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Cosa ci resta di quest'anno che finisce

Cosa ci resta di quest'anno che finisce

Il 2015 ci lascia qualche lezione su cui meditare? Pur tenendo conto delle lezioni passate ... direi di sì...

Mercoledi, 06/01/2016 -
Il 2015 ci lascia qualche lezione su cui meditare? Pur tenendo conto delle lezioni passate - gli esseri umani, piccoli cittadini o sommi governanti, ignorano il verbo "prevenire" - direi di sì. Un richiamo particolare va alle paure che, pur motivate, salgono dall'egoismo della pancia a ottenebrare il cervello e bloccano il normale bisogno di sicurezza a guardare indietro. Sentimento pericoloso in un'epoca di transizioni verso un futuro ancora imprevedibile che mette globalmente a rischio tutto il sistema, ormai così in ritardo sulla corsa della storia da rischiare la guerra.

Anche la democrazia subisce prove che non dovrebbero paralizzarne la navigazione civile, bensì indurci finalmente a correzioni di rotta. Perché l'unico denominatore comune a nord e sud, a est e ovest è che il fondamento della produzione di merci si sposti, con trasformazioni graduali e selettive, a indirizzarsi al benessere umano: se le macchine producono macchine e il lavoro ha cambiato natura, si deve imporre la ricerca di rispondere in modo nuovo ai bisogni che non consistono solo nell'acquisto di cose - e purtroppo di persone - da comperare e vendere, ma in una ricchezza volta a privilegiare in tutti i paesi del mondo quei "bisogni ricchi" a cui forse pensava il giovane Marx e che "producono" cultura, sviluppo delle scienze, educazione, salute, cura dell'ambiente, comunicazioni, quotidianità civile, strategie di pace, insomma lo stare bene insieme e tutti come esseri umani evoluti. Ci vorrà un secolo? intanto è urgente incominciare a pensare per non trovarci in mezzo a disastri e ad esodi non voluti.

Sembra che sia stata già dimenticata la paura dell'attentato di Parigi, poco più di un mese fa. Solo il Papa ne ha allargato la visione riduttiva e Parigi, nel suo discorso di Natale, sta in mezzo a Beirut, Tunisi, Bamako. Come dire che partire a razzo con i bombardamenti - come solo il nostro governo non ha fatto - non serve quando la malattia sta invadendo il corpo e non un unico organo.

Come occidentali dovremmo essere ben consapevoli che il rischio di non tornare a casa la sera non sarà dovuto al terrorismo, ma al mettersi al volante nel traffico.

E' rimasta, invece, la paura per "i nostri soldi", depositati in banche non affidabili: tutti gli italiani sono in possesso almeno della licenza media eppure non si domandavano perché Carige desse un interesse al 12 %, mentre le altre non arrivavano all'1. Purtroppo nemmeno le riforme generali che il PD cerca di portare avanti e che scontano le responsabilità dei governi passati, il sistema bancario internazionale non dà sicurezza: i finanzieri si sono inventato i derivati, i titoli-spazzatura, l'acquisto dei debiti e il fallimento della sola Lehman Bros impedisce di pensare alle conseguenze di un cedimento bancario globale.

Come "lezione" noi italiani forse ricordiamo la vergogna del funerale Casamonica e tutto il degrado di "mafia capitale", oppure RCS venduta a Berlusconi, la crescita esponenziale di "calciopoli", le tenebre politiche evocate dalla morte di Gelli. Resta però l'impressione che ci rassegniamo ad "essere così": mi raccontano che qualche insegnante, ricevuti dal governo i 500 euro per libri, cinema, teatro e aggiornamento (da qualche demente definiti "mancia" o "marchetta") ha acquistato un biglietto al botteghino per rivenderlo: posso pensare all'immiserimento dei precari, ma, se è vero, non mi basta…. Per fortuna molti giovani (i ventenni del 1975 oggi hanno 60 anni) hanno imparato chi era Pasolini , hanno parlato di Pietro Ingrao, forse non di Helmut Schmidt, morto anche lui in novembre a segnare la fine dell'antica socialdemocrazia nordeuropea, disattenta alla crescita di strani, bruttissimi nazionalismi.

La lezione di fondo da decenni resta la stessa: il bisogno di "più Europa". La frammentazione (Catalogna e Scozia), la diseducazione a pensare in grande, la fatica di far crescere dal basso il Movimento Federalista di Altiero Spinelli impediscono di capire il significato della crisi greca e delle difficoltà italiane in un contesto politico-economico disunito che non sa affrontare insieme nemmeno l'accoglienza di rifugiati e di migranti (ma che paura fanno in un continente di 500 milioni di abitanti che può benissimo ospitarne un paio in più), e preferisce avere 28 eserciti costosi e incapaci di una strategia veramente difensiva. Come rendere efficace il positivo intento diplomatica del governo Renzi in Libano e, soprattutto, in Libia senza la garanzia di un' "Europa politica"? Non è facile far capire ai finlandesi o ai danesi che sono anche loro affacciati al Mediterraneo e che il conflitto israelo/palestinese li riguarda direttamente. Ormai nemmeno gli Usa possono fare molto (e sarebbe stato bene che anche ai tempi di Bush avessero tenuro le distanze): le stesse paure populiste invadono parte dei cittadini americani che arrivano a consentire con l'inaccettabile candidato Trump che esalta la permissività delle armi private ereditate dalla guerra di secessione e dallo schiavismo.

Ma la lezione maggiore per noi viene certamente dalle elezioni di dicembre in Francia e in Spagna. Guardando lontano capiamo meglio la nostra situazione: la sinistra francese non è arrivata al ballottaggio, ha dovuto ritirare alcuni candidati e far votare la destra più conveniente pur di evitare Marine Le Pen; mentre la Spagna di Podemos o Ciudadanos ha configurato una società civile non migliore dei vecchi partiti e fa apparire lungimirante la politica italiana di Renzi. Quelli che si vogliono dire "di sinistra" hanno ovunque non solo l'obbligo di riformarsi e di usare meglio le nuove forme comunicative per sentirsi diversi e insieme, ma il dovere di ricordare che il voto non va mai abbandonato (sono gli astenuti che hanno votato il successo di Le Pen al primo round); che le elezioni non sono direttamente i valori, ma la possibilità di "governare"; che i valori storici - dignità di donne e uomini tutti, uguaglianza, libertà, giustizia - ci hanno sempre aspettato più in là; e che la democrazia è per definizione fragile e non la si salva senza difenderla nel contesto dato, mirando non ad avere il 51 %, ma a trovare intese compatibili.



Articolo pubblicato su L'Unità del 28 gennaio 2015

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