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Clara Gallini, un'antropologa al lavoro sulla sua vecchiaia

Clara Gallini, un'antropologa al lavoro sulla sua vecchiaia

Clara Gallini è tra i fondatori della ricerca antropologica in Italia. Nel suo ultimo libro parla con profonda onestà del proprio essere fragile in quanto vecchia e malata

Martedi, 24/01/2017 - Clara Gallini è morta pochi giorni fa. L’avevo vista (credo per la prima volta, non ho mai fatto studi di antropologia, anche se mi piacerebbe molto averli fatti) alla Fondazione Basso il 20 marzo scorso, quando presentò il suo ultimo libro, “Incidenti di percorso. Antropologia di una malattia”, pubblicato da Nottetempo. Pubblico qui in suo onore la recensione che ne avevo preparato, e mai finita.



Il titolo non deve ingannare: il libro in verità è per due terzi il racconto della sua vita. Un racconto di cui godono i lettori, ma fatto dall’Autrice soprattutto per sé, in previsione del venir meno della memoria, provocato da quell’“incidente di percorso”, il tumore al cervello, e le relative operazioni per curarlo, che l’ha costretta a venire a patti con il principio cardine della sua vita di adulta: l’autonomia, e quello che per lei direttamente ne derivava, il vivere da sola.



Una scrittura asciutta, priva di qualsiasi compiacimento e artificio retorico, ripercorre implacabilmente l’itinerario. “Da quando feci il primo distacco dalla famiglia è passato almeno mezzo secolo in cui avevo creduto di aver raggiunto uno stato autonomo, da sola, una volta per tutte. Ora proprio su questo punto, quello che sto provando è un sentire complesso”.



Paura, rabbia, rassegnata preoccupazione, un futuro che non sa e non può programmare: dopo aver deciso di continuare a vivere a Roma, come organizzare i rapporti con la famiglia, che le è stata tanto vicina, ma vive da sempre a Crema? Usare la casa di famiglia a Crema, già donata ad una nipote ammalata? E la gatta Mirina, fedele amica da vent’anni, finirà prima della sua padrona (e allora sarà Clara a soffrire), o finirà lei (la gatta) dopo, e allora anche lei soffrirà, e bisognerà trovare chi ne abbia cura? “Insomma, quando e come uscirò da questa valle? si chiede Clara. Mi basteranno i soldi per la cura di un corpo di malata? E resteranno ancora per un’eredità, da spartire fra enti e persone?”



La perdita del controllo sui suoi oggetti è la prima tappa della perdita di autonomia. Clara è sempre stata una grande accumulatrice. Oggetti dei suoi viaggi, delle spedizioni di antropologa, cesti e piatti sbrecciati che ad altri non dicono niente, solo rottami di cui disfarsi, che vengono buttati a sua insaputa in un volenteroso riordinamento da parte di qualcuno che la assiste. Lei è stata capace di trascinarsi, nei suoi traslochi, annose collezioni di periodici anteguerra, molto significativi per lei, ciarpame per gli altri. A compensare queste domestiche sparizioni, al posto dei polverosi ricordi appaiono in casa misteriosi oggetti di plastica, dai colori sgargianti, soprattutto collegati alle esigenze igieniche: il regno del nuovo, del pulito, del colorato. Tutto per il suo bene, ovviamente, ma sarà proprio così?



Clara è costretta a riconoscere che ormai è pericoloso per lei vivere da sola, il giorno per una ragione e la notte per un’altra. L’entrata di una “badante” è la grande novità della sua esistenza. L’hanno scelta i familiari. Una scelta inevitabile, in un paese come l’Italia, che condivide con la Spagna, solo paese in Europa, un bassissimo sostegno pubblico alle cure a lungo termine (ma ancora peggio stanno messe la Polonia e l’Irlanda, aggiungiamo noi, e non sarà un caso che sono tutti paesi cattolici…). Si chiama Abilia, è peruviana, ha 59 anni. Ha deciso di lasciare nel suo paese il marito e i tre figli per farli studiare. I soldi guadagnati in Italia le servono per costruire il loro futuro e saranno anche investiti, d’accordo con il marito, per erigere una palazzina con quattro appartamenti a Lima. Attaccata al suo tablet dell’ultima generazione, grazie ad un abbonamento telefonico low cost, Abilia passa ore a parlare con il marito e a decidere insieme come allestire gli appartamenti. Anche Clara ne può seguire lo sviluppo.



Ad Abilia, grazie alle risorse di cui dispone la sua “badata”, vengono risparmiate sia le mansioni “basse” di pulizia, che vengono smaltite quotidianamente dalla colf di sempre, sia quelle “alte”, di segreteria, di lettura e di assistenza intellettuale, che vengono assolte da una giovane laureata disoccupata. Il nucleo principale del suo lavoro consiste nell’occuparsi della salute e dell’igiene della sua assistita, in una forzata intimità che esclude solo il letto. Nudità e pannoloni. Abilia è ben consapevole delle sue responsabilità, in particolare per la somministrazione delle medicine. C’è in lei un orgoglio professionale: le badanti sono l’aristocrazia delle lavoratrici della cura, e ci tengono. Lei fa notare che ha anche un personale interesse perché la sua assistita sia ben accudita e viva a lungo, e non venga meno la sua fonte di reddito.



La memoria è una delle sue tante doti, apprezzata da Clara che sta perdendo la sua. Con Abilia le sembra di aver vissuto da sempre. Ma con la sua lucidità, aggiunge: “Nelle reciproche parti di padrona e badante, ciascuna ha fatto il suo lavoro di adattamento. Fino a questo punto, i nostri percorsi si sono incrociati e sembrano scorrere paralleli. Tutte e due ci chiediamo quali possano essere – perché di certo ci saranno – i prossimi incidenti. Il mio, lo conosco già”.

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