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CONSULTORI FAMILIARI: LEGGI REGIONALI A CONFRONTO

CONSULTORI FAMILIARI: LEGGI REGIONALI A CONFRONTO

Una ricognizione analitica evidenzia le analogie e le differenti declinazioni normative che le Regioni hanno dato della legge 405/75 istitutiva dei Consultori

Venerdi, 07/06/2024 - I Consultori Familiari, istituiti con la legge 405 del 1975, sono gestiti dalle Regioni. Affidando loro la declinazione della norma che definisce i principi cardine, il legislatore ha voluto delegare la possibilità di emanare leggi regionali il più possibile aderenti aibisogni concreti e specifici del territorio, anche in stretta relazione, e possibilmente in armonia, con gli altri servizi sociosanitari.

Dalla ricognizione delle varie leggi regionali che abbiamo compiuto, comparando alcune macroaree (possibilità di aprire Consultori privati; partecipazione associazioni; finanziamenti, personale; interruzione volontaria di gravidanza) emergono profonde differenze che impattano sul funzionamento e l’accesso alle strutture consultoriali.

Nella tabella, parte integrante di questo articolo, sono dettagliate le differenze e le analogie che di seguito illustriamo. 

ANALOGIE 

CONSULTORI PRIVATI
Per quanto riguarda le similitudini, è emerso immediatamente che tutte le leggi regionali prevedono la possibilità di istituire Consultori privati (nonostante in molte Regioni al momento non ve ne siano), previa autorizzazione della Giunta regionale, che ha il compito di garantire che l’attività di questi consultori privati sia conforme alle finalità previste. In alcune Regioni, però, la legge è più severa che in altre: nel caso del Lazio o della Basilicata, ad esempio, viene esplicitato che i Consultori privati possono essere aperti solo “ove necessario”, per la Basilicata, o “Nel caso in cui le strutture pubbliche non siano sufficienti a coprire l'intero fabbisogno del servizio”, per il Lazio. Tutte le leggi regionali prevedono poi che la Regione possa assegnare dei finanziamenti per i Consultori privati, a patto che essi siano minori rispetto a quelli destinati ai Consultori pubblici. Sia nel caso dei Consultori pubblici, sia nel caso di quelli privati, la struttura deve presentare alla Giunta regionale precisi resoconti delle attività svolte e delle attività previste, che giustifichino la quota di finanziamento richiesta.
FINANZIAMENTI
Le spese per il funzionamento dei servizi consultoriali sono a carico della Regione, che provvede a garantirli tramite le ASL. Nella maggior parte dei casi, il finanziamento al singolo Consultorio è stabilito sulla base delle caratteristiche socioeconomiche e demografiche del territorio verso cui il esso rivolge i suoi servizi.  

PERSONALE
Le leggi regionali esprimono uniformità anche per quanto riguarda la scelta del personale operativo nei Consultori: in tutti i testi di legge si parla di équipe composte almeno da un ginecologo, uno psicologo e un assistente sociale, scelti tra il personale già dipendente degli Enti Locali – solo in casi di estrema necessità è prevista la possibilità di assumere personale proprio per il Consultorio: ma anche in questi casi gli operatori devono essere scelti tramite concorso pubblico. In alcune Regioni è poi prevista anche la presenza di un pediatra (Basilicata, Friuli, Molise, Liguria, Valle d’Aosta), in altre quella dell’ostetrica (Abruzzo, Friuli, Lazio, Liguria, Veneto, Umbria, Lombardia, Marche, Piemonte) e in altre ancora quella del consulente legale (Sicilia, Provincia Autonoma di Bolzano, Molise, Veneto).  

APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE
In tutte le leggi regionali è raccomandato e indicato come fondamentale l’utilizzo di un approccio multidisciplinare.  

 

DIFFERENZE 

PERSONALE
Soffermandoci invece sulle differenze, è interessante notare che in Veneto, proprio parlando del personale operante nei consultori, venga esplicitato che tutte le figure professionali che lavorano nel Consultorio debbano “garantire un servizio che consenta all'utente condizioni di piena libertà”. 

