Lunedi, 11/07/2011 - A Lampedusa, a Linosa da anni oramai i turisti arrivano per il sole, per il mare;arrivano per immergersi nei fondali profondi che offrono uno spettacolo unico di piante e pesci, bello davvero; arrivano per vedere dischiudersi le uova di tartaruga o per avvistare i conigli selvatici, per inebriarsi del profumo del finocchietto o dell’origano selvatico.
Noi: Maria Teresa, Mariella, Rachele e io, piccola delegazione di donne che si riconoscono nelle finalità dell’Associazione della Lucerna: interesse per una società ed un mondo multiculturale, multirazziale, dove ci sia sempre posto per ogni espressione umana e religiosa, siamo arrivate nell’isola per immergerci in un piccolo grande popolo: i lampedusani. Quest’anno, loro, da febbraio ad aprile, sono stati protagonisti di un drammatico evento e di una inedita manifestazione di umanità carità e amore e per questo noi abbiamo voluto conoscerli da vicino.
Per 50 giorni questo popolo si è preso cura, in un incredibile solitudine rispetto allo stato nelle sue diverse articolazioni, di centinaia, migliaia di emigrati, di fuggiaschi arrivati dalle coste della Tunisia, della Libia dopo una paurosa e pericolosa traversata del mare, pieni di paura, freddo, fame e mille immaginabili disagi.
Il popolo di Lampedusa come ha visto chi ha voluto leggere tra le righe delle cronache di quei giorni e come noi abbiamo approfondito lì con ricchezza di spiegazioni, di episodi, non ci ha pensato un attimo e ha reagito agli sbarchi con un incredibile afflato di solidarietà che definiscono a più voci umana e cristiana. Di quei giorni che coinvolsero e sconvolsero l’isola, dopo i quali forse nulla sarà più uguale tutti, parlano volentieri e mentre lo fanno sembrano riviverli.
Mentre si ascolta si colgono sentimenti ed emozioni fortemente contrastanti. Per un verso l’orgoglio di essersi scoperti capaci e pronti istintivamente ad aiutare esseri umani in difficoltà, scoprendo anche una vocazione di isolani con un dna di accoglienza, forse tipico della gente di mare o di chi è sempre stato nei secoli povero e in difficoltà, di chi è emigrato e ha visto emigrare nel tempo e riconosce i suoi simili; dall’altro verso la rabbia di essersi sentiti terribilmente soli e abbandonati; un sentimento che si è rafforzato da quando oggi si può toccare con mano che i disperati che arrivano ancora, ogni giorno dal mare, possono essere accolti in modo che l’isola non ne sia coinvolta, fino al punto di non vederli proprio, quali nuovi moderni fantasmi. Questo mentre il danno che Lampedusa e Linosa hanno avuto da immagini e parole spese ossessivamente dalla stampa,come dicono,ha significato per la stagione in corso la morte del turismo, calato per paura ... dell’80%, mettendo così a rischio la stessa economia dell’isola.
I lampedusani oggi pensano allora di essere stati usati per interessi e posizioni politiche giocate sulla loro pelle e se nelle loro parole non c’è mai una recriminazione rivolta alla gente venuta dal mare, che non poteva non essere aiutata; c’è invece il dubbio che averlo fatto abbia coperto un gioco più grande di loro e fatto interessi che li hanno danneggiati nell’immagine e nella sostanza.
L’obiettivo pressante oggi è di tornare ad accogliere turisti convincendoli che la vita dell’isola è tranquilla e accogliente. Per questo si deve lavorare usando ogni mezzo; iniziando da chi come noi ha potuto constatare di persona che lì la vita è ripresa con la massima normalità e vuole dirlo e divulgarlo.
