sono una persona che per la prima volta scrive ad un sito internet, ma la mia posizione attuale mi fa pensare che forse ho bisogno d'aiuto. Sono una donna italiana di 43 anni sposata, con 2 bambini di 12 e 8 anni. Mio marito decide per motivi di carriera di accettare un nuovo lavoro, prima a Milano (noi abitavamo a Verona) e dopo, sempre per un ruolo europeo un lavoro a Losanna (Svizzera). Premetto che il mio trasferimento a Verona (io abitavo prima della ns convivenza a Milano) era stato fatto in quanto il suo stipendio era superiore al mio, di conseguenza sono io che mi sono trasferita. In poche parole le mie scelte professionali sono state vincolate alla sua carriera, ma anche alla rivendicazione di "aver formato una famiglia" e come tale non possono entrambi i coniugi far carriera. Con queste affermazioni mio marito ha sempre ostacolato la mia carriera professionale, anteponendo la sua, che vedeva uno stipendio più elevato ed una possibilità di mantenere tutta la famiglia. Ho sempre comunque lavorato in questi anni, in quanto non accetto l'idea di dipendere totalmente da qualcuno, chiaramente i ruoli attualmente accettati sono sempre stati di minore importanza rispetto alla mia professionalità (sono una responsabile di produzione di abbigliamento) ed alla mia formazione (sono laureata in lettere). Non ho mai potuto accettare ruoli che mi portassero a fare dei viaggi all'estero, proprio perchè io dovevo restare a casa con i figli e lui poteva fare qualsiasi cosa. Da 1 anno ( luglio 2010) io ed i bambini ci siamo trasferiti a Losanna, dove mio marito ha ricevuto, dalla sua azienda milanese un ruolo europeo nella sede svizzera. A fronte di questo trasferimento, ho lasciato il mio lavoro italiano, i bambini sono stati trasferiti da Verona dove sono nati, dove hanno amici, consuetudini ormai consolidate. Per 8 mesi ho seguito l'ambientamento dei miei figli in terra "straniera", cambio di casa, di lingua, di scuole e solo dopo il loro inserimento, ho deciso di cercarmi un lavoro. A questo punto mio marito è un po’ contrariato dalla mia decisione, preferirebbe che restassi a badare ai bambini. Ma per mia natura non ho pensato 2 volte a prendere una proposta di lavoro che mi è arrivata nel marzo 2011. Proprio qualche giorno prima di cominciare a lavorare ho scoperto nel computer di casa (utilizzato non solo dagli adulti, ma anche dai bambini) la frequentazione assidua di mio marito in siti gay. Da quel momento ho cominciato seriamente a controllare i siti visitati durante le ore notturne, ed ho scoperto che non solo visitava questi siti, ma ne era regolarmente iscritto, chattava, cercava uomini a pagamento durante i suoi viaggi di lavoro. In poche parole ha avuto per anni una vita parallela dove riusciva a separare la sua diversa natura sessuale dal suo apparente ruolo sociale. Dopo la mia scoperta, mio marito ha dichiarato di avere attrazione fisica verso gli uomini. Solo ora che ho cacciato mio marito fuori di casa, capisco il motivo di tenermi sempre alla sua ombra, gli servivo come paravento (per la sua famiglia , ma soprattutto per il suo lavoro) per far carriera e per nascondere la sua omosessualità. La mia domanda è la seguente: possibile che per la legge tutto questo non è motivo di risarcimento morale? Al momento i bambini ignorano il motivo della separazione, ma quando lo sapranno, che danno avranno a livello psicologico? Credo di essere una persona che ha subito, passatemi il termine un "mobbing" in questi anni (convivevo dal 1998 e sono sposata dal 2001) da parte di questo uomo. Tutto ciò perché non può essere quantificabile, a questo punto solo in modo economico? Ho bisogno di capire se in questo momento io posso avere delle possibilità di rendere visibile la mia condizione di isolamento in cui mi trovo e di rendere visibile alla società di cosa voglia dire, purtroppo ancora oggi nel 2011, il potere degli uomini. Spero di essere stata chiara e attendo un vs parere. Cordialmente
Lettera firmata
Cara amica,
storie come la sua, probabilmente, sono molto più diffuse di quanto non si sospetti. Il caso Marrazzo (ex presidente della Regione Lazio) è in questo senso un caso clamoroso con (oltretutto) conseguenza gravissime sul piano politico. Fino a quando pregiudizi, idee omofobe e convenzioni sociali non lasceranno liberi tutti gli esseri umani di vivere liberamente la loro sessualità e le loro idee (politiche, culturali ecc) ci saranno altri esseri umani costretti a subire le conseguenze di tanta ipocrisia e meschinità. E' un problema che attiene alla sfera dei diritti, ma che oltre a quelli delle singole persone chiamano in causa anche la dimensione del privato, come lei giustamente sottolinea. Il suo ex marito certamente, come lei dice, l'ha utilizzata come paravento per tenere insieme le possibilità di carriera e gli agi economici evitando di mettersi in discussione e di aprire in casa, nella dimensione pubblica (ma forse anche con se stesso). Da anni il mondo degli omosessuali, insieme alle lesbiche ai trans ecc, hanno avuto il coraggio di contestare un sistema 'di valori' che ingabbia sentimenti e sensibilità e le manifestazioni (gay pride) che si svolgono in tante città nel mondo ne solo la testimonