Mercoledi, 10/04/2019 - Scrivo perché le belle manifestazioni di Friday for Future ci riguardano senza distinzioni e ci hanno regalato una boccata di speranza e commozione. Davvero da qui bisogna ripartire insieme per passare dal dire al fare, subito.
Ma scrivo alla redazione e alle lettrici di NoiDonne anche per condividere una preoccupazione, forse marginale ma non credo trascurabile per chi, come me, sa che il linguaggio non è mai neutro. A suscitare la mia apprensione sono due scritte esibite a Trento il 16 marzo da manifestanti, che dimostrano un uso di parole violente legate alla sessualità. I cartelli che mi hanno colpita dichiarano: “Fuck me not the planet” e “Destroy my pussy not the planet”. Allego due immagini della manifestazione dove li ho visti ostentati da gruppi di ragazze.
Scrivo dalla Provincia di Trento, fin qui esempio virtuoso di gestione liberal dell’autonomia, dallo scorso autunno governata dalla Lega che, fra altre misure, ha sospeso i corsi di educazione alle relazioni di genere e affetti che con successo si tenevano da quattro anni nelle scuole medie e superiori; sospeso i corsi di italiano per i migranti ed espulso rifugiati che avevano trovato accoglienza e anche lavoro; abolito il Comitato faunistico (nella speranza che a lupi e orsi possa sparare chiunque); presentato una mozione antiabortista per dichiarare “Trento città a favore della vita”; e il 22 marzo ha ospitato nel Palazzo della Provincia il convegno Donne e uomini, solo stereotipi di genere o bellezza della differenza? (prove generali del World Congress of Families di Verona il 29: vi sono tre voci marcatamente “anti-gender”— la ex presidente del Movimento per la Vita, una psichiatra che si occupa delle “conseguenze psichiatriche dell’aborto” e uno psicologo che si occupa di “disturbo ossessivo compulsivo e psicologia della vita consacrata”) al quale non hanno permesso la partecipazione di pubblico né previsto la possibilità di confronto fra parti.
In questo clima oscurantista in cui ai giovani si negano educazione alla sessualità, agli stereotipi di genere, e agli affetti, impensierisce vedere gruppi di ragazzine dichiarare “fotti me non il pianeta” e “distruggi la mia figa non il pianeta”. Costringe a chiedersi se costoro troveranno nel loro percorso di crescita educatrici ed educatori capaci di guidare i loro sentimenti a trovare parole che rispettino prima di tutto loro stesse e poi anche le altre e gli altri con cui vogliono comunicare. Porta a capire ancora una volta che la cura del linguaggio non può essere trascurata da una società che cerca di contrastare odio e violenza.
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