Martedi, 07/04/2020 - Maria era nata da un parto gemellare nella piovosa mattina del 7 aprile 1907 e la sua modestissima famiglia non aveva neppure potuto gioire dell’evento perché negli immediati giorni successivi aveva dovuto fare i conti con una scelta terribile: quale dei due bambini poter alimentare? Si, perché nessuno si aspettava un parto gemellare e quella madre, che non aveva latte per la miseria, non poteva neppure garantire ad entrambi i suoi bambini una giusta alimentazione. Solo uno dei due poteva essere mandato a balia, per l’altro si sarebbe provveduto con latte vaccino diluito con acqua di riso. Così, visto che in famiglia c’erano già quattro figli maschi e nessuna bambina, quella drammatica decisione fu presa a suo favore. E il piccolo Mario, che non era abbastanza robusto per sopravvivere a quelle condizioni, era morto nel giro di pochi giorni facendo piombare l’intera famiglia in un dolore immane. Ma quella scelta tanto sofferta lei non la dimenticò mai e così, come la vita le era stata donata, lei, mossa da una generosità senza limiti, sapeva viverla e restituirla con altruismo, al suo prossimo.
Quella neonata, che si affacciava alla vita portandosi addosso ancor prima di rendersene conto l’enorme fardello della morte del fratellino, diede alla sua esistenza un tale vigore e significato che sembrava possedesse in sé l’energia vitale di entrambi. E questo contribuì, quando divenne adulta, a farne una staffetta partigiana, che con il nome di battaglia di “Nena”, in sella alla sua bicicletta arrugginita, portava ordini e munizioni ai compagni della Brigata Garibaldi. Senza che nessuno della sua famiglia sapesse dove si dirigeva quando partiva per i suoi viaggi, lei, da creatura libera ed indipendente quale era, non diceva mai dove andava. E nessuno le chiedeva mai ragione delle sue assenze da casa. Tutti nella sua famiglia infatti sapevano bene che era una persona giudiziosa ma estremamente riservata, che non amava raccontare a nessuno quel che faceva. Era una donna coraggiosa e ribelle che non aveva mai accettato che agli uomini fosse concessa una libertà preclusa alle donne e aveva deciso autonomamente di aderire alla guerra di Liberazione portando il suo concreto contributo e appoggio alla Resistenza in Romagna.
E quella donna straordinaria che già nella brevità del nome condensava tutta la sua dirompente determinazione, diventò per me “la zia Nena”, il faro più importante della mia vita affettiva e sociale, che con una gioia di vivere invidiabile seppe insegnarmi quei valori irrinunciabili a cui lei sempre si era votata.
Quando sono nata io lei era già una matura “signorina” di cinquant’anni che aveva scelto di non sposarsi perché nel matrimonio vedeva una minaccia troppo stringente e limitante della sua libertà. Una donna che viveva con i due fratelli più grandi: Agostino e Armando (anche loro rimasti scapoli) in un’anomala realtà famigliare che le consentiva di vivere pienamente la sua incontrollabile esuberanza e sregolatezza.
La zia Nena per me è stata, per grande parte della vita, l’unica persona capace di calamitare la mia attenzione e la mia fiducia. Da lei, al contrario che dai miei genitori (che sentivo solo capaci di impartirmi delle regole), assorbivo ogni frase, ogni gesto e ogni parola come se sgorgassero da un’inesauribile fonte di verità e saggezza. Ho vissuto con la zia Nena, lo zio Armando e lo zio Augusto fino ai sette anni e la mia infanzia, grazie a loro, è stata la stagione più elettrizzante e straordinaria della mia vita. I miei genitori, presi da impegni di lavoro, infatti, mi lasciavano dagli zii per tutta la settimana e solo al venerdì sera tornavano a prendermi per poi riportarmici la domenica pomeriggio. Con la zia Nena ho imparato a credere in me stessa, ad esprimere i miei pensieri con sincerità ed educazione, ad inseguire i miei sogni… Da lei ho avuto l’esempio di cosa siano il coraggio, la ribellione, la solidarietà, la giustizia e ho compreso il senso vero della curiosità che lei ha saputo trasmettermi senza nessuna forma di morbosità. Per lei infatti la curiosità era solo il giusto mezzo attraverso cui si poteva arrivare alla conoscenza, al sapere, rafforzando quell’intelligenza naturale che solo attraverso l’istruzione e la cultura avrebbe potuto essere utilizzata per migliorarsi.
