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Convenzione di Istanbul e media - di Elisabetta Brizzi

Convenzione di Istanbul e media - di Elisabetta Brizzi

Il contrasto alla violenza sessista attraverso i media. Una conferenza in Senato con i massimi referenti dei grandi giornali

Lunedi, 30/09/2013 - Il giorno 24 settembre si è tenuto, presso la sala Zuccari del Senato della Repubblica, il convegno avente tema l’applicazione dell’art.17 della Convenzione di Istanbul, ratificata dal nostro governo lo scorso giugno, che recita così: “Le parti incoraggiano il settore privato, il settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e i mass media, nel rispetto della loro indipendenza e libertà di espressione, a partecipare all’elaborazione e all’attuazione di politiche e alla definizione di linee guida e di norme di autoregolamentazione per prevenire la violenza contro le donne e rafforzare il rispetto della loro dignità”.

Gli ospiti intervenuti, dietro invito della Vice Presidente del Senato Valeria Fedeli, sono stati: in rappresentanza delle istituzioni la Presidente della Camera Laura Boldrini e il Presidente del Senato Pietro Grasso; in rappresentanza del mondo dell’informazione e della comunicazione la Presidente della Rai dottora Annamaria Tarantola, il Direttore del quotidiano La Stampa Mario Calabresi, il Vicedirettore del quotidiano La Repubblica Massimo Giannini, la Vicedirettora del quotidiano Il Corriere della Sera Barbara Stefanelli, la Direttora del canale SkyTg24 Sarah Varetto e Laura Betti in rappresentanza delle associazioni GIULIA e ART.21.

Tralasciando i convenevoli saluti di inizio lavori del Presidente Grasso, che nulla hanno aggiunto al già conosciuto, La Presidente Boldrini è entrata immediatamente e, con la concretezza che la distingue sempre, nel vivo del problema: la necessità che siano stanziati fondi per l’attuazione della convenzione. Perché, ha sottolineato, mancando i fondi le parole della convenzione “rischiano di rimanere una bella scatola senza chiave”. Chiedere al governo di mettere in atto le misure contro il problema del femminicidio non è chiedere di trovare una soluzione ad un problema prettamente “femminile” ma inerisce tutta la sfera maschile e femminile della società. Ha ricordato la “sana trasversalità” che si sta verificando in parlamento grazie ad una maggiore presenza delle donne nel mondo della politica e che sta portando il dibattito fuori dall’arretratezza che ha contraddistinto il nostro Paese su i temi del sociale.

La Presidente Boldrini ha quasi fatto un appello ai responsabili dell’informazione per ovviare al problema del finanziamento. In un panorama di crisi economica come quello attuale a maggior ragione il ruolo della comunicazione diviene fondamentale sostegno. Da qui anche la richiesta di una maggiore responsabilità: il sistema mediatico deve fermarsi e meditare. Fa alcuni esempi di errato utilizzo del linguaggio che rischia di non mettere in luce la vera radice dei problemi. Denuncia il “nonsense” del concetto di “emergenza” usato dai giornali per descrivere il problema del femminicidio. Errore concettuale pericoloso in quanto non evidenzia quanto questo sia un problema strutturale della società ,non una serie di avvenimenti concentrati in un lasso di tempo e imprevedibili. Nel ribadire l’importanza delle parole nel rappresentare la realtà ha parlato della resistenza culturale nell’abbandonare gli stereotipi anche da parte del mondo dell’informazione, là dove anche l’utilizzo di un articolo può fare la differenza.

Rivolgendosi al mondo della televisione ha evidenziato come ci sia una mancanza di valorizzazione della donna che possa divenire modello per le giovani. Una donna esperta è rara invitata dei talk-show come se gli esperti di una materia possano essere solo gli uomini. Creare una referente nella coscienza delle donne sarebbe uno stimolo per acquisire la consapevolezza delle proprie capacità.

