Mercoledi, 03/06/2020 - È stata vincente la scelta di mandare in streaming su Rai Play, per fare memoria dei morti di mafia nel nostro Paese e ricordare i valori della legalità, la fiction dedicata a una donna del tutto unica, Felicia Bartolotta Impastato, madre di Giuseppe Impastato detto Peppino, brutalmente ucciso dalla mafia nel maggio del 1978: nei giorni precedenti alla messa in onda del biopic, in prima serata, una catena di messaggi sui social (sembra lanciata da Giovanni Impastato, fratello di Peppino) pregava di sintonizzarsi su Rai Play (trailer) e seguire il programma, per aumentare l’audience, e dimostrare così ai vertici Rai l’interesse del pubblico alla storia di questa madre coraggio e, di conseguenza, a sostenere la forza delle idee e della cultura per contrastare la mafia: “Vediamoci tutti davanti ai teleschermi, distanti ma uniti, per stare assieme, per fare memoria, per ricordare un messaggio importante”.
Felicia Bartolotta, vedova Impastato, pur avendo sposato Luigi, imparentato con le potenti famiglie mafiose locali, fu la prima donna in Italia a costituirsi Parte Civile, insieme al figlio Giovanni, in un processo di mafia contro i boss locali che erano risultati mandanti dell’omicidio di Peppino (in primis Gaetano Badalamenti), dopo la tragica fine del figlio e dopo aver compreso perché Giuseppe e Giovanni Impastato, i suoi due figli, si erano legati entrambi fin da giovani a movimenti in aperto contrasto con la mafia, decisi a combattere in prima persona la cultura mafiosa che avviliva e devastava la Sicilia e il loro paese di origine, Cinisi. Del resto anche il marito, che aveva cercato in qualche modo di proteggere il figlio, per le sue aperte denunce ai mafiosi tramite Radio Aut e la sua militanza in Democrazia Proletaria, venne giustiziato dalla mafia mediante un finto incidente.
Felicia, dopo la morte annunciata del figlio - che la mafia cercò di trasformare in suicidio e che avvenne nel giorno del ritrovamento del corpo di Aldo Moro, il 9 maggio del 1978 - decise di reagire al dolore con le armi della legge e della cultura (spesso ripeteva: “la mafia non si combatte con la pistola ma con la cultura”) e, per questo, venne criticata nel suo paese: invece di portare il lutto piangendo e stando in silenzio, iniziò a rilasciare interviste, a parlare con tutti coloro che potevano aiutarla, attivisti, giudici, giornalisti, sfidando apertamente i mafiosi locali e aprendo ai giovani e alle scuole la propria casa, che trasformò in un ‘museo’ in ricordo del figlio, raccogliendo materiali, documenti, fotografie che saranno il primo nucleo del Centro Giuseppe Impastato.
La fiction mostra Felicia che combatte, specialmente dopo la prima archiviazione per mancanza di prove, per la riapertura del processo insieme al figlio Giovanni e agli amici attivisti di Peppino, che andarono loro stessi a raccogliere prove sul luogo dell’omicidio, fino all’incontro con il giudice Rocco Chinnici (interpretato dal bravo Antonio Catania) che fece riaprire il caso ma venne anche lui assassinato di lì a poco. Dopo vent’anni di travaglio, finalmente, i mandanti vennero affidati alla giustizia. Felicia è morta il 7 dicembre del 2004 e la sua casa di Cinisi si chiama ora «Casa della memoria Felicia e Peppino Impastato».
La personalità di Felicia, interpretata da una bravissima Lunetta Savino, la sua determinazione e ostinazione, ben emergono dalla fiction, che pure soffre, inevitabilmente, di una ‘fattura televisiva’ ma ben arriva l’importante messaggio di impegno civile e di contrasto alla mafia ed insegna come spesso, i risultati, i frutti, di una lotta si vedono sulla lunga distanza.
In questo lavoro paziente e perseverante le donne sono state da sempre in prima linea.
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