Corpi/ Danza a Salerno con Susanne Linke - “Mi rammarica vedere un diffuso gusto per il trash, un esibizionismo che stravolge quella che è l’essenza della danza”
Giulia Salvagni Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2005
Susanne Linke ha costituito, accanto a Pina Bausch e a Reinhild Hoffmann, il nucleo storico del Tanztheater tedesco. Le tre innovatrici della danza tedesca hanno in comune un approccio poetico con la realtà dalla quale estrapolano percezioni, gesti, dettagli apparentemente banali.
Così come Pina Bausch - indimenticabile in “Caffè Muller” - rappresenta l’alienazione, e la ribalta utilizzandola in alcuni casi come mezzo di comicità (“Victor”, “Nur du only you” ed altri), Reinhild Hoffmann rappresenta la limitazione sistematica della libertà della donna: in “Solo mit sofa” il vestito della danzatrice è un tutt’uno con la fodera del divano, la donna è legata all’oggetto, non riesce ad emanciparsi dall’essere essa stessa oggetto.
Susanne Linke, nata nel 1944 a Lüneburg, in Germania, è stata interprete della caduta di senso, dell’angoscia quotidiana, della dissipazione inutile delle energie. In “Im bade wannen”, creato negli anni Ottanta, danza con una vasca da bagno, il rapporto tra il suo corpo e l’oggetto passa dall’astrazione al contatto con l’oggetto: lo lucida, vi si immerge, lo fa scivolare. Coinvolge la massiccia vasca color avorio in giravolte e sbilanciamenti fino ad offrire inquadrature surreali, riesce a trasformare gesti consueti in malinconica poesia.
A Salerno un’iniziativa a lei dedicata ha il titolo “Prospettive – Susanne Linke tra arte e vita” e fa parte del progetto “Itinerari… intineranti” a cura di Maria Cristina Buttà, E. Cianchi e Claudio Malangone. Domenica 3 e Lunedì 4 luglio il Teatro delle Arti e la Chiesa dell’Addolorata saranno animate da un susseguirsi di mostre, video, dibattiti, workshop dedicati all’artista che, qui intervistata, spiega alcuni suoi punti di vista sull’arte della danza. Ebbi la fortuna di vederla nel 1982, quando venne a Roma con il suo famoso “Im bade wannen”. Fu una scoperta, ricordo i tanti giovani che seguirono il suo stile…
Quelli erano altri tempi, oggi il mondo della danza è cambiato, ci sono molte persone che non sono più interessate al teatrodanza. Non vorrei fare un discorso generalista, certo ci sono ancora alcuni giovani coreografi che fanno ricerca sulla gestualità del proprio corpo senza perdersi in concessioni esteriori. Mi rammarica tuttavia vedere un diffuso gusto per il trash, mi riferisco al genere che propone la televisione, non solo quella italiana, dove lo scopo principale è quello di attrarre, colpire l’attenzione del pubblico. Quell’esibizionismo stravolge quella che è l’essenza della danza. Qual’è il concetto di base che intende trasmettere ai coreografi che lavorano con lei?
È necessario che raggiungano un buon livello di onestà e chiarezza in loro, per riuscire ad elaborare le loro idee, per comunicarle. È importante che credano fino in fondo a quello che vogliono comunicare. Non basta fare qualcosa perché è di moda o perché piace. Le cose devono uscir fuori da ciò che si sente dentro. È importante partire da una base onesta sulla quale costruire un’idea del tema che si affronta, una ragion d’essere che dia un senso alla struttura della composizione. Quindi lei ammette l’esistenza di una struttura coreografica.
Certo, senza struttura non esiste coreografia. Per costruire qualsiasi cosa hai bisogno di una struttura, sia per i movimenti che per le coreografie. Questo è importante soprattutto per gli spettatori, per qualsiasi cosa si crei da comunicare a qualcun altro. Si crea anche per sé stessi, ma non si è soli al mondo e quindi si deve poter comunicare il senso del proprio lavoro. Gli spettatori devono poter capire quello che stai facendo sul palcoscenico, per questo è necessaria una struttura. Il nostro studio consiste nel riuscire a trovare ognuno una propria struttura. Di cosa ha bisogno una coreografia per essere comunicativa ed efficace?
Deve scaturire da una continua ricerca di consapevolezza di sé e di ciò che si va a esprimere. Se c’è onestà interiore, chi ti osserva la percepisce. Dove c’è umiltà e semplicità, la fantasia si libera ed emergere in modo spontaneo. Per riuscire a gestire questo processo sono necessarie esperienza e professionalità. Non è facile creare una struttura adeguata a questo genere di lavoro in modo da renderci comprensibili. Quello che spesso si tende a fare è il contrario, si parte dai movimenti, si aggiungono gesti su gesti fino creare delle frasi danzate che però non hanno un’origine profonda e quindi non comunicano nulla.
(24 giugno 2005)
*(L’intervista completa è stata pubblicata sul periodico da:NS)
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