Argomento insistito è stato il coinvolgimento degli uomini come necessaria premessa nell’avversare gli stereotipi di genere e impedire il perpetuarsi di un maschilismo fazioso.

La Vice Presidente dl Senato Valeria Fedeli ha successivamente snodato il suo intervento partendo dalla considerazione che l’art.17 è portatore di una novità politica in quanto pone chiaramente una richiesta di responsabilità alle parti. Ribadisce che la discriminazione della donna è un fenomeno strutturale e che un fenomeno strutturale sottointende un’attuazione legislativa, politica ed educativa.

Politicamente, ha continuato, la parità è sempre stata declinata con il ravvicinamento da parte della donna al maschile come se l’unica via potesse essere un adeguamento del femminile sul modello maschile. Per monitorare i cambiamenti da realizzare è stato apprestato un disegno di legge sull’istituzione di una commissione bicamerale.

Il concetto che però è stato insistito dalla Vice Presidente ha riguardato la necessità di un’opera di “disvelamento” dei meccanismi discriminatori e stereotipati. Spesso le semplificazioni rigide danneggiano questo disvelamento e portano avanti un modello culturale di sopraffazione del maschile sul femminile. Anche qui, dunque, un appello ai professionisti del giornalismo al fare attenzione ai messaggi subdoli che scavalcano i limiti posti da una forma apparentemente rispettata.

Altri e, direi, conseguenti gli argomenti trattati dalla Presidente della Rai Tarantola. La chiave di volta dal suo punto di vista è nei “divari” tra generi: lavorativi, istituzionali, retributivi. Fissare questi divari a discapito delle donne è il mezzo di cui l’uomo si fa portatore per consolidare il predominio sulla donna. E questi passano attraverso i pregiudizi di genere. Auspica un appianamento dei divari attraverso una cultura dell’equilibrio dove il forte impatto dei media possa promuovere un nuovo modello di donna. La sua azienda, ha affermato, è già impegnata su tal fronte: 1) propone una figura femminile dove anche l’imperfezione è vista come peculiarità del corpo della donna; 2) crea modelli di donna impegnata e professionalmente preparata; 3) racconta in modo diverso l’uomo del nostro tempo (anch’egli ha subito una trasformazione nel corso degli anni); 4) la conquista di nuove fasce di pubblico, quello dei giovani attraverso il web.

In conclusione ha annunciato un convegno che si terrà all’inizio del 2014 sul tema “La donna nei media”.

Il Direttore de La Stampa, Mario Calabresi ha esordito con un punto di vista originale affermando che i femminicidi non sono secondo lui un problema culturale bensì della modernità. Ha utilizzato a supporto della sua tesi i dati statistici che indicano l’alta incidenza del femminicidio in paesi socialmente avanzati come quelli scandinavi. Considerando che la scienza statistica è abbastanza recente e non avendo dati risalenti ad altri secoli mi sembra un’affermazione poco credibile. Invece molto interessante il punto di vista giornalistico che ha illustrato quando una notizia di femminicidio viene trattata spesso in redazione. Pone un parallelismo su come, negli anni di piombo, venivano trattati gli omicidi del terrorismo. La tendenza a “spersonalizzare” la vittima che diveniva un bersaglio emblematico, privo di soggettività. Stessa cosa si verifica nello scrivere su un femminicidio: si tende a umanizzare l’assassino parlando dei suoi problemi e della sua storia personale. Così facendo l’immaginario collettivo polarizza la sua attenzione sui motivi dell’assassino e piano piano la vittima, che non può piu’ parlare, diventa causa della sua stessa morte.

