Giovedi, 14/02/2013 - Conoscete Barbara Pym? Sono sicura di no eppure se è così perdete una scrittrice di primo ordine.
Barbara nacque nel 1913 e morì, nubile, nel 1980. Passò parte della guerra all'ufficio censura della corrispondenza con l'estero, e parte in divisa di ausiliaria; per un certo periodo fu di stanza a Napoli. In seguito lavorò all' International African Institute, fra l'altro come redattrice del giornale antropologico “Africa”. Scrisse dieci romanzi, sei dei quali uscirono fra il 1950 e il 1961, e gli altri fra il 1977 e il 1981.
Provate a cominciare a leggere “Donne eccellenti” (La Tartaruga edizioni, 1996, con prefazione di Masolino D'Amico) e vi renderete conto che la Pym è stata definita a ben ragione la Jane Austen dei nostri tempi.
La protagonista, Mildred, è impiegata a mezza giornata presso il Centro per la tutela delle gentildonne anziane, è una single che difende la sua indipendenza (“esistenza che mi sono fatta da sola a Londra”, “il matrimonio non è tutto”, “il matrimonio non è sempre rose e fiori”) considerato poi che “ciascuno dei due sessi ha difficoltà a capire l'altro” (p. 136) e che dimostra grande conoscenza del genere umano, dagli uomini definiti egoisti ed “eterni bambini” alle donne, incomprensibili, che spesso dimenticano le loro incombenze casalinghe per coltivare i propri ideali. Mentre gli uomini “che non sono affatto indifesi e patetici come talvolta piace immaginare alle donne” (p. 204), sono costretti a occuparsi di tutto, devono cucinare e lavare i piatti...sono stremati (p. 57). I costumi infatti cambiano e...che cosa fanno le donne che non si sposano?... Stanno in casa con un genitore anziano e si occupano dei fiori, almeno così facevano un tempo, ora però è più probabile che lavorino, facciano carriera e vivano in un monolocale o in una pensione...” Considerazioni di una lungimirante realtà...
Quale è la donna eccellente? E' Mildred, figlia di ecclesiastico, che non deve sposarsi poiché la vita è già abbastanza difficile senza questi propositi allarmanti: “Ti ho sempre creduta così equilibrata e assennata, una donna davvero eccellente. Mi auguro che tu non stia pensando al matrimonio”, è quello che le dice nel corso di una cena il suo amico William. Mildred è sempre pronta ad aiutare gli altri e a farsi carico dei loro problemi.
E' in fondo la pacata e profonda saggezza, una lezione di buonsenso ed equanimità (se il matrimonio non funziona “le colpe sono sempre di entrambi”, p. 196) che emerge dalla scrittura della Pym, sempre limpida ed equilibrata, e dalla sua visione della vita in cui ognuno è felice stando al proprio posto nel rispetto della posizione sociale e dei sentimenti degli altri.
Il modello femminile che propone è quello di una donna emancipata che si dedica talmente al suo lavoro – la protagonista è un'antropologa – da dimenticare le faccende domestiche: “Ora sono costretto a occuparmi di tutto, devo cucinare e lavare i piatti...sono stremato” dice il marito, Rocky, esempio antesignano di parità...Questo modello assumerà sempre più importanza anche se ancora: “appartenevano a quella generazione di uomini che non pensa di dover contribuire ai lavori domestici (p. 217)”.
La capacità di introspezione psicologica, accompagnata da una vivace ironia è lo sguardo che la protagonista porta sugli altri, è la penetrazione di osservazioni dei vizi e delle virtù di uomini e donne: “Le coppie sono così abituate a chiamarsi “caro” e “cara”, che non si accorgono di quanto suoni falso quando sono arrabbiati o annoiati” (p.57).
Fa piacere scoprire che l'autrice è una fine conoscitrice di “languide sciocchezze” di Christina Rossetti o Matthew Arnold o Omar Khayyam o Keats:
“Meglio che tu dimentichi e sorrida
che non che tu ricordi, e t'intristisca...”
oppure
poco conoscer è cosa pericolosa
bevi a fondo, o non toccar dalla sorgente Pieria
oppure
“Sì! Isolati nel mare della vita,
Con abissi echeggianti tra di noi,
Pulviscoli nel liquido deserto senza sponde,
Noi, milioni di mortali, viviamo SOLI”
conoscenza che lascia intravedere la grande cultura posseduta da Barbara che era infatti laureata in Lingua e letteratura Inglese a Oxford.
Infine è da notare che su tutto troneggia la metafora del tè: è vero che si tratta di un’abitudine tutta britannica ma è anche vero che è il momento nel libro dela resa dei conti, dell’assunzione di responsabilità e consapevolezza, delle grandi decisioni
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