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Cinquecentomila in piazza 
per Giuliana

Cinquecentomila in piazza per Giuliana

Società/ Liberate la pace - Una grande manifestazione per una donna piccola, fragile e con pochi mezzi, ma temibile per i nemici della democrazia

Giuliana Dal Pozzo Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2005

Una donna piccolina, non giovanissima, dal difficile cognome, inviata in uno dei punti più pericolosi del mondo da un giornale di pochi mezzi, è riuscita a far parlare di sé folle sterminate e i grandi della terra. Per la liberazione di Giuliana Sgrena, la giornalista de “Il Manifesto” rapita dai terroristi in Iraq, cinquecentomila persone hanno animato un corteo a Roma, hanno fatto sentire la loro voce il Papa e il Presidente della Repubblica, sono intervenuti rappresentanti del governo e dell’opposizione e hanno mandato messaggi organizzazioni internazionali e capi di stato. Negli occhi increduli dei genitori l’immagine sorridente e amata della figlia è stata all’improvviso sostituita da quella nuova di una Giuliana riprodotta in migliaia di gigantografie; per lei si è illuminato il Colosseo, si sono agitati cartelli in tutte le lingue, si sono accese fiaccole, ci si è riuniti in preghiera. Nel riconoscere il coraggio delle sue idee e delle sue azioni, ha commosso in questa donna la fragilità così umana davanti al pericolo di essere privata non solo della libertà, ma della stessa vita, da sequestratori feroci e imprevedibili. Non le è valso essere amica del popolo iracheno, dichiararsi pacifista, aver raccontato soprattutto l’orrore delle bombe e delle morti collettive in un giorno qualsiasi., le mutilazioni, i bambini feriti, le donne violentate. Perché Giuliana Sgrena fa paura. Il suo modello di donna rappresenta quanto di più temibile ci sia per i nemici della democrazia, per i tagliatori di teste che conoscono solo le leggi della sopraffazione e del sangue per risolvere le controversie. Le donne irachene, secondo la logica dei rapitori, non debbono essere come Giuliana, libere di affermare i propri diritti, di pretendere rispetto per le proprie scelte, di lavorare in maniera indipendente, di viaggiare, di seguire il proprio lavoro, di invadere i campi d’azione dell’uomo. Un messaggio non scritto è stato inviato a tutti: i terroristi hanno paura delle donne del loro Paese, dell’idea che si presentino da protagoniste sulla scena pubblica, ribellandosi a costumi e leggi oppressive. Come inevitabilmente accadrà. E come le irachene hanno dimostrato con la loro affluenza alle urne nelle recenti elezioni.

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