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Cina oggi: Quali donne? Quali diritti?

Cina oggi: Quali donne? Quali diritti?

Speciale Beijing 2008 / 3 - Il contributo femminile alla preparazione dei giochi olimpici mette in luce altri aspetti delle condizioni di vita delle donne: l’esistenza di bambine nate ma non registrate, oggi adolescenti o donne adulte ufficialmente invi

Alessandra Aresu Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Agosto 2008

In Cina la popolazione femminile ha superato i 630 milioni di individui e rappresenta il 48% circa della popolazione totale. Bambine, adolescenti e donne con storie personali e percorsi di vita differenti che difficilmente possono essere colti da un solo sguardo o raccontati da un’unica voce. All’interno di una società come quella cinese, complessa e in continua trasformazione, ognuna di loro si differenzia per area di provenienza, età, gruppo etnico, livello d’istruzione, desideri, obiettivi personali e lavorativi. Lo sviluppo economico dell’ultimo trentennio le ha viste protagoniste, in veste di studentesse, lavoratrici, madri e mogli part-time o a tempo pieno. I giochi olimpici, un momento di orgoglio per tutta la Cina, hanno mostrato un ulteriore volto delle donne cinesi: quello di atlete capaci di contribuire alla costruzione di un’immagine forte del proprio paese e di offrire a tutte le ragazze cinesi modelli di comportamento positivi da ammirare e riprodurre.
Tutto ciò è emerso chiaramente durante uno dei pochi eventi organizzati sul tema “Donne e olimpiadi” tenutosi a Londra nel febbraio scorso in coincidenza con la Festa di primavera e all’interno del China-UK Women's Cultural Festival. In tale occasione è stato avviato il Forum “Donne e Olimpiadi” e all’inaugurazione erano presenti Gu Xiulian, vice presidente del Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo e presidente della Federazione delle donne cinesi e Zhao Shaohua, suo vice-presidente. Oltre a sottolineare il contributo femminile alla preparazione dei giochi olimpici, Gu ha colto questa occasione per fare il punto sulle condizioni di vita delle donne in Cina e per ricordare come le riforme economiche dell’ultimo trentennio abbiano favorito l’uguaglianza tra i sessi e contribuito a migliorare la condizione femminile. Come prevedibile, ben poco spazio è stato dedicato ai costi di queste riforme sopportati dalla popolazione e in particolare dalle donne, ai diritti violati o mai riconosciuti, agli annunci di iniziative volte alla tutela dei diritti delle donne residenti nelle aree più depresse del paese che faticano a trasformarsi in attività concrete. Spenti i riflettori dei giochi olimpici, appare tuttavia doveroso fare una riflessione sulle condizioni di coloro che non hanno avuto un posto in prima fila alle olimpiadi di Pechino e che godono poco o nulla dei vantaggi prodotti dalle riforme economiche. Opportunità e ricchezze, per esempio, sono molto limitate per chi vive nelle campagne cinesi, luoghi dove è ancora preferibile nascere maschio e dove, nell’ultimo trentennio, le condizioni di vita della popolazione femminile sono per certi versi peggiorate anche a causa delle politiche di controllo demografico imposte da Pechino. La Politica del figlio unico, che ha trasformato il volto della popolazione cinese riducendo ad uno il numero di figli per coppia, è stata presentata al paese come una necessità, uno sforzo essenziale allo sviluppo economico della Cina e al miglioramento della qualità di vita della popolazione, soprattutto di donne e bambini. I costi di questa politica, però, sono stati evidentemente alti e sono ricaduti principalmente sulla popolazione femminile delle aree rurali, dove un elevato numero di figli rappresenta più che altrove una risorsa e l’osservanza del limite ad un figlio un sacrificio. Basti pensare ai mezzi, talvolta violenti, utilizzati per imporre questa politica, agli aborti praticati con la forza e al fenomeno della scomparsa delle bambine. Quest’ultimo, che si è concretizzato attraverso la pratica di aborti selettivi e la non registrazione delle bambine alla nascita, oggi è caduto prevalentemente sotto silenzio, ma resta un tema su cui è importante riflettere. Nel tentativo di limitare queste pratiche e il conseguente squilibrio dei sessi alla nascita, infatti, le autorità cinesi hanno introdotto una concessione alle coppie residenti nelle aree rurali: la possibilità di avviare una seconda gravidanza in caso di primogenito femmina. Questa eccezione alla Politica del figlio unico è stata presentata dalle autorità cinesi come uno strumento volto a tutelare le figlie femmine e quindi a scoraggiare e alleviare la discriminazione di genere nel paese. L’interpretazione ufficiale appare, tuttavia, poco convincente. Infatti, se dal punto di vista pratico questa variazione ha permesso di controllare e limitare il fenomeno della scomparsa delle bambine, esso