Mercoledi, 27/01/2021 - In un’epoca che raccontava il mondo ‘al maschile’ si fa strada, nel secondo dopoguerra, una fotografa, regista e documentarista curiosa e intelligente, che decide di raccontare la storia delle donne, contadine e operaie, e quella degli emarginati delle periferie, urbane e non, con uno sguardo al femminile, impegnato e ‘militante’, termine desueto oggi ma che ben rappresenta le scelte e la poetica di Cecilia Mangini, spentasi pochi giorni fa a Roma all’età di 93 anni.
Nata a Mola di Bari nel 1927, fotografa, regista e sceneggiatrice, Cecilia è considerata la prima donna documentarista in Italia, iniziando a proporre ‘narrazioni decentrate’ del nostro Paese nel dopoguerra. A Firenze, infatti, dove si era trasferita la sua famiglia, cresce in lei la passione per il cinema, frequentando i primi cineclub democratici, che negli anni del dopoguerra propongono opere, italiane e straniere, prima sottoposte alla censura fascista e si avvicina a poco a poco al cinema del neorealismo.
Ma è nella capitale, dove Cecilia si trasferisce nel 1952, che inizia la sua attività di fotografa del reale (“non un mestiere per signorine”) e dove conoscerà il marito documentarista Lino Del Fra ed inizierà a collaborare con Pier Paolo Pasolini, due incontri che, uniti al suo personale talento, all’ispirazione ed alla sensibilità sociale, porteranno Cecilia a documentare il mondo in trasformazione, dalle culture contadine spazzate via dalla civiltà industriale, alle periferie degradate, alle catene di montaggio delle fabbriche negli anni Sessanta, con documentari quali “Ignoti alla città” (1958), “Maria e i giorni” (1959), “La canta delle marane” (1962) sui ragazzi di borgata, “Stendalì - Suonano ancora” (1960), sui riti funebri della Grecia salentina, “All'armi, siam fascisti!” (1962), firmato col marito e con Lino Micciché, una denuncia del fascismo e delle sue reviviscenze post bellum, fino a “Essere donne” (1965) (Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico), un’inchiesta commissionata alla regista dalla RAI, sulle condizioni delle donne tra vita in fabbrica e gestione familiare, che non piacque però alle aziende che le avevano permesso di intervistare le operaie in fabbrica, e che certo speravano in una descrizione patinata di donne e famiglie felici, tanto che il cortometraggio venne escluso dalla programmazione in sala dalla Commissione del Ministero del Turismo e dello Spettacolo.
Dopo quaranta documentari e numerosi anni di ‘dimenticatoio’ e di silenzio (lei che era stata premiata al Festival documentario di Lipsia con “Essere donne” ed era stata coautrice della sceneggiatura di “Fata Morgana” premiato con il Leone d’Oro a Venezia nel 1961, oltre ad aver ottenuto il Pardo d'Oro al Festival di Locarno con “Antonio Gramsci - I giorni del carcere” (1977), di cui aveva firmato soggetto e sceneggiatura insieme al marito), in cui Cecilia continua a lavorare ma piuttosto in una zona d’ombra, fino agli anni 2000 quando il genere documentario ritorna alla ribalta a livello internazionale.
Nel 2013, in co-regia con la regista pugliese e sua allieva Mariangela Barbanente, la Mangini realizza il documentario “In viaggio con Cecilia”, uno sguardo disincantato sulla Puglia del progresso, in cui la regista rinnova la vitalità anticonformista che l’ha accompagnata da sempre nel suo viaggio artistico. Gli ultimi anni sono segnati dal sodalizio artistico ed umano con il regista leccese Paolo Pisanelli, insieme al quale realizza il docu-film “Due scatole dimenticate - Viaggio in Vietnam” (2020), che racconta il ritrovamento di due scatole di scarpe dimenticate in un armadio, con i preziosi negativi delle magnifiche ed inaspettate fotografie scattate in Vietnam nell’arco di tre mesi (tra il '65 e il '66) durante la guerra con gli Usa, nella campagna fotografica condivisa col marito. E ancora tanti erano i progetti in campo con Pisanelli, fra cui un film sulla ‘rivoluzionaria’ Grazia Deledda in Sardegna ed un altro sulle fotografie realizzate da Cecilia a 25 anni in un viaggio sull’isola di Lipari, nelle miniere di pomice, che le avrebbe cambiato la vita per la presa di coscienza delle condizioni di lavoro estreme dei lavoratori, ritratte e immortalate in immagini indimenticabili.
Cecilia Mangini è morta a Roma il 21 gennaio, ma lascia un’immensa eredità, quella delle sue opere, delle sue interviste e della sua stessa vita. Molte le espressioni usate per rappresentarla e ricordarla, quali ‘pioniera del cinema del reale’ e ‘documentarista del sud’, legate indissolubilmente alle scelte ed opzioni mai casuali dei soggetti delle sue numerose opere, fotografie e documentari, ma nessuna formula potrà mai imbrigliare la sua voce libera, anticonvenzionale e, proprio per questo, unica. Ci mancherai Cecilia!
Lascia un Commento