La zia Nena questo era: una donna vivace che sapeva sostenere le conversazioni più svariate e sapeva tacere quando parlare era inutile. Coltivava con grande attenzione le sue passioni, che spaziavano dall’opera lirica alla politica trasferendosi fino a quel neonato movimento femminista che la vide fra le prime donne iscritte all’UDI (Unione Donne Italiane). Perché il suo insaziabile desiderio di libertà e giustizia la portò a considerarli tra i valori fondanti di una generazione di donne che avevano lottato a fianco degli uomini nella lotta di Liberazione e che, a partire dai Gruppi di Difesa della Donna, formatisi dopo la fine della II guerra mondiale, sentirono l’esigenza di unirsi per far si che si ascoltasse e si rispettasse anche la loro voce.
La sera prima di dormire, quando io e lei, chiuse nella nostra piccola stanzetta come fossimo due piedi che calzano la stessa scarpa, occupavamo già da qualche minuto i nostri rispettivi canapé, non mancava mai di raccontarmi, al posto di una favola, qualche episodio della sua giovinezza e del passato. E ricordo ancora come se fosse adesso quella sera d’inverno del 1964 che lei, rispondendo alle mie lamentele perché la coperta di lana che avevo sopra di me, superando la barriera del lenzuolo di cotone, mi sfiorava le gambe pizzicandomele, me ne raccontò la storia. E lo fece come se mi stesse veramente raccontando una fiaba e non quella devastante tragedia che invece era stata, per lei come per tutti, la II guerra mondiale. Perché non avvertissi la paura ma potessi comprendere, attraverso quel racconto reso così lieve, il sacrificio e la sofferenza che lei voleva farmi conoscere ma che la mia giovane età non avrebbe potuto del tutto avvertire nel suo demoniaco disegno.
Quella vecchia e caldissima coperta di lana grigiastra che sopra aveva impressa la sigla US (mi pare) era infatti un lascito della guerra. La memoria di quegli inverni di gelo e terrore che lei aveva vissuto nascondendosi nei luoghi più isolati e remoti delle colline forlivesi, cercando di portare armi e viveri ai compagni che stavano organizzando la lotta contro i nazifascisti.
Appresi così a poco più di sei anni ciò che lei per anni non aveva mai confessato a nessuno e che a me stava offrendo come la più ingenua delle confidenze: la sua adesione alla lotta partigiana. Mai fiaba o racconto fantastico sortirono su di me tanto interesse e curiosità. Aver ascoltato quel narrato di guerra tanto abilmente e sensibilmente descritto per me, aveva fatto di lei l’eroina che già da sempre aveva catturato il mio bene e che da quel momento, se fosse stato possibile, divenne ancora più forte ed incondizionato. Quel racconto che ancora troppo spesso accompagna il mio ricordo della zia Nena aveva spalancato il mio sguardo di bambina curiosa verso il mondo ad una realtà che solo da adulta avrei meglio compreso. La zia Nena non era solo la mia divertente ed eccitante compagna di giochi, lei era stata l’artefice, insieme a tutti coloro che lottarono per la libertà di ognuno, del nostro futuro. Un futuro complesso e a volte faticoso, che per me è reso straordinariamente concreto dal ricordo della zia Nena e del suo desiderio assoluto di libertà. Una libertà che non le fu certo facile conquistare né in quanto donna, né come antifascista, ma che fu sempre orgogliosa di godere perché per lei quello era un valore irrinunciabile. Quella libertà di cui oggi noi tutti possediamo e di cui troppo spesso ci dimentichiamo il valore.
