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Corpi sospesi

Corpi sospesi

Idee - Andare oltre le ossessioni ideali imposte

Iori Catia Lunedi, 08/02/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2010

La ricerca della leggerezza come reazione al peso di vivere.

Di questi tempi, cupi e in parte bui, non c’è pranzo infestato da una rapida allusione alle calorie, né dono che non riecheggi la necessità di un’alimentazione bio, sana, light per riscattarci dei nostri rotolini. Lo sappiamo bene noi donne sempre alle prese con un dilemma che ha a poco a che fare col dimagrire e apparire agili e leggeri, quanto a essere socialmente accettate e quindi ad esistere, con un senso condiviso della vita. Oggi l’atto del mangiare che è poi l’atto apparentemente più banale e più ovvio che uno possa immaginare è diventato un problema che trasforma gli acquirenti in attenti lettori degli ingredienti che compongono un cibo, dove l’incompetenza dei consumatori si trasforma in quell’ansia che toglie la gioia del gusto. Ansia e terrore di ingrassare, ma ancora più ansia che si distribuisce e, polverizzandosi, va a toccare tutte le valenze simboliche che profondamente si radicano in ognuno di noi, riportandoci all’alba del mondo, quando i primi uomini verificavano sulla propria pelle che cosa era commestibile e che cosa no.

Solo che allora il fattore decisivo era l’ignoranza, oggi sembra sia il terrore di ingrassare, di dover dismettere i propri abiti preferiti, di dover evitare o quanto meno soprassedere con un sorriso di circostanza agli sguardi che prima di fissare il nostro volto, scrutano compiaciuti le nostre appena accennate obesità.

Insomma con tutti i problemi che noi donne siamo chiamati ad affrontare non vi sembra spesso un comodo alibi scaricare ogni tensione su un “cibo droga” con tutto il suo corollario di palestre, diete e lassativi?

Non sarà per questo che gli esercizi fusici naufragano nell’incostanza e le diete negli strappi e nelle concessioni, seguiti da atroci sensi di colpa?

In gioco non è la gola ma l’insicurezza circa la propria esistenza che non ha trovato quel centro di gravità permanente a cui ancorarsi.

Non è negando noi stesse che riusciamo a farci valere specie in un’epoca segnata da tanta violenza maschile e non solo, ma vivificando i nostri corpi, i nostri sguardi ma, accettando di essere donne capaci di amare, o comprendere e quasi tutto capire per trasformarlo in vita. Mi auguro di non pontificare perché sono pensieri spuri che vado raccogliendo qua e là nel mio continuo osservare e riflettere. E insomma anziché costruire ossessivamente il nostro corpo secondo quell’ideale di leggerezza che la nostra cultura ci sta imponendo, è meglio imparare semplicemente ad abitarlo, in tutta serenità, compiacenza e gioia.



(8 febbraio 2010)

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