale ma anche fantasia, emozione, memoria. Parlare di alimentazione è in qualche modo parlare dell’uomo nella sua interiorità, nella sua storia, nella sua religiosità, nella sua identità etico-sociale. L’alimentazione oggi, per la sua stessa complessità, diventa cartina di tornasole per testimoniare costumi, stili di vita, scelte morali, appartenenze, reciproci riconoscimenti, rapporti con il proprio corpo, la terra e le altre specie, consapevolezza di nuovi diritti e di inedite responsabilità. Se è vero che abbiamo superato le due angosce primordiali che ci hanno accompagnato dalla notte dei tempi - trovare cibo e non divenire cibo per gli altri -oggi siamo assaliti da altre paure. Il cibo è ormai ritornato ad essere un problema: l’alimentazione è una questione troppo importante per affidarla ai soli nutrizionisti.

Per questo la bioetica è chiamata in causa.

Edgar Morin ha sottolineato l’inderogabile necessità di tenere nel dovuto conto alcuni fattori fondamentali dello sviluppo, come la qualità della vita contro la dittatura della tecnocrazia, che si basa, invece, sui grandi numeri e sulla quantità. A suo avviso, occorrerebbe disegnare una politica di civiltà, intesa come interesse alle molteplici dimensioni che compongono la vita sociale dai problemi ambientali a quelli relativi alla sfera personale (salute, sofferenza, amore etc.). L’allarme rappresentato dalle pandemie ci ha offerto un esempio assai concreto di tale necessità: è in nome dello stesso diritto alla salute che occorre esigere un’ampia informazione sulla ‘storia’ del nostro cibo, in ogni stadio della catena alimentare, dalla produzione primaria al consumo, sugli ingredienti che esso contiene (obbligo di una chiara etichettatura), sui costi - economici ma anche ecologici - che esso comporta. All’interesse crescente dei cittadini per i problemi della salute e di una sana alimentazione, fa riscontro una progressiva sensibilizzazione per le questioni relative al benessere animale, riguardato non più come un problema di ‘zoofilia’ ma come un problema di etica pubblica. La zootecnia ci ha mostrato, con un sinistro parallelismo, lo strettissimo legame tra le questioni relative alla salute degli animali da carne e quelle relative alla salute dei consumatori.

Da qui il timore, giustificato, che gli allevamenti potrebbero diventare delle vere e proprie bombe biologiche dagli effetti imprevedibili. Ma da qui anche la consapevolezza che, per uscire da tale crisi, in termini di politica di civiltà, occorre intendere la qualità della vita secondo parametri globali, affrontando, finalmente, la ‘questione alimentare’, nel rispetto degli interessi - o, se si vuole, dei diritti - di tutti i soggetti, umani e non umani, coinvolti.

Cosa significa, dunque, buono da mangiare? Il termine evidentemente, ha un duplice significato giacché non riguarda solo ciò che è commestibile, soddisfa il palato, obbedisce a criteri gastronomici e dietetici ma anche, e soprattutto, ciò che esprime le nostre opzioni di valore, corrisponde alla nostra idea di ‘vita buona’ e, insieme, è conforme a determinati requisiti etici di correttezza e di trasparenza della filiera produttiva. Ogni scelta alimentare parla di noi, rivela chi siamo, manifesta i nostri orientamenti, le nostre preferenze ma, nello stesso tempo, sul piano dell’etica pubblica, contribuisce a rafforzare e a consolidare certe politiche di produzione cui, consapevolmente o meno, come consumatori diamo il nostro assenso. Sta a noi ormai, nel quadro di un’etica della responsabilità planetaria, sostenere un utilizzo delle risorse naturali compatibile con il mantenimento delle capacità rigenerative dell'ambiente contro quelle culture che aumentano lo sfruttamento e il degrado del pianeta..

A questa responsabilità ci richiama Jeremy Rifkin, denunciando i ‘costi nascosti’ della cultura della carne. Nel saggio Ecocidio. Ascesa e caduta della cultura della carne, si descrive un mondo in cui una parte considerevole dei cereali viene utilizzata come mangime per rendere la carne bovina più grassa e quindi più gradita ai cittadini delle nazioni ricche - i quali, anche a causa di questo tipo di alimentazione, rischiano infarto, tumore e diabete - ma, insieme, si mette in guardia dai temibili effetti ecologici dell’ampia diffusione del consumo di carne: foreste abbattute, terre fertili trasformate in deserti, minacce di modifiche climatiche devastanti. Opporsi alla cultura della carne, per lo scienziato americano, è avere a cuore la propria salute e il destino del nostro pianeta. È dunque in nome dello stesso diritto alla salute che occorre esigere un’ampia informazione sulla storia del nostro cibo in ogni stadio della catena alimentare, dalla produzione primaria al consumo, sugli ingredienti che esso contiene (obbligo di una chiara etichettatura), sui costi economici ma anche etici ed ecologici che esso comporta.

La questione generale dell’alimentazione dà straordinaria evidenza al conflitto tra ricerca del profitto e tutela del fondamentale diritto alla salute. Una bioetica dell’alimentazione, oltre a riguardare l’individuo in primo luogo come cittadino, coinvolge diversi soggetti (famiglie, scuola, istituzioni, gruppi di interesse, associazioni di consumatori, organizzazioni non governative etc..) per stimolarne la partecipazione attiva alle scelte collettive e promuovere una discussione ad ampio raggio su temi quali la sicurezza e le sue garanzie, la valutazione del rischio, il diritto all’informazione, il principio di precauzione, la libertà di scelta, il ruolo dell’educazione, la qualità della vita, nel quadro di una sempre più ampia democrazia deliberativa. L’emersione di una civiltà del consumatore nasce, oltreché da tali preoccupazioni, dal comune rifiuto che la società diventi un laboratorio sperimentale permanente delle tecnologie, senza che nessuno sia responsabile dei risultati. Si tratta di attivare una riflessione critica sui problemi posti dalle biotecnologie agro-alimentari (sicurezza, impatto ambientale, implicazioni etiche, risvolti giuridici) tale da generare dubbi salutari ma, insieme, da aprire nuovi orizzonti e favorire scelte consapevoli. È appunto quanto si propone la bioetica la quale non deve diventare un luogo per gli ‘addetti ai lavori’ di una particolare scuola di pensiero o disciplina accademica ma essere un campo di ricerche reso comprensibile e accessibile a tutti i cittadini, giacché tutti, individualmente e collettivamente, siamo ormai chiamati a scegliere e a prendere posizione.





Luisella Battaglia

Istituto Italiano di Bioetica

www.istitutobioetica.org





(21 febbraio 2011)

Lascia un Commento

©2019 - NoiDonne - Iscrizione ROC n.33421 del 23 /09/ 2019 - P.IVA 00878931005
Privacy Policy - Cookie Policy | Creazione Siti Internet WebDimension®