non contribuisce ad alleviare la discriminazione di genere nella Cina rurale, al contrario conferma e rafforza la sua esistenza. Inoltre, il provvedimento non offre alcuna soluzione per le bambine nate ma non registrate, oggi adolescenti o donne adulte ufficialmente invisibili e, in quanto tali, prive dei diritti di base. Formalmente, si tratta di “non nate” e quindi difficili da quantificare. I demografi, hanno stimato che solo nel primo decennio di questa politica (1979-1989) il fenomeno della scomparsa delle bambine ha coinvolto circa 4 milioni di neonati, prevalentemente femmine, e che almeno il 10% di questi è da imputare alla mancata registrazione alla nascita. Questa popolazione non gode del diritto all’istruzione, alle cure mediche e, una volta giunta in età da marito, non può sposarsi regolarmente. E inoltre, quale è il destino di un figlio nato da una madre invisibile?
In campagna, però, secondo quanto raccontato da Chen Guidi e Wu Chuntao nel loro recente libro ‘Può la Barca affondare l’acqua?’ garantirsi un’istruzione di qualità e cure mediche adeguate non è solo un problema femminile o delle donne non registrate. Nelle aree rurali in pochi hanno potuto beneficiare dei vantaggi prodotti dalle riforme economiche dell’ultimo trentennio e in molti soffrono della privatizzazione del sistema sanitario nazionale in corso, che ha reso la salute dell’individuo un bene ancor più prezioso per chi, come i contadini, non dispongono dei mezzi per garantirsi le cure mediche necessarie in caso di malattia. Ed ecco che la qualità dell’individuo, quella che la Politica del figlio unico avrebbe dovuto favorire, resta un obiettivo lontano per le famiglie cinesi meno abbienti. Il vigore fisico tipico di un corpo sano e in forma, spesso proposto dai cartelloni che hanno pubblicizzato le olimpiadi in tutta la Cina attraverso i corpi giovani e forti degli atleti e delle atlete cinesi, viene messa in discussione. Non fa eccezione la salute riproduttiva di più della metà delle donne che ancora oggi abitano le campagne cinesi e sono chiamate, proprio come le madri di città, a dare alla luce nascituri sani e forti, future generazioni che contribuiranno allo sviluppo e alla modernizzazione del paese in futuro.
L’alternativa, per molti residenti delle campagne, è andare a cercare fortuna nelle aree urbane che, almeno apparentemente, offrono occasioni lavorative meglio retribuite e potenziali opportunità di miglioramento della qualità di vita. Oggi in Cina si registrano circa 150 milioni di lavoratori migranti, più del 10% della popolazione totale. Di questi, il rapporto tra i sessi maschio-femmina è di 2:1. Per molti di loro le Olimpiadi hanno rappresentato una grande occasione perché, è da ricordare, molte delle strutture create per i giochi sono il frutto dell’impegno di lavoratrici e lavoratori migranti, oggi alla ricerca di una nuova collocazione. Molte lavoratrici guardano alla provincia del Guangdong e soprattutto all’area del delta del Fiume delle perle come ad una meta interessante. Qui, le opportunità lavorative per le donne sono più elevate e la proporzione tra uomini e donne è invertita. La manodopera proveniente dalle zone rurali impiegata in questa regione è prevalentemente femminile ed impegnata nel settore tessile, delle calzature e dei giocattoli. Si tratta di lavori che richiedono una manodopera poco qualificata e mal retribuita: secondo l’Accademia delle scienze sociali le donne che lavorano in quest’area ricevono un quinto del salario offerto ad un lavoratore che svolge le stesse mansioni altrove. Le operaie, inoltre, lavorano per 12 ore al giorno, vivono in condizioni precarie e non viene garantito loro alcun diritto. Scioperare in queste circostanze serve a poco perché il rischio è di venir sostituite da chi è in coda fuori dalla fabbrica e disposta a svolgere lo stesso lavoro per un salario uguale o inferiore. Nonostante le condizioni di precarietà le donne migranti guardano a questi lavori come ad un’opportunità irrinunciabile che permette loro di dimostrare il proprio valore all’interno del nucleo familiare di appartenenza e di mantenere i membri più deboli rimasti a casa: anziani, familiari malati, bambini. A dispetto delle leggi che mirano a tutelare tutte le donne cinesi, le lavoratrici migranti del Guangdong precipitano così all’ultimo gradino della scala sociale e la tutela dei loro diritti di donne e lavoratrici rappresentano, a detta dell’Accademia delle scienze sociali, una tra le questioni più urgenti che Pechino è chiamata ad affrontare in ambito femminile.

Didascalie

Foto - Gu Xiulian vice chairperson dello Standing Committee del China's National People's Congress (NPC) e presidente di All-China Women's Federation (ACWF) con il Sindaco di Londra Ken Livingstone al China-UK Women's Cultural Festival febbraio 2008 [Xinhua Photo]

(5 agosto 2008)

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