Cooperazione sociale, ruolo e valore nel welfare di comunità
Emilia Romagna -
Marco Carini Lunedi, 31/03/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2014
In Emilia-Romagna operano 920 cooperative sociali per un totale di 37.646 dipendenti, con una crescita del 16,2% nel quinquennio 2007-2012. Più del 77% degli addetti è assunto con contratto a tempo indeterminato e ben il 76% del totale è costituito da donne. L’8% infine appartiene a categorie svantaggiate, ma sottolineo come nelle cooperative cosiddette di tipo B il numero di lavoratori svantaggiati arrivi al 40%, ben al di sopra della soglia del 30% stabilita dalla legge 381. Nel complesso parliamo di aziende che erogano servizi sociali, sociosanitari o educativi essenziali per la vita delle persone e soprattutto per la conciliazione delle attività di cura e di lavoro delle donne, facendo della solidarietà un valore imprenditoriale: forte legame locale, rapporto fiduciario con gli utenti, attenzione alla qualità del servizio ed al benessere del lavoratore/lavoratrice.
Dopo vent’anni dalla nostra prima normativa regionale che ha disciplinato le cooperative sociali molte cose sono cambiate, sia nella loro natura che nel sistema di welfare - sempre più “stressato” - in cui si inseriscono. Oggi queste coop sono soggetti imprenditoriali a tutti gli effetti, uguali nei valori fondanti a quelle di un tempo ma profondamente diverse nelle loro relazioni col territorio, nella capacità di fare impresa portando benefici tanto a se stesse quanto alla collettività, nel rapporto con il Pubblico. In particolare, se è vero che la crisi economica ha significato per tutte le amministrazioni pubbliche tagli di bilancio e impoverimento dei servizi ai cittadini, è anche vero che le risposte a questa situazione possono essere diverse e, spesso, antitetiche: esternalizzare i servizi rinunciando di fatto al proprio ruolo pubblico, ovvero mantenerne in capo la programmazione ed il controllo e riscrivere, attraverso l’accreditamento, le relazioni con gli erogatori finali per renderli parte del sistema stesso. È proprio quest’ultima la strada scelta in Emilia-Romagna, dove le cooperative sociali sono già di fatto un interlocutore indispensabile delle Istituzioni, tanto che il Piano regionale Sociale e Sanitario ha attribuito loro una funzione portante del nuovo welfare di comunità.
Una proposta di legge di cui sono primo firmatario e attualmente in discussione, interviene dunque ad aggiornare il sistema apportando alcune innovazioni. Data la rilevanza assunta e la funzione pubblica svolta, riformiamo l’Albo regionale delle cooperative sociali e individuiamo puntualmente i criteri di affidamento e conferimento dei servizi. Al proposito riteniamo giusto distinguere tra l’affidamento diretto alle coop sociali di tipo B per l’inserimento di soggetti svantaggiati “in virtù della riconosciuta capacità di generare inclusione sociale e del forte legame col territorio” e il metodo della gara, caratterizzata dalla presenza di clausole sociali, per le cooperative di tipo A. Inoltre ampliamo la gamma dei servizi erogabili, comprendendo ad esempio la formazione professionale e permanente. La legge determina poi le forme di partecipazione della cooperazione sociale alla programmazione, gestione, realizzazione e valutazione dei risultati del sistema integrato di interventi e servizi alla persona. Infine, tra le forme di promozione ed incentivazione si prevede un “fondo rischi” consortile per il sostegno al credito, contributi ai datori di lavoro per nuove assunzioni di persone nelle categorie protette (che arriva fino al 70% della retribuzione quando sono ex degenti psichiatrici o disabili con invalidità superiore ai due terzi), la possibilità di fruire dei servizi erogati dalla struttura regionale di acquisto, con un sensibile vantaggio economico per le cooperative. Con questa proposta mettiamo in valore la cooperazione sociale per offrire più opportunità alle persone, nell’ambito di uno stesso sistema di diritti a cui non vogliamo per nessuna ragione rinunciare.
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