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CONTRO LA SCRITTURA “AL FEMMINILE”

CONTRO LA SCRITTURA “AL FEMMINILE”

Cosa si nasconde dietro la dicitura "al femminile"? Breve digressione su uno dei retaggi che hanno condannato la scrittura delle donne a essere considerata "minore".

Martedi, 08/05/2012 - Quando sento parlare di “scrittura al femminile” sorrido.

E penso a due cose:

a quanto tanto siamo permeabili all’assuefazione.

A quanto poco siamo disposti ad andare dentro le parole.

Mi vengono in mente, a cascata, le espressioni: “alla carlona”, “alla buona”, “alla bell’e meglio”… Modi di dire -e intendere- che, nell’uso quotidiano, vengono associati a questioni di scarsa rilevanza, seppure tollerate.

L’etichetta “al femminile”, affibbiata alla scrittura delle donne, rientra analogamente, per condizionamento indotto, in una categoria mentale e fisica di mediocrità. Le donne, alle quali arbitrariamente viene negata la razionalità, non possono che intrattenere con il cuore. Cantano d’amore, di sentimenti, ma l’intellectus -dono superiore-, il suo esercizio e le sue declinazioni, appartengono e spettano agli uomini. Sfido l’esimio critico di turno a contraddirmi.

Personalmente rifiuto la definizione di scrittura “al femminile”. Perché ritengo sia stolta e profondamente pregiudiziale.

Continuerò a respingerla, almeno fino al momento in cui non sentirò vociferare pure di “letteratura al maschile”.

Il punto è che si dà per scontata un’univoca genitorialità ai libri, i quali, per essere reputati “seri”, saranno figli di padri, raramente di madri e, nel caso, a tempo determinato.

Prendiamo un esempio culinario, giusto perché sono una buona gustaia.

Se dico “bagna càuda” è chiaro che mi riferisco alla tradizionale salsa piemontese. Ciò non vieta che possa imbattermi anche in ricette analoghe, che traggono ispirazione da quella originaria, trasformandosi in cloni di bagna càuda alla maniera di Chissà-chi… Il confronto, soprattutto se posto in questi termini, risulta spesso ìmpari. Se uno vuole assaggiare la bagna càuda, quella vera, sa dove deve andare a parare.

E’ una quisquilia di proporzioni mozzate, binarie: Letteratura (sta a) Bagna càuda; Bagna cauda alla maniera di Chissà-chi (sta a) letteratura al femminile. Non ci sono prodotti tra medi ed estremi. La soluzione sta chiusa in partenza. E la bagna càuda, ergo Letteratura, diciamocelo, ha un quid in più. Il quid androcentrico, mi viene da specificare.

Ipotesi di discriminazione? No. Siamo alla tesi.

Anche i muri dovrebbero saperlo: che la qualità di un’opera si debba ragionevolmente fondare sulla sua qualità, al di là del genere sessuale che l’ha “partorita”. Eppure.

Eppure, in quella preposizione articolata, che ha avviato questa breve digressione, sta intrappolato il tabù. Un tabù lungo secoli, che hanno scavalcato il genio, il talento di moltissime autrici, semplicemente per aderire ai principi ottusi di una cultura fortemente misogina.

Oggi le donne scrivono, in presunta par condicio, quanto gli uomini. Un traguardo, se consideriamo che, fino a poco più di cent’anni fa, non avevano neanche il diritto al voto.

Il problema non è la libertà di pubblicare. Si presenta in seguito. Quando nell’Olimpo presieduto dai Giudici e Giudicatori, si devono stabilire i Nomi da ricordare. E quelli da eliminare.

E’ successo a molte Muse del nostro passato (anche recente) di essere scomparse dal mercato editoriale. E, peggio, dalla Critica letteraria. Capita a molte giovani dei giorni nostri. Che si aggiudichino la gloria di alcuni prestigiosi premi. E poi? E poi.

Perché non esistono Storie della Letteratura in cui, accanto ai viri padri, compaiano, una a una, anche le nostre grandi madri? La lista di queste ultime è certamente più esigua rispetto a quella degli scrittori (il focolare domestico ci ha tenute per troppo segregate, la società patriarcale ci ha vietato per molto tempo l’istruzione), ma c’è. A partire dal 1200.

Sono aperte le selezioni per aspiranti e navigati studiosi, amanti archivisti del genere. Si astengano perditempo, ché già ne è scorso troppo.



Lucia Ravera

Le ragazze della scrittura. Oltre i tabù, la letteratura contemporanea femminile in Italia.

Ladolfi Editore, 2012, collana Atelier "900 e oltre".

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