COME UNA REGINA MAYA - breve racconto pubblicato su DONNE CHE FANNO TESTO
E com’è quindi che stamani mi sento diversa? Sono diversa….
Chissà perché, chissà percome, il mio pensiero va alla regina Maya del sogno. Vuoi vedere che lei …. sono davvero io? Vuoi vedere che il sogno è diventat
Lunedi, 28/05/2012 - Non mi svegliate: sto facendo un sogno stupendo. Non mi svegliate: potrei diventare tremenda. E io sono tremenda. Sono tremenda? No, non lo sono…. ma vorrei tanto esserlo. Vabbè, diciamo che l’importante è provarci.
Comunque il mio sogno è incredibile: sono una regina Maya (tremendissima) appollaiata su un grande trono d’oro, dentro un tempio. E ho intorno decine di servitori che mi portano cibo speziato su vassoi grandi come un letto e bevande di cacao in calici enormi. Alcuni di loro agitano ventagli con piume di pappagallo.
Tutti mi temono: lo percepisco nell’aria. E’ una sensazione bellissima. Sono al centro dell’attenzione di un popolo intero. Quassù, in questo luogo sacro, costruito sopra una piramide tronca con gradinate enormi. Ai piedi della piramide, una folla puntiforme disseminata nella pianura. C’è il silenzio assoluto.
Quasi quasi non mi muovo più di là. C’è un modo per rimanere intrappolati in un sogno?
No. Mi sa tanto che non c’è, perché sto sentendo quel suono stramaledetto di quella sveglia stramaledetta, poggiata sulla pila di libri accanto al letto. E non posso urlare un bel chissenefrega come vorrei. Non posso perché devo alzarmi, lavarmi, vestirmi e uscire di casa per andare in quel luogo infernale. Anche detto luogo di lavoro.
Ciao trono. Ciao piramide. Ciao servitori. Spero di sognarvi nuovamente stasera. Magari preparatemi pure un bagno caldo con il patchouli. No. Il patchouli forse è asiatico: mi fido di voi, scegliete qualcosa di vostro gradimento.
Eccomi qua: sono restaurata a dovere. Non è che sia una cariatide. Sono una ragazza “cresciuta”, con un fisichino accettabile. Mangio troppa cioccolata e mi viene la cellulite, ma fa niente. Ho adottato un rimedio infallibile: non la controllo. Io e la cellulite conviviamo nello stesso corpo in una civile e reciproca sopportazione.
E con questo pensiero alla mia vecchia nemica, esco di casa con il sole che sorge. Scendo le scale del palazzo velocemente, come sempre.
Vicino al portone, ecco la Bice, portinaia perfetta. Mi ha visto praticamente crescere, in quella casa dove ora vivo sola soletta.
“Lucrezia, stai un po’ attenta a dove metti i piedi! Ho appena lavato per terra!” e la Bice mi saluta come ogni santo giorno.
“Visto che non so volare, non mi resta che camminare! Magari potresti considerare il fatto che a quest’ora usciamo tutti per andare a lavorare!” taglio corto con decisione.
Taglio corto con decisione? Io? Ieri e altri dieci milioni di volte circa ho provato davvero a volare, per non lasciare impronte di tacco sul pavimento lavato dalla Bice. Come ho fatto a dire ciò che ho detto? Strano.
Beh, mi dispiace pure: la Bice mi è simpatica. E’ che a volte fa troppo la despota.
Ormai sono uscita dal portone. Quel che è fatto è fatto.
Il sole mi scalda per bene in questa mattina di fine maggio. Vorrei tanto essere in ferie, ma non mi toccano. Almeno per ora. In ufficio, il capo dice che quest’anno le ferie si faranno solo a ferragosto, due o tre giorni. Un lusso. E io che ho risposto? “Va bene”. Una risposta tipica delle mie. Le alternative sono: ok, d’accordo, detto e fatto. Io non so dire “no”. Il mio personale vocabolario rifiuta questo termine.