In quel suo racconto dedicato a spiegarmi la provenienza di quella vecchia coperta che lei aveva conservato e a cui sembrava essere particolarmente legata non fosse altro per il fatto che l’aveva utilizzata per il letto della sua nipotina adorata, la zia Nena non aveva lasciato trapelare la paura. Eppure ne aveva avuta tanta, mi confidò molto tempo dopo. Ma a quella bimba che era la sua vita mai avrebbe voluto insinuare un sentimento negativo e, secondo lei, la paura, se mi fosse stata trasmessa, avrebbe frenato il giusto senso di quella condivisione. Quella esperienza dolorosa, di cui lei non voleva minimamente trasmettermi le sue sensazioni, mi era stata raccontata quasi allegramente perché mi fossero chiari i fatti ma mi potessi fare anche una mia idea, seppur edulcorata, di quanto la guerra fosse inutile e crudele. Quella semplice coperta, che le era stata donata da un compagno partigiano, era il vessillo di quella lotta che lei aveva condotto anche per me che ancora non avevo visto la luce. Tony gliel’aveva regalata quando, accortosi della sua paura per le bisce, ebbe timore che lei evitasse di nascondersi o di buttarsi in un fosso, quando si sentiva in pericolo. E fu proprio grazie a quella coperta che lei si era più volte salvata, in un caso anche da un bombardamento.
Quando raggiunsi la maturità la zia Nena mi spiegò molto più nel dettaglio quella sua partecipazione attiva alla Resistenza e ne compresi così i contenuti e i valori fino ad assumerli come miei. Ma il ricordo di quel racconto ascoltato quando ero bambina non mi ha mai abbandonata così come il ricordo della zia Nena. Quella donna coraggiosa e generosa che, sfidando le sue paure, non si era arresa alla dittatura e alla violenza e seppe raccontare come una favola, ad una bambina, quell’atroce conflitto. La sua voce in quella sera ormai lontana non vacillò o, per lo meno, io non me ne resi conto. Ricordo molto bene però la sua commozione quando, guardando l’amata attrice Anna Magnani recitare in “Roma città aperta”, improvvisamente si soffiava il naso e di nascosto si asciugava le lacrime.
Aveva avuto paura si, la zia Nena, quando con la bicicletta e due sporte piene di armi affrontava la salita del Monte Trebbo per raggiungere “la casa rosa” dove si rifugiavano un gruppo di partigiani. Una paura folle che ad ogni tornante montava come la fatica su quelle sue gambe lunghe e sottili. Ma quella paura era, dopo la Liberazione, diventata orgoglio, che senza alcuna ostentazione la zia Nena coltivava con fierezza ma di cui non si fece mai vanto. Aveva fatto l’unica cosa possibile in quel momento e viveva quella felice condizione come la giusta ricompensa a tanta lotta. E con un gesto naturale e spontaneo la offriva alle nuove generazioni perché non dovessero mai più vivere quei tragici eventi che lei e tanti altri avevano vissuto e sofferto. E alla stregua di un dono di cui conosceva l’inestimabile valore, ripeteva la sua offerta attraverso il suo canto di libertà che fu sempre forte e deciso. Un dono che io continuo a ricevere quotidianamente e di cui mi sento grata alla zia Nena e a tutti coloro che come lei, non si arresero agli oppressori.
Era nata da un parto gemellare e per miseria e disperazione era sopravvissuta al fratellino a cui dedicava sempre il suo triste pensiero. Quel piccolo essere che non aveva potuto vivere sembrava invece con-vivere in quella donna ribelle e coraggiosa che, con una energia ed una forza indescrivibili, aveva vissuto sempre con determinazione tutte le sue scelte.
Per me una persona così importante che ancora oggi, a ventisei anni dalla sua scomparsa, quando mi trovo ad affrontare una difficile decisione, è a lei che penso. Alle parole che lei, se fosse ancora qui, mi direbbe e a quella libertà assoluta di decidere che mi avrebbe sempre lasciato. E ripenso ad un gesto quotidiano che lei faceva per me, quando la notte restavo sveglia per studiare. Lei che da sempre soffriva d’insonnia, vedendo la luce della mia stanza accesa, saliva in camera mia con un bicchiere di caffellatte caldo e me lo poggiava sulla scrivania scivolando via veloce per non disturbarmi. Un piccolo gesto che, unito a quelli ben più grandi di cui era capace, mi rammenta quotidianamente quanto la zia Nena sapesse amare e come le fosse spontanea le generosità. E la ringrazio di avermi saputo insegnare attraverso i suoi principi quale prezioso valore sia la vita.
Una vita, la mia, che senza di lei non sarebbe mai stata così LIBERA.
Lascia un Commento