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Competere, contro le discriminazioni!

Competere, contro le discriminazioni!

Sport / Intervista a Luisa Rizzitelli - Rappresentanza, differenze salariali, valorizzazione delle competenze, diritto alla maternità e allo studio. Nello sport traguardi ancora lontani secondo Assist

Rosa M. Amorevole Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2006

Nonostante la Carta europea per lo sport, attuata nel 1992 e rivista nel 2001, e la Risoluzione del Parlamento su “donne e sport” adottata nel 2003, anche in questo campo i diritti di donne e uomini non appaiono uguali, tanto da richiedere l’introduzione del principio di non discriminazione nell’esercizio, nell’accesso e nella valorizzazione di tali attività.
In Italia nel 2000 nasce ASSIST (ASSIST, Associazione Nazionale Atlete
Via Filippo Bernardini, 11 – Roma), associazione no profit che intende occuparsi della tutela delle atlete che praticano lo sport in maniera continuativa e per fornire loro anche assistenza gratuita, grazie ad una rete di professionisti avvocati e fiscalisti. Sostiene la necessità di una legislazione di un professionismo “sostenibile”, che tuteli le forze delle società sportive, ma anche i diritti di atlete e atleti. Abbiamo incontrato Luisa Rizzitelli, la presidente.

Come nasce Assist?
Da un incontro con alcune grandi ex atlete, avvenuto qualche anno fa a Salerno, al quale ne sono seguiti altri con le capitane delle Nazionali di varie discipline sportive: tutte concordavamo sul fatto che lo sport femminile fosse discriminato. Discriminazioni che avevo già vissuto da atleta pallavolista, replicato però in decine di altre discipline, indipendentemente dal valore mediatico ed economico. Così con alcune di quelle Nazionali promotrici e altre amiche ex atlete, abbiamo fondato Assist.
Il nostro lavoro si svolge specialmente a livello politico dove stiamo cercando di riscrivere le regole di uno sport moderno, contando sulla sensibilità di ex atleta del Ministro Melandri e sul grande valore del Presidente Petrucci.

Cosa sta alla base di questa discriminazione avvertita?
La Legge 91/81 (Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti), che non è accessibile per le donne. Nessuna disciplina sportiva femminile è riconosciuta (dalle Federazioni Sportive Nazionali), neppure quelle come il volley, il basket, lo sci dove il movimento dei “compensi” è assolutamente ragguardevole. Questo significa che nessuna atleta, pur facendo lo sport come professione per anni, può avvalersi di una legge che ne regolamenterebbe ogni passaggio (contrattualistico, previdenziale, di assistenza sanitaria ecc.) perché le regole valgono solo per quelli di sesso maschile.

In altre parole, cosa significa?
Che sei professionista solo se lo dice la Federazione con intervento qualificatorio, altrimenti rimani sempre - solo - una sportiva dilettante e la legge non è per te. Ne conseguono una serie di assurdità: i compensi vengono chiamati rimborsi anche quando superano di gran lunga cifre che possono ritenersi tali. Ed è sorprendente che sia la stessa legislazione fiscale ad ammettere che un soggetto dilettante possa conseguire redditi di importi anche largamente superiori ai 25 mila euro. In sintesi: tasse si, diritti no.

Sport e rappresentanza: anche quando si parla di sport femminile, la dirigenza è maschile?
Anche in questo caso non c’è mai stata una presidente di federazione donna, “coerentemente” con la scarsità di dirigenti donne.
Una piccola nota positiva: con l’ingresso degli atleti, grazie al Ministro Melandri abbiamo avuto partecipazioni illustri nella Giunta CONI e nel Consiglio Nazionale (Bellutti, Trilllini, Sensini e altre); tuttavia nella gestione dello sport federale e associativo le donne sono mosche bianche con forti difficoltà di conciliazione tra i tempi di lavoro (lo sport) e i tempi delle riunioni in particolare quelle delle riunioni dei consigli federali.
La maggiore presenza di donne potrebbe favorire maggiore equità nella ripartizione degli investimenti per gli sport maschili e femminili, nel valore delle borse di studio federali e dei premi di risultato che oggi ci risulta siano superiori per gli uomini rispetto a quelli dati alle donne nella medesima disciplina.

Atlete e madri..in Italia si può?
In pochissimi casi si può. Un grande esempio lo ha dato la Federscherma, congelando per le atlete madri il ranking (cioè il loro punteggio, fondamentale per rientrare subito in competizioni di alto livello) e mantenendo loro le borse di studio. Un’eccellenza da imitare, perché esiste ancora la vergogna delle clausole anti-maternità, frequentissime nei contratti degli sport di squadra dove l’atleta che resta incinta si vede risolto unilateralmente il contratto. In alcuni casi esiste addirittura una penale. I diritti di maternità per Assist rappresentano una delle sue più agguerrite battaglie: ne hanno parlato a Roma il 30 novembre, in un convegno che abbiamo organizzato insieme ad Agensport.
Anche nello sport le donne non vogliono solo vincere, vogliono anche partecipare. Alla pari!


IN ITALIA SVOLGONO PRATICHE SPORTIVE
il 37,8 dei maschi
il 22,6 % delle femmine
FONTE: ISTAT

IN SVEZIA SVOLGONO PRATICHE SPORTIVE
il 70% dei maschi
il 70% delle femmine
FONTE: STUDIO COMPASS




La definizione di “sportivi professionisti”...
...vale per gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi e i preparatori atletici che “esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso, con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal Coni e che conseguono la qualificazione dalle Federazioni Sportive Nazionali, secondo le norme emanate dalle Federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal Coni per la distinzioni dell’attività dilettantistica da quella professionistica”.
(18 dicembre 2006)

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