Ma eccomi dentro la metro. Rumori di ogni mattina, chiacchiere, odorini non proprio simpatici, gente sonnacchiosa e cupa. Solo qualche ragazzetto con lo zaino che ride per un nonnulla. Beata gioventù: non mi ricordo neppure più com’ero. Sicuramente, oltre alla cellulite, avevo i brufoli.
Un uomo mi guarda insistentemente. Si avvicina. Le persone premono le une contro le altre, in piedi, con il braccio appeso alle sbarre di ferro per non cadere. L’uomo non si tiene. Ad un tratto mi viene vicinissimo e io sento in modo preciso…. un pizzico sulla cellulite. Cioè, ergo: questo mi tocca!
La mia mente non si ferma a riflettere e se lo fa, la mia mano destra se ne frega altamente, perché stampo cinque dita in faccia al signore dabbene. E la mano sembra incollata. Quando decido di scollarla…. rimango a bocca aperta. Due mesi fa mi era successa la stessa cosa con un altro tipo e ho elaborato il lutto facendo finta di niente. In pratica, ho subito. Ora no. Ma che cappero mi sta succedendo? Addirittura uno schiaffo!
Mi viene da ridere, ma mi trattengo. L’uomo è imbarazzato, non dice una parola e si allontana, in mezzo ai commenti bisbigliati delle persone vicine. Un’anziana signora esordisce dal suo seggiolino con un “brava” di approvazione. Forse anche lei ha taciuto troppe volte, per troppi pizzichi.
Quasi quasi non mi rendo conto di essere arrivata a destinazione. Scendo trafelata e corro, come sempre, verso la fermata dell’autobus. Bus numero diciassette. Porta male, lo so, ma non posso far cambiare il numero: non ne ho il potere.
Sull’autobus c’è una ressa da paura: le sardine in scatola stanno più comode di noi. Un ragazzo nero è seduto accanto al finestrino: sembra assorto nei suoi pensieri. Due ragazzi con lo zaino stracolmo (probabilmente di libri) ridono e lo guardano. Ad un tratto, uno dei due lo apostrofa: “ehi, cioccolato, mi fai sedere? Alzati che quel posto è mio, di diritto!” e sghignazza a più non posso, fiero del suo coraggioso modo di esprimersi.
Io vorrei stare zitta. Ma oggi non so cosa mi stia succedendo. La mia consueta timidezza è come se fosse evaporata.
“Senti un po’, latticino.... se ti vuoi sedere, siediti per terra!” esordisco, fissando il ragazzo dritto negli occhi.
“Ma io….” prova a dire il giovincello.
“Ma tu cosa? Prova a radunare quei due o tre neuroni che hai e vedi di tacere! Sempre preferibile, anziché dire le idiozie che hai detto!” e le mie parole lo destabilizzano. Il ragazzo si chiude in un silenzio abissale, mentre l’amico abbassa la testa per non essere colpito dai miei sguardi tremendi.
Ecco. Sguardi tremendi e parole tremende. Tutto tremendo. Oggi sono tremenda. Ma io in genere non sono così. Io sono conosciuta come una “buona”. E pure un po’ fessa. Perché non sono capace di reagire, di dire la mia: sono soggetta alla sindrome da pietrificazione immediata. Di fronte a soprusi, cattiverie e angherie, io divento una statua, un essere inanimato.
E com’è quindi che stamani mi sento diversa? Sono diversa….
Chissà perché, chissà percome, il mio pensiero va alla regina Maya del sogno. Vuoi vedere che lei …. sono davvero io? Vuoi vedere che il sogno è diventato realtà? Sono la reincarnazione di una regina Maya….. tremenda. Tremendissima.
Se è così, è davvero stupendo.
Voglio stare al gioco. Non mi trattengo. Seguo il flusso degli eventi. E vediamo quel che succede. Al massimo, qualcuno mi manderà a quel paese.
