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Comunità precaria

Comunità precaria

Conversazione con Betty Leone - Il rischio è che la cittadinanza resti passiva di fronte alle scelte riguardanti il proprio futuro

Di Sabatino Guendalina Martedi, 15/09/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2009

Betty Leone, dirigente nazionale di Sinistra e Libertà, pacifista e altromondista, è stata Segretaria Generale Nazionale dello SPI CGIL fino al 2008. Per la sua particolare attenzione alle politiche di genere ha rappresentato il sindacato italiano nei forum internazionali sulle tematiche femminili a Rio de Janeiro e a Melbourne. Il suo appassionato impegno nelle trattative ha contribuito a scrivere leggi importanti che migliorano la qualità della vita delle donne come la legge n. 53 sui congedi parentali e per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Da tre mesi, come i suoi concittadini, fronteggia quotidianamente le tragiche conseguenze del sisma nel capoluogo abruzzese. Non è ottimista per la ricostruzione.



Quali pensieri hanno attraversato la sua mente il 6 aprile?

Nonostante la paura avuta, poiché la struttura della mia casa aveva resistito, non immaginavo il disastro fino a quando ho aperto il portone e ho visto le macerie e lo sgomento delle persone che si radunavano sulla piazza. Ho pensato subito a mia madre che abitava da sola all’altro capo della città e ho attraversato tutto il centro a piedi per raggiungerla; lo spettacolo lungo la strada era agghiacciante ma fino all’ultimo non ho voluto credere che ci fossero vittime. Mia madre fortunatamente era viva, tratta in salvo dai vicini di casa che avevano scardinato la porta bloccata per liberarla.

È seguita una lunga allucinante giornata in cui arrivavano le notizie di morti, si cercavano i parenti, gli amici e si vagava senza meta tra le rovine. Solo a sera mi sono convinta a lasciare la città per andare sulla costa con la mia famiglia.



Lei, come sessantamila aquilani, vive ancora la condizione di sfollata.

Sono ospite a S. Stefano di Sessanio, a 30 km dall’Aquila, spero di poter contribuire alla ricostruzione della città. Il Governo fa molte promesse ma le risorse sono poche e in questi mesi la gestione autoritaria della Protezione civile ha reso i cittadini passivi di fronte alle scelte riguardanti il loro futuro.



Eppure gli aquilani hanno manifestato in città e a Roma per la partecipazione attiva dei residenti alla ricostruzione.

Mi riferisco ai 20 mila abitanti che vivono nelle tendopoli, molte recintate; loro da mesi sopportano un regime di vita di tipo militare con i controlli all’ingresso e all’uscita e il divieto di riunirsi senza autorizzazione quando si è in più di 5 o 6 persone. Inoltre nelle tendopoli non è stato possibile fare campagna elettorale per le europee. Queste, e altre restrizioni, all’inizio giustificate dall’emergenza, sono diventate un sistema di controllo che aggrava i già pesanti disagi dovuti al caldo, alla pioggia, alla mancanza di intimità che impedisce ogni ricostituzione di una comunità, anche precaria, capace di assumere responsabilità rispetto alla ricostruzione.



(15 settembre 2009)

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