PARTECIPAZIONE ASSOCIAZIONI
Continuando sulla scia delle differenze, l’aspetto su cui le leggi regionali differiscono maggiormente è senza dubbio quello della partecipazione di associazioni esterne alle attività consultoriali e alla gestione di questi servizi. Tornando al già citato Veneto, probabilmente il monito riguardo alla garanzia che gli utenti possano agire in condizione di piena libertà è proprio volto a mantenere come prioritaria l’autodeterminazione delle utenti rispetto all’ingerenza di associazioni esterne al Consultorio. In altre regioni, come in Toscana, questa limitazione è invece meno stringete, visto che la legge permette a diverse associazioni di volontariato di contribuire e partecipare alle attività consultoriali. Ad esempio, la Provincia Autonoma di Bolzano permette alle associazioni di volontariato di assistere “le famiglie in difficoltà su di un piano pratico, aiutandole a realizzare i consigli ricevuti nel Consultorio e mantenendo i contatti con altre strutture sociali di appoggio alla famiglia”: è proprio su questo terreno che le associazioni pro-life riescono ad inserirsi anche nei Consultori e ad esercitare pressioni sulle donne che vogliono ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza.

Altre leggi regionali (Abruzzo, Campania, Lazio, Lombardia), invece, fanno riferimento e stabiliscono la partecipazione delle organizzazioni femminili, però sempre accanto ad altre organizzazioni sociali (sindacali, comunali, scolastiche, eccetera), dunque senza assegnare rilevanza al punto di vista delle organizzazioni delle donne rispetto a quello di altre forze sociali. Solamente la legge regionale sarda assegna un ruolo particolare alle donne, prevendendo che la Giunta regionale, prima di stabilire i programmi, i contenuti e le modalità di svolgimento delle attività consultoriali, debba interpellare la Consulta regionale femminile. D’altra parte, come sappiamo, coinvolgere organizzazioni o gruppi femminili non significa necessariamente portare avanti istanze femministe. E infatti, di femminismo, in queste leggi regionali non c’è traccia.  

INTERRUZIONE VOLONTARIA DI GRAVIDANZA
L’ultimo ambito portato all’attenzione nell’analisi delle leggi regionali è la poca rilevanza che viene data alla questione dell’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG), che contraddice il tentativo di definire i Consultori come luoghi volti prevalentemente alla pratica dell’aborto. Al contrario, questo argomento è lasciato decisamente in secondo piano. Nei migliori casi, infatti, l’IVG è nominata una, massimo due volte e solo nei primi articoli delle leggi, quelli che elencano le finalità dei servizi consultoriali, specificando esclusivamente che gli operatori del Consultorio si impegnano a fornire informazioni sulle modalità e le tempistiche con cui in Italia è legale abortire (come nel caso della legge regionale di Lombardia, Toscana, Marche) e a fornire assistenza psicologica alle donne che scelgano questa strada.

Nei testi di legge di Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Molise e Provincia Autonoma di Bolzano l’IVG è nominata solo perché viene detto che uno degli obiettivi dei Consultori è quello di aiutare la donna ad eliminare gli ostacoli e le cause che la spingerebbero a ricorrere all’aborto (e, sulla stessa lunghezza d’onda, in Calabria non viene nominata l’IVG ma l’aborto, in quanto “problematica” con cui il Consultorio deve confrontarsi). Infine, in altri casi, l’IVG – o l’aborto – non è proprio nominata (Abruzzo, Campania, Provincia Autonoma di Trento).

A prescindere dalle specificità delle singole leggi, possiamo affermare che nessuna di esse affronti il tema dell’accessibilità all’aborto: nessuna si impegna infatti a garantire che le donne possano accedere in modo gratuito, rapido e dignitoso all’IVG tramite i servizi consultoriali del territorio. L’unica legge regionale che sembra avvicinarsi di più alla questione dell’accessibilità è quella della Sicilia, che inserisce tra gli obiettivi dei Consultori quello di realizzare “tutte le finalità e gli adempimenti previsti dalla L. 22 maggio 1978, n. 194 «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza».” Anche questo, però, non ci rassicura: sappiamo infatti che la 194 non tutela affatto la libertà di scelta delle donne ma, al contrario, in moltissimi casi rende il percorso sanitario per abortire lungo e tortuoso.

Marta Frusone

Questo articolo è parte del progetto 'I Consultori alla prova del passaggio generazionale' dell'Associazione NOIDONNE TrePuntoZero sostenuto con i fondi dell'8xMille della Chiesa Valdese
Tutti i materiali del progetto, qui https://www.noidonne.org/consultori-familiari/index.php


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