Tra mille pensieri ed ipotesi, sono arrivata davanti alla porta dell’ufficio. Studio di comunicazione ed immagine: praticamente, ci occupiamo di pubblicità, realizziamo pubblicità, creiamo pubblicità. E io disegno. Sono una illustratrice-bozzettista del team. Tutti uomini. Sono l’unica donna: mi devo subire quotidiane barzellette spinte e battutacce provocatorie da taverna. E loro credono che io sia la lobotomizzata a cui non frega nulla. Una stupida.
La mia scrivania è occupata, come sempre, da Raf. Ma lui è un amico: l’unico vero amico che ho lì dentro. Meno male che al mondo ci sono uomini che amano le donne.
Raf mi strizza l’occhio e mi scompiglia i capelli: è il suo benvenuto di ogni mattina. Forse vuole attivare per bene le mie sinapsi.
“Oggi sono strana, diversa…. “ dico al mio amico, mentre mi guarda attraverso i suoi occhiali nuovi con la montatura rossa.
“In che senso?” chiede Raf mentre cerca caramelle nella mia borsa.
“Tremenda” rispondo sicura di me.
Raf scoppia a ridere ed esce dalla mia stanza scuotendo la testa. Non ci crede, ovvio. Fino a ieri ero il brutto anatroccolo: oggi sono un cigno. E nessuno qui dentro lo sa ancora.
Il capo entra senza bussare e mi urla con la sua voce baritonale: “Briefing immediato! Tutti da me! Subito!”
Raduno due cose - tipo blocco e penna - e vado. Prima però mi dò una pettinata alla chioma.
Il briefing: che termine! Tanto per darsi un tono. Fa molto trendy. E chiamatela riunione, che si fa prima. Comunque la riunione è nella stanza grande: l’ufficio del capo.
“Ci siete tutti? ……tre, quattro, cinque. Okay, ci siete tutti. Bene. Briefing perché? Perché qui abbiamo un pezzo da novanta. Nota casa produttrice di birra che ci chiede una pubblicità originalissima. Tre agenzie in ballo, tra cui noi. Dobbiamo eliminare le altre. Dobbiamo ottenere il contratto. La mia idea è quella di puntare sul sesso. Donna procace, biondona, curve da autostrada del sole: non si sbaglia mai. Andiamo sul sicuro. Allora d’accordo. Voi adesso mi preparate due progetti diversi e me li sottoponente entro domani!” il re ha emanato l’editto.
“Non mi piace! Non sono per niente d’accordo! Questa è una pubblicità sessista!” sento una voce squillante che irrompe nell’aria come un temporale. La voce è la mia. Sì, credo proprio che sia la mia. E la mia voce ha detto praticamente un bel “no” al capo.
Dunque. Adesso, non so cosa potrà accadere. Il capo non vuole mai sentirsi dire di no. Infatti si alza dalla poltrona di pelle (umana?) e mi si para davanti. Capperi! Mi vorrà eliminare fisicamente?
“Lucrezia! Pubblicità sessista? Beh, allora trovami tu un’idea! Ma non entro domani…. entro stasera! Se la tua idea va bene, ti affido la campagna pubblicitaria. Altrimenti, continui a disegnare per il resto della tua vita, senza più emettere un fiato!”
“Okay. Ma tanto fiaterò eccome. Visto che la mia idea sarà stupenda!” e senza guardare le facce certamente sbalordite dei colleghi uomini, esco dalla stanza in un nano secondo.
Raf mi segue a ruota: “Ma sei impazzita?”
“Forse sì. A me piacciono tanto i pazzi….” rispondo ridacchiando.
Non so come andrà a finire. Forse avrò l’incarico, forse no. Ma vogliamo metterci un bel chissenefrega? L’importante è che io da oggi mi senta davvero un’altra.
Grazie regina Maya, grazie sogno. Adesso sono un cigno…. e volo….
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