Sebbene molto illuminato, anche Massimo Giannini Vicedirettore de La Repubblica cade nella trappola insidiosa degli stereotipi lessicali “uomocentrici” quando definisce “omicidi di donne” il femminicidio. Il suo intervento ha voluto accentrare l’attenzione sulla grande novità che è il salto qualitativo nell’affrontare il fenomeno: queste morti vengono descritte come reazione a una rivendicazione di libertà da parte della donna. La donna viene uccisa perché prende consapevolezza del proprio diritto all’autodeterminazione e molti giornalisti stanno descrivendo questo percorso. Cosa mai avvenuta prima di adesso. A suo parere occorre una sorta di “rivoluzione copernicana” delle coscienze prima ancora che un intervento istituzionale. Ed è quello che aveva già anticipato la Presidente Boldrini quando parlava del necessario e primario impegno del mondo dell’informazione. Considerando che la formazione del senso comune si coagula attorno all’informazione e alla pubblicità, l’ importanza si dimostra da sola.

Barbara Stefanelli Vicedirettora de “Il Corriere Della Sera” ha individuato successivamente in dieci punti cardine il lavoro della propria redazione: 1) evitare immagini della donna come debole (derivante dallo stereotipo della bambina dolce e remissiva); 2) evitare di far coincidere il troppo amore come una causa del femminicidio; 3) dare stesso peso di immagine alle donne indipendentemente dall’età e dalla bellezza; 4) ricostruire le storie di violenza: ciò che ha preceduto la violenza. In tal modo si amplifica la compresione del fatto da parte del pubblico e dimostra la trasversalità sociale della violenza domestica; 5) ricordare che la violenza di genere è un fatto strutturale che, quindi, non può quindi seguire ondate di interesse ma deve essere tema costantemente presente al giornalista; 6) offrire le testimonianze delle donne che hanno avuto il coraggio di denunciare e che hanno potuto dare una svolta in positivo alle proprie vite; 7) dare spazio alle notizie di donne intraprendenti e autorevoli; 8) sovvertimento, anche tramite i codici lessicali, della mascolinità intesa come espressione del predominio dell’uomo sulla donna; 9) dare spazio agli uomini che accettano il confronto in modo da stabilire un modello; 10) chiedersi perché la cultura ha queste resistenze nel sovvertire le semplificazioni, le banalizzazioni e le stereotipizzazioni. A mio avviso a questa domanda chi più chi meno ha già dato risposta.

La Direttora di SkyTg24 Sarah Varetto ha dimostrato, invece, quanto alcune donne non riescano a liberarsi fino in fondo dagli stereotipi, non solo di genere. La prima constatazione fatta lascia un po’ basite. Parlando della televisione che a volte deprime e distorce l’immagine della donna la definisce “cattiva” televisione. Fin qui tutto bene. Ma quando dice che la “cattiva” televisione si può spegnere sembra non tener conto che questa scelta sottointende la capacità di discernere ciò che definisce tale un programma. Purtroppo sappiamo che questo mezzo ha il suo punto di forza proprio nella passività che instilla nelle coscienze delle persone. Essendo una professionista della televisione sorprende che il dato, per lei, non sia acquisito.

Anche successivamente, quando afferma di essere d’accordo nel definire il femminicidio come un problema strutturale e che questo non ha nulla a che vedere con la psichiatria del gesto folle, sembra convincente. Fino all’esempio che ne porta a sostegno: dopo che un giovane femminicida era stato definito “fidanzatino” da varie testate lei si era giustamente fatta carico di eliminare il temine dal suo notiziario. Sottolinea che gli assasini non sono degli squilibrati. Peccato che subito dopo definisca gli stessi “mostri” dimostrandone l’eccezionalità.

I lavori del convegno sono stati conclusi da Luisa Betti (GIULIA e ART.21) che ha messo in guardia dal problema della “rivittimizzazione” della donna quando fa riferimento ad istituzioni non preparate alla nuova cultura che si auspica con la Convenzione e che solo tramite l’informazione come chiave culturale si riuscirà a dare una giusta risposta ai problemi.





Vedi filmato intervento Presidente Laura Boldrii: http://www.streamago.tv/general/24619/boldrini-senato-24-sett-2013.html

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