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Corpi di animali, rispettiamoli

Corpi di animali, rispettiamoli

Parliamo di bioetica - La persecuzione, la tortura e la morte di animali ci induce a riflettere sul riconoscimento del diritto di autodeterminazione anche verso le altre specie viventi

Palla Antonello Martedi, 01/12/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2009

Se puoi vedere, guarda.

Se puoi guardare, osserva.

José Saramago

Ci sono luoghi dell’anima ai quali di necessità manca un tempo. Inesorabile ed immutabile nel suo incessante divenire, Kronos non può scandire il dolore e la malattia, il tormento e l’angoscia. La sofferenza abita i luoghi del Kairos, che immancabilmente presiede al rito dell’eternità che si fa istante ed eternamente si rinnova. Il dolore, in un istante, senza fine. La sofferenza non può mai essere un valore. E nulla dovrebbe ripugnare maggiormente lo spirito umano del dolore inflitto ad un essere capace di averne consapevolezza. La persecuzione, la tortura e la morte di animali che talvolta soddisfa esclusivamente becere idealità rituali che sopravvivono per il loro pseudo carattere sociale, ci induce a riflettere sul riconoscimento del diritto di autodeterminazione anche verso le altre specie viventi capaci di soffrire. Le distanze dell’etica sono luoghi che spesso ci rifiutiamo di abitare. Il dolore che ci appartiene, aldilà di una mera esperienza solipsistica di cui spesso abbiamo percezione, non può mai essere pienamente condiviso. La sofferenza si scruta ma non si lascia guardare, si sente senza che possa essere udita. La coscienza, aggredita dall’esperienza del nulla, si rifugia altrove. I valori, come già rilevava Balzac nella sua celebre parabola del mandarino cinese, reciso il freno legale rappresentato dal castigo, allentata la morsa della solidarietà umana per effetto della distanza, mostrano serie difficoltà a reggersi sulla semplice compassione, sul puro senso morale. Confuse immagini di libertà negate ci fissano dalle loro prigioni, in un percorso angoscioso rudemente esteriorizzato, che invita alla fuga e solo a tratti costringe alla riflessione. Un chiaro esempio di questa fuga del senso morale di fronte alla sofferenza più atroce è rappresentato dal caso degli Orsi della Luna e delle fattorie della bile in Cina, Vietnam e Corea. In tutta l’Asia, più di 20.000 orsi sono imprigionati in gabbie grandi quanto il loro corpo, per l’intero arco della propria esistenza, utilizzati per l’estrazione della bile. Un bastone d'acciaio è forzato attraverso la loro cistifellea, in modo che la bile possa scorrere giù in un secchio. L'immobilità e la compressione perenni causano agli orsi gravi deformazioni delle ossa, piaghe da decubito e svariate infezioni. Normalmente, per ogni due impianti della fistola riusciti, ci sono altri due o tre orsi che muoiono a causa delle complicazioni. La quasi totalità degli orsi detenuti negli allevamenti, quando la morte non sopraggiunga prematuramente a portare finalmente sollievo, sviluppa il cancro al fegato. Talvolta gli orsi tentano di strapparsi le interiora tra ruggiti e urla di dolore; il loro volto è segnato da interminabili e costanti sfregamenti contro le sbarre; molti sviluppano deficienze cognitive e mentali o sono affetti da cecità permanente come riflesso delle torture subite. Diversi orsi sono privi di uno o più arti perché catturati in natura con trappole infernali e poi rinchiusi nelle fattorie. Il Governo Cinese e i proprietari degli allevamenti di orsi proclamano ripetutamente che l'uso della cistifellea e dei prodotti derivati dalla bile d'orso appartiene alla cultura e alla Medicina Tradizionale Orientale. Oggi la bile viene impiegata anche come ingrediente in shampoo, vino, collirio e nella realizzazione di unguenti. Secondo il Ministero per le Finanze cinese, prima del 1980, quando cioè vennero introdotti gli allevamenti come conseguenza del divieto di caccia nei confronti di una specie protetta, la richiesta di cistifellea d'orso in Cina era di soli 500 Kg all'anno. Attualmente la produzione di bile essiccata