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Contro la violenza sessuale sulle donne Rifondiamo un’etica della parola, aboliamo il linguaggio ses

Contro la violenza sessuale sulle donne Rifondiamo un’etica della parola, aboliamo il linguaggio ses

Il linguaggio sessista ostruisce ormai il respiro della libera informazione, condizionando e compromettendo gravemente lo stato di salute mentale delle persone, persino delle meglio intenzionate. Oggi stiamo parlando di un problema macroscopico, la cui n

Martedi, 25/09/2012 - Contro la violenza sessuale sulle donne

Rifondiamo un’etica della parola, aboliamo il linguaggio sessista.



In Italia, secondo recenti studi svolti in sinergia tra Istat e Ministero per i Diritti e le Pari Opportunità, risulta che una donna su tre, in un’età compresa tra i 16 e i 70 anni, è stata vittima di violenza fisica o sessuale. In generale, si contano 4.800 casi l’anno: nel 2011 il Centro soccorso violenze sessuali della Clinica Mangiagalli di Milano ne ha registrati 340; Roma ha superato la quota 500. Ma bisogna inevitabilmente tenere in considerazione che il sommerso delle denunce ammonta al 91,6%. Le donne hanno paura di confessare i loro drammi, non semplicemente perché sono minacciate, ma anche perché, nella maggioranza, non riconoscono la portata dell’offesa patita. Nelle percentuali degli orrori, emerge che il 69,7% degli stupri è opera dei partner, degli ex, di conoscenti e avviene, normalmente, entro le mura domestiche. La situazione allarmante è stata persino rimarcata lo scorso febbraio da Rashida Manjoo, relatrice speciale dell’Onu, che ha lanciato il monito: “l’Italia deve fare di più contro la violenza sulle donne e intervenire sulle cause strutturali della disuguaglianza di genere e della discriminazione”.

Nel frattempo, la Corte di Cassazione, in barba alla legge contro la violenza sessuale, approvata dal Parlamento nel 2009, ha stabilito l’applicazione di misure cautelari alternative al carcere, per gli autori di uno stupro di gruppo compiuto nel frusinate. Oggi, nel nostro Paese, il branco che abusa di una donna, può starsene tranquillo a casa, a ridersela sul mal compiuto e… la storia finisce lì.

Da circa un anno i blog gestiti da Associazioni di donne, raccolgono sulla rete articoli che descrivono molestie sessuali, quasi sempre associate a vessazioni psicologiche, come: “momenti di passione”, “raptus di follia”, utilizzando una verbosità razzista, misogina, ostilmente maschilista, spesso mirata a indulgere sul “carnefice” e a denigrare la “vittima”.

Quest’estate ha fatto discutere molto un articolo di Nino Cirillo sul Messaggero. Riportando la cronaca di uno stupro, il giornalista descriveva la donna che lo aveva subito, come se in fondo se la fosse andata a cercare. Nella rubrica “preghiere” del Foglio (23 agosto 2012), Camillo Langone, già tristemente noto per il suo farneticante appello “Togliete alle donne i libri, torneranno a fare figli”, ha dedicato accorate parole di comprensione e pietà all’assassino di una donna nigeriana, “di mestiere puttana”, commentando che: “le negre sono bellissime, e dopo il tramonto anche i trans sono favolosi, e così molte altre battone, baldracche e lapdancer. Ma hai davvero voglia di svegliarti con loro, al mattino? E le porteresti a pranzo nel tuo ristorante abituale? O da tua mamma?”

Il retaggio che ci portiamo appresso, fa oltremodo male ricordarlo di fronte alla realtà raccapricciante sintetizzata, ha radici lontane e trae linfa vitale dall’humus macho che (af)fonda la nostra società. Il ventennio di narcosi mediatica alla “drive in”, con la sua rappresentazione deviata del “femminile”, il ricorso puntuale e compiaciuto, becero e banale agli stereotipi, cui si mostra sensibile certa stampa (duole ammetterlo, non solo quella qui menzionata), è appena uno dei sintomi peggiori della degenerazione del nostro sistema-Paese.

Il linguaggio sessista ostruisce ormai il respiro della libera informazione, condizionando e compromettendo gravemente lo stato di salute mentale delle persone, persino delle meglio intenzionate.

Oggi stiamo parlando di un problema macroscopico, la cui natura è prima di tutto culturale: la violenza di genere. Violenza concreta, crudele, agìta che, nelle più tragiche circostanze trova epilogo nel femminicidio –dal gennaio del 2012 a oggi, sono 73 le donne ammazzate per “amore”-.

Non possiamo permettere, non dobbiamo accettare di dare voce a giornalisti, personaggi pubblici, divulgatori e scribacchini che, approfittando del dubbio potere di cui fanno foggia, contribuiscono a legittimare o giustificare i reati a sfondo sessuale di cui, numerosissime, troppe donne sono bersaglio.

L’etica della parola è importante e va totalmente rifondata. Facciamolo tutti, secondo quelle che sono le nostre possibilità. Facciamolo subito, a partire dai nostri figli.

Non dovessimo mai, un domani, pentirci, di avergli raccontato la fiaba sbagliata. Quella del principe azzurro che, strada facendo, si è tramutato nel mostro.



Lucia Ravera

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