L’urgenza di tale traguardo non ci fa dimenticare di riflettere e raccontare quanto abbiamo udito e raccolto da tante persone, rispetto ai loro sentimenti e alle loro emozioni che si sono andate rincorrendo da febbraio ad oggi. Ed è citando in particolare pensieri di donne, sempre più estroverse e aperte a raccontare e descrivere i loro sentimenti che vogliamo ricordarli. La prima a dare il la ad un pensiero poi ritrovato più volte è stata Elisa, una signora di Lampedusa, nel cui Residence gestito molto piacevolmente e professionalmente insieme alla madre Anna e alla sorella Salvatrice siamo state ospiti. Elisa che a febbraio era in Campania dove d’inverno vive con il marito e la figlia, facendo l’insegnante, ci ha detto come si sentiva fremere e ha provato un dolore profondo di non poter essere nell’isola per aiutare anche lei quella povera gente. Forse per la prima volta, ci ha detto, si è ritrovata a pensare di essere cittadina di Lampedusa e di capire la profondità di appartenere a un luogo così particolare dove da sempre hanno trovato approdo genti venute dal mare per i motivi più diversi. L’isola, la piccola isola; il punto più a sud dell’Europa e forse il più a nord dell’Africa dove le culture come ci ha raccontato Angela hanno trovato nel tempo tolleranza e rispetto. Nel santuario dell’isola a Cala Madonna come Angela appunto ci ha raccontato con orgoglio, vi è una grotta dove la storia dice come cristiani e mussulmani compissero dandosi i turni i loro riti religiosi nel totale rispetto reciproco. Nello stesso spirito con cui a febbraio tanti si sono ritrovati a collaborare accettando il ruolo organizzativo insostituibile della parrocchia. Elisa, Angela e poi Selvaggia che insieme a sua cognata Rosa vende le loro ceramiche. Anche lei ci racconta la rabbia in quei giorni di non essere sull’isola e le sue telefonate quotidiane per seguire gli avvenimenti e poi il dolore per vedere oggi l’isola deserta e un economia a rischio, anche se con una sorta di dolce malinconia che attenua la rabbia che ha espresso, aggiunge che l’isola così vuota è tanto bella. Claudia nel suo negozio all’angolo di Via Roma strada centrale del paese in quei giorni c’era e ha visto scene di umanità inenarrabili come una donna che si è tolta d’istinto le scarpe dai piedi per darle a un giovane bagnato e scalzo. Claudia che ha scelto da anni di trasferirsi e vivere a Lampedusa pensa a voce alta mentre racconta e dice: l’umanità era enorme, forse c’era però anche la paura e la convinzione aiutando di tenere calma la situazione. Un numero così elevato di persone, più della popolazione stessa davano anche un senso di timore; ed è normale. Claudia aggiunge che non si è fatta festa nè a Pasqua nè a Carnevale ….E poi; eccomi da Ilaria una giovane donna che arrivata in quei giorni fatidici lì si è fermata e rientrata in Italia per Lampedusa dopo 10 anni di assenza; lì in quell’Italia così particolare, così lontana da quella da cui se ne andò, oggi pensa di rimanere, forse per le emozioni che ha provato e che continua a provare. E’ impegnata ad ASKAVUSA, l’Associazione che organizza da tre anni il Lampedusainfilmestival di luglio e che fra le tante iniziative si batte perché sia aperto un museo dell’emigrazione in paese. Museo che in attesa si realizzi offre una piccola anticipazione proprio nei locali di Askavusa giovandosi oltre che delle idee anche delle opere di Giacomo animatore dell’Associazione stessa, artista e cantautore e Lampedusano doc. Sei giorni nell’isola troppo pochi per avere un idea compiuta, ma tanti per cogliere “la biodiversità” di una comunità capace di emozioni e comportamenti che in terra ferma sembrano divenuti un ricordo. Come è difficile ascoltare, senza vergognarsi almeno un pochino, un abitante di Linosa che ci racconta come quando questo inverno in contemporanea a Lampedusa sono arrivati 1500 profughi dal mare tra cui donne e bambini ovvero 5 volte la loro popolazione fatta di 300 persone ed erano in grave difficoltà perché per loro non avevano più nè latte nè farina per fare pane. A Lampedusa come a Linosa come ci dice Don Stefano, il Parroco di Lampedusa, in quei 50 giorni è passata la storia e davvero nulla sarà come prima. L’interrogativo a cui dare una risposta è se sarà meglio o peggio e sulla bilancia vincerà la convinzione della propria identità, su cui lavorare per migliorare la propria condizione riprendendo il cammino di uno sviluppo equo e sostenibile, o far prevalere lo sconforto del sentirsi soli e non sapere da che parte riiniziare.
Ci racconta Maddalena che da 18 anni d’estate vende in Via Roma il suo artigianato di pezzi fatti a macramè, avendo vissuto a lungo nell’isola ed essendo oggi d’inverno a Catania per suo figlio, che vuole fare tante attività lì impossibili; che arrivata a Lampedusa ha trovato troppe persone: perse, vaghe, confuse, arrabbiate e con le sue parole ha spiegato come abbia sentito che qualcosa è davvero cambiato e che ha percepito in tanti la lotta tra energie positive e negative. Neanche a dirlo noi siamo perché Lampedusa riprenda il suo cammino di successo e vincano le energie positive. Hai visto mai che la storia racconti domani che quei 50 giorni che coinvolsero e sconvolsero l’isola furono occasione per capire e scegliere nuove buone strade. La sfida però è davvero aperta e tutta in salita.
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