Contraccezione e aborto sicuro non sono priorita' dell’agenda politica italiana
Le due ravvicinate Giornate internazionali, sulla contraccezione e sull'aborto sicuro, vanno incontro all’auspicio di “un mondo in cui ogni gravidanza sia desiderata”.
Si sono spenti da poco i riflettori mediatici sul Fertility day, caratterizzato da pessime campagne promozionali che comunque non hanno distolto l’attenzione dal correlato Piano per la fertilità, un vero e proprio attacco ideologico all'autodeterminazione delle donne in tema di diritti riproduttivi. L’altro giorno è ricorso un altro appuntamento in tema di diritti sessuali e riproduttivi, la Giornata internazionale per la contraccezione, un’occasione altrettanto rilevante perché connotante la necessità e l’importanza di garantire alle donne ed alle coppie la facoltà di accesso alla procreazione cosciente e responsabile. Oggi è la Giornata internazionale per il diritto all'aborto sicuro, evidenziante il dato allarmante per il quale ogni anno sono quasi 50.000 le donne che perdono la vita a causa di un aborto non legale, quindi non garantito, mentre 41 milioni di adolescenti portano a termine una gravidanza indesiderata o conseguente a uno stupro.
In Italia, come per la inidonea applicazione della 194 a causa dell’alto numero di medici obiettori di coscienza, la contraccezione non appare una priorità dell’agenda politica, tant’è che il nostro Paese è agli ultimi posti in Europa, avanti solo a Cipro, Romania, Lituania e Repubblica Ceca. Sempre più si rileva la necessità di porre rimedio a questa situazione, che si ripercuote gravemente sulle gravidanze indesiderate, predisponendo misure specifiche in tre diversi ambiti quali l’educazione sessuale nelle scuole, un’idonea formazione del personale sanitario ed il rilancio dei consultori. Presidi sanitari che devono ritornare al proprio ruolo originario, per rispondere alla domanda di conoscenza e di prestazioni necessarie per una buona salute sessuale e riproduttiva. Allo stato attuale, invece, sono caratterizzati da mancanza di personale, assenze di spazi ed orari adeguati ed alcun progetto e formazione in grado di rispondere alla domanda complessiva e soprattutto di fare offerta attiva in tema di salute sessuale e riproduttiva, venendo incontro a tale tipo di richiesta.
Eppure come recita il par. 96 della Piattaforma approvata dalla Conferenza Mondiale sulle donne di Pechino: “I diritti umani delle donne includono il diritto ad avere il controllo e a decidere liberamente e responsabilmente circa la propria sessualità, inclusa la salute sessuale e riproduttiva, senza coercizione, discriminazione e violenza”. In questa direzione i governi devono “assicurare la parità e la non discriminazione sia attraverso le leggi che nella pratica intraprendendo azioni per tutelare tali diritti”. Appaiono, ordunque, fortemente lesive di tale impostazione programmatica le disposizioni concernenti il passaggio di molti contraccettivi ormonali dalla fascia a carico dello Stato a quella a pagamento, come previsto di recente dall’Agenzia Italiana del Farmaco nella sua determina del 6 luglio scorso.
Non v’è chi non veda che questo provvedimento va ad inquadrarsi in un più generale contesto nazionale, caratterizzato dalla carenza di campagne di sensibilizzazione e di conoscenze individuali per la scelta del contraccettivo giusto, oltre che di una seria educazione sessuale nelle scuole. Per queste mancanze l’Italia in tema di contraccezione è tra i fanalini di coda in Europa, a riprova del disconosciuto diritto in capo ad una donna di programmare la maternità in maniera libera e consapevole. Come per il Piano nazionale per la fertilità, quindi, il Governo dovrebbe predisporre gli strumenti e le modalità idonee a ridare slancio e dignità alla contraccezione. Ne discenderà anche l’occasione per ragionare su cosa significhi la sua piena e completa gratuità come previsto dalla legge 405/1975, sia sul piano individuale che collettivo. Soprattutto per le donne più bisognose, come le minori, le donne straniere, disoccupate o in condizione di disagio economico, sociale, culturale.
In un’epoca come la nostra, in cui le persone non riescono ad avere garantito l’accesso ai servizi e le risorse sono sempre più scarse, anche la contraccezione potrebbe diventare un lusso che non tutti si possono permettere, con conseguenze personali e sociali facilmente immaginabili. In tal senso appare deprecabile la decisione di fare pagare i contraccettivi a chi invece deve trovarsi nella condizione di scegliere tra quelli più rispondenti ai suoi bisogni, più rispettosi della sua salute e dei suoi orientamenti etici e culturali, al fine di decidere quando e quanti figli avere. Ne discende che debbano essere tenute nel debito conto anche dall’Italia le finalità della Giornata internazionale della contraccezione, che vanno proprio incontro all’auspicio di “un mondo in cui ogni gravidanza sia desiderata”. Non si riesce a trovare alcun motivo valido per cui questa speranza debba in Italia naufragare nel mare magno di disposizioni normative che affoghino il diritto ad una maternità cosciente e libera.
Occorre, oggi più che mai, esigere l’applicazione delle normative nazionale e regionali, che attribuiscono ai consultori la prevenzione dell'aborto e la tutela della salute sessuale e riproduttiva, sancendo che l'informazione, la consulenza, la prescrizione e la somministrazione della contraccezione nei consultori sia facilitata. E’ da auspicarsi che il Governo finalmente ponga nella propria agenda politica la tutela di questi diritti, nella convinzione che in tal modo si realizzino anche risparmi, visto che la contraccezione costa meno dell'interruzione volontaria della gravidanza o delle conseguenze di una maternità non scelta. Come primo atto, in tale direzione, l’esecutivo richieda all’Aifa la revisione della riclassificazione dei contraccettivi, che recentemente ha comportato il passaggio degli anticoncezionali ormonali dalla fascia A alla C del prontuario farmaceutico nazionale. Le esigenze del bilancio statale lascino questa volta il passo alla salvaguardia dei diritti alla salute sessuale.
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