proveniente dagli allevamenti supera le 7 tonnellate, di cui solo 4 effettivamente consumate. In Vietnam l’allevamento degli orsi è illegale dal 1992, ma si calcola che circa 4.000 esemplari siano illegalmente detenuti e sfruttati. Gli orsi neri asiatici una volta erano molto diffusi anche in Corea, ma per effetto dell’elevata domanda di cistifellee sono stati cacciati quasi fino all’estinzione. Fa riflettere che siano rimasti meno di 30 esemplari allo stato brado. La bile d'orso, lungi dall’essere una panacea unica nel suo genere, può venire perfettamente sostituita da ben 54 preparati erboristici e diversi altri prodotti di sintesi. Le alternative, inoltre, risultano più economiche e facilmente reperibili. In Asia è consumata più bile sintetica che bile d’orso; Giappone, Corea e Cina messi insieme consumano 100 tonnellate di bile sintetica all’anno, più o meno la metà di quella consumata nell’intero mondo. A questo proposito è utile considerare che la maggior parte dei cinesi non ha mai utilizzato la bile d’orso e che l’85% della popolazione è favorevole alla sua sostituzione con sostanze sintetiche o vegetali. Non sembra per nulla incredibile che in questo secolo di successi scientifici, si senta la necessità di ripensare storicamente la visione generale del rapporto malattia-sofferenza per la specie umana e animale. La giustificazione della sofferenza e del male nel mondo è sempre stato un tema caro alle metafisiche di ogni cultura. Quanta sofferenza siamo in grado di accettare? Quanta ne presupponiamo nella ricerca dei nostri fini? Una volta appurato che gli animali condividono con noi la capacità di provare dolore, fin dove è lecito e moralmente giustificabile usarli, sfruttarli, torturarli? Una teoria dei valori che espelle gli animali da ogni considerazione morale, ponendoli, per così dire, aldilà del bene e del male, produce una distanza dall’etica che genera anche un’etica della distanza. Se i macelli avessero vetrate e gli stabulari fossero piazze, molte delle nostre ipocrisie cadrebbero miseramente. Sospesi fra acquiescenza e indifferenza non riusciamo ad eludere i limiti di una prospettiva specista, ancora pregiudizialmente cartesiana. C’è bisogno di un’etica della cura, di una cura per l’etica. Con l'espressione “prendersi cura” ci riferiamo ad un'attitudine fondamentale di disponibilità nei confronti dell'altro. “Cura”, quindi, come sollecitudine per la sorte di un altro individuo sorretta da una conoscenza della sua realtà, delle sue esperienze, dei suoi bisogni. In effetti, non si può dire di prendersi cura di qualcuno se non si è disposti a capirlo, a rispettarlo e a ridurre per quanto è possibile la sofferenza di cui può essere vittima, in particolare se l'individuo in questione non sa o non è in grado di farlo, come nel caso del degli animali. Jill Robinson da oltre 15 anni si occupa della liberazione e del riscatto degli Orsi della Luna detenuti nelle fattorie della bile. Con la sua organizzazione, Animals Asia Foundation, è riuscita a costruire due grandi santuari, in Cina e Vietnam, per la riabilitazione e il reinserimento degli orsi in un ambiente semi-naturale. Jill Robinson come Virginia McKenna e Jane Goodall: grandi donne del nostro tempo; donne che hanno dedicato la loro vita ad insegnare la “cura” e il rispetto per chi non è in grado di pretenderlo; donne che hanno avuto il coraggio di rendere il cambiamento non solo auspicabile ma necessario. Jill Robinson è stato a Genova il 27 ottobre, ospite del Festival della Scienza, per presiedere ad un incontro sul problema degli Orsi della Luna e le fattorie della bile in Asia.



Per informazioni sul lavoro di Animals Asia Foundation e per sostenere la battaglia per la liberazione degli Orsi della Luna dalle fattorie della bile:

Animals Asia Foundation Italia Onlus

Tel. +39 010 2541998

Fax +39 010 2545137

P.za San Marcellino 6/5 - 16124 Genova

email: info@animalsasia.it - Sito web: www.animalsasia.org



*Antonello Palla

Istituto Italiano di Bioetica

www.istitutobioetica.org



(30 novembre 2009)

 

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