Il segreto di Esma - Una regista bosniaca racconta le atrocità subite dalle donne nel conflitto balcanico
Colla Elisabetta Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2006
La guerra nei Balcani e l’orrore fra gli orrori, quello degli stupri etnici. Dopo l’apprezzatissimo film della regista catalana Isabel Coixet, La vida secreta de las palabras (quattro premi Goya nel 2005), storia di una donna annientata dalle violenze psico-fisiche vissute durante la guerra nella ex-Jugoslavia, arriva in Italia un altro lungometraggio di grande intensità sullo stesso drammatico tema, Il segreto di Esma, coraggiosamente distribuito dall’Istituto Luce e patrocinato da Amnesty International. Si tratta dell’ispirata opera prima di una giovane regista di Sarajevo, Jasmila Žbanić, che con questo film ha vinto l’Orso d’Oro al Festival di Berlino 2006, toccando con grande intelligenza un argomento delicato e durissimo come quello delle violenze sessuali subite da tante donne in Bosnia durante la guerra del 1992-1995. Una vera e propria strategia “militare”: lo stupro come arma per cambiare l’aspetto demografico di un paese. “Ho pensato alla sceneggiatura di questo film quando è nata la mia prima figlia - racconta la regista - mi chiedevo come dev’essere odiare un figlio. Lo stupro per me è uno dei reati più violenti che ci siano: ho vissuto a Sarajevo sotto le bombe ma la cosa più terribile era l’attesa dei soldati che distruggevano la dignità delle donne, anche delle religiose, che venivano colpite appositamente, soprattutto le donne musulmane perché quella era la strategia dell’esercito. I danni psicologici per le donne sono incalcolabili”. Il titolo originale, Grbavica, indica il quartiere di Sarajevo dove la guerra fu più cruenta e più numerose le violenze, mentre il titolo italiano ha scelto di fare riferimento al mistero che la protagonista Esma (la bravissima attrice Mirjana Karanovic, interprete di tanti film di Emir Kusturica) racchiude in sé, rimuovendo il passato e nascondendo la verità alla sua unica figlia, Sara, una dodicenne vivacissima e ribelle (che sembra racchiudere in sé la rabbia delle sue origini ma anche la dolcezza della gioventù) con la quale vive nella Sarajevo post-conflitto. Sara crede che suo padre, mai conosciuto, sia un “martire” morto in battaglia (condividendo la sorte di altri suoi compagni, fra i quali Samir, il suo miglior amico) ma la madre rimanda di giorno in giorno l’esibizione di un certificato che esenta i figli dei caduti dal pagamento delle tasse scolastiche. Esma lavora giorno e notte per non far mancare niente all’amata figlia, finché un giorno, in seguito ad un litigio, la realtà verrà esternata e Sara scoprirà di essere frutto di uno stupro etnico avvenuto in un campo profughi. Esma riuscirà solo allora, dando sfogo ad una sofferenza troppo a lungo repressa, a raccontare la sua esperienza - fra lacrime liberatorie - ad un gruppo di sostegno ed auto-aiuto, come tante donne nella vita reale: prima che la bambina nascesse la odiava e sperava di abortire ma poi, dopo averla vista, non era riuscita respingerla. “Ho pensato che l’odio e l’amore - continua la regista - fossero gli unici sentimenti adatti a raccontare questa storia e rispondere alla domanda: come superare tutto questo? Grbavica è prima di tutto una storia d’amore, di un amore che non è puro, perché è stato contaminato dall’odio, dal disgusto, dal trauma, dalla disperazione ma il film parla anche di costruire qualcosa di nuovo, dell’amore come emozione complessa e della verità, un potere cosmico necessario al progresso di cui la società in Bosnia-Erzegovina ha molto bisogno nella sua lotta verso la maturità”. Il film ha uno stile di regia personalissimo: spesso gli attori si trovano l’uno di fronte all’altro, si studiano, si tengono testa, avvicinandosi o allontanandosi, viso contro viso, vita contro vita, emozione contro emozione. I personaggi che ruotano intorno alle due donne disegnano un quadro complesso dell’attuale situazione del paese: la povertà e la mancanza di lavoro possono generare solidarietà (come nel caso della colletta fatta dalle operaie della fabbrica tessile) ma anche crudeltà ed interessi spietati, come nel caso del locale notturno in cui Esma lavora, il Club America. “Ho voluto descrivere questo Club nel film - dice infine Jasmila - perché rappresenta bene il modo in cui sta cambiando il nostro paese nei suoi aspetti peggiori, e lo stupro qui ha anche una valenza simbolica. i nostri politici, uomini, vogliono nascondere quello che è successo durante il conflitto e le donne vittime di stupro non hanno neppure lo status di vittime di guerra. Alcune hanno tenuto i bambini, altre hanno abortito o si sono suicidate, non esiste un’associazione che possa far sentire la loro voce ma dopo il Premio di Berlino abbiamo cominciato a raccogliere firme in favore di queste donne".
(05/12/2006)
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