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Corpi sospesi / 2 - di Eleonora Massa

Corpi sospesi / 2 - di Eleonora Massa

Oggi abito il mio corpo, prima lo guardavo da fuori...

Lunedi, 08/02/2010 -
Per diversi anni sono stata un corpo sospeso: sospeso tra il voler essere e l‘ignorare chi ero veramente, tra il voler esistere e il non sapere bene come, sospeso tra leggerezza e peso di vivere, e inevitabilmente, di soffrire.

Inizialmente decisi che volevo diventare leggera perché non andavo bene agli altri, e attraverso gli occhi degli altri non andavo bene neanche a me stessa. Così diventai tanto leggera in poco tempo, e gli sguardi degli altri cambiavano. Pensai che era bello e soprattutto pensai di poter rimanere così leggera e immobile per sempre. Mi sbagliavo, eccome.

Dopo il controllo esasperato venne la perdita di ogni raziocinio, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro. Passai anni successivi tra abbuffate compulsive contro cui ero praticamente impotente, contro le quali perdevo sempre, senza sapere più chi ero, né dove volevo andare.

Avevo voluto diventare magra pensando di poter sancire con ciò la mia esistenza al mondo, avevo scelto la via più dolorosa ma al contempo più semplice, se per dire chi siamo basta far vedere come siamo. Quando cominciai a divorare tutto ciò che mi capitava sotto mano o sotto gli occhi gli sguardi di ammirazione cominciarono a farsi compiaciuti, confusi di fronte ad un corpo che cambiava troppo e troppo velocemente. Era bastato poco per perdere tutta la stima faticosamente conquistata.

Per diversi anni ho pensato che la mia vita sarebbe trascorsa così, tra digiuni e abbuffate,tra deliri di onnipotenza e sensi di colpa, in un limbo senza fine. Invece oggi posso dire che mi sbagliavo, per fortuna. Attraverso il dolore del mio disturbo alimentare ho imparato a scoprire chi ero, a capire che non ero un corpo vuoto ma vivente, e che la vita che volevo non era quella che avevo scelto, o che altri e altre circostanze avevano per me scelto. Non è stato facile, non è accaduto dall’oggi al domani, e non ho ancora la presunzione di dire che sia un percorso concluso, semplicemente mi piace pensare di poter scegliere ogni giorno quale strada intraprendere, quella del disturbo alimentare/sociale, o quella dell’essere per vivere. Non c’è una guarigione definitiva credo, ma c’è la possibilità di convivere con un modus operandi interiorizzato che forse rimuovere è obiettivo inverosimile. Io conservo ancora comportamenti, paure, ansie che di tanto in tanto tornano a farsi sentire, è inevitabile. Non credo ci sia un pasto in cui non mi chiedo se ho mangiato troppo o quante calorie ho ingerito, e se diventerò troppo grassa per questo, non credo che potrò mai resettare certi quesiti dal mio cervello, ma ora so conviverci e guardarli con la giusta distanza, e perché no, ironia. Ogni tanto ci sono momenti più difficili, e in quei momenti ho paura. Paura di tornare in balia di me stessa, paura dei giorni più bui che ho trascorso. E forse è proprio lì che penso sarebbe troppo banale mandare all’aria il tanto lavoro fatto per conquistare un piccolo, personale equilibrio. Allora resto immobile e aspetto che l’ombra passi e si allontani, e riprendo il mio cammino. È molto difficile, molto faticoso, ma la paura è altrettanto grande. Da quasi due anni il mio peso non ha subito variazioni considerevoli, e mangio molto più di quando avevo deciso che volevo dimagrire. Vado a correre volentieri e ogni volta che torno mi sento sana, libera e viva. Mi hanno aiutato i miei studi, le mie letture, le mie poesie, i miei viaggi e le conoscenze di altre persone e altri punti di vista sul mondo, tutto ciò mi ha aiutato a ricordare che esistono cose molto più belle e interessanti dei modelli, del conteggio delle calorie, della bilancia. Da quasi due anni non ci sono più salita e non credo lo farò prossimamente. Non mi serve più. Da quando ho smesso di essere un numero sto molto meglio, allora perché dovrei tornare a salirci? Sono un corpo, con un volume proprio di cui non ho bisogno di conoscere ogni minima variazione. E se dovessero essercene di più grandi me ne accorgerei benissimo anche senza la conferma numerica.

Prendendo in prestito le parole di Catia Iori, oggi abito il mio corpo, prima lo guardavo da fuori.



Per concludere ancora due parole: a lungo mi sono chiesta il motivo del mio disturbo alimentare, e mi sono data varie risposte. Ho pensato che fosse colpa della tv, dei giornali, delle modelle alte e magre cui, dicono, dovremmo somigliare, poi che c’entrasse la mia famiglia, che il problema fosse il rapporto con i miei genitori, o ancora che non ci fosse causa alcuna ma si trattasse semplicemente di un triste caso. Oggi credo che ogni risposta sia poco probabile se considerata come unica. Penso piuttosto che ogni disturbo alimentare sia la condensazione di molteplici con-cause, calate sulla personalità del malato di turno.

Però una cosa posso dirla, dal piccolo della mia esperienza: per studio/lavoro mi è capitato e mi capita spesso di trascorrere periodi in Germania, e devo dire che il livello di omologazione e appiattimento femminile riscontrabile in tanti tristi canali e trasmissioni televisive italiane lì non si riscontra. Inizialmente ero incredula perché mancano praticamente del tutto le categorie in -ine da noi tanto gettonate, mancano le gambe accavallate e le bocche mute nelle trasmissioni post-partita di calcio, mancano sederi tondi e sodi a ripetizione. Non vorrei cadere nello stereotipo ma è così. Ci sono invece molte presentatrici che hanno una fisicità comune, nulla di trascendentale. E nei negozi ci sono taglie per tutte, dalla 36 alla 50 per la stragrande maggioranza delle linee di abbigliamento. Insomma si ha l’impressione di poter essere ciò che si è senza dover necessariamente rispondere a un unico modello imposto. E per strada ti accorgi che ci sono molte donne più libere, libere di essere, di vestirsi, di acconciarsi come gli piace senza dover temere sguardi e occhiate deridenti.

Con ciò non voglio né posso dire che il pericolo del disturbo alimentare venga scongiurato, credo però che si tratti di uno dei tanti possibili spunti di riflessione su un desolante stato di cose dei nostri media, ancora pervasi purtroppo da un modello inverosimile e inutile di donna, o utile a un certo tipo di società e di impostazione dei ruoli.

Ma qui inizierei a toccare un ben più vasto argomento, quello della maggiore e ben più generalizzata emancipazione femminile nella società tedesca rispetto a quella italiana. E certamente basterebbe volgere ancora lo sguardo ad altre realtà per renderci conto che siamo rimasti indietro, e non di poco. Se è vero che i modelli propinati non sono i soli imputabili nel processo alle cause di disturbi alimentari, è vero anche che venir circondati da figure fatte di carne e di proporzioni non sempre perfette restituisce un’immagine più veritiera della realtà, fatta di corpi abitati e non di vuote e filiformi sagome.



(8 febbraio 2010)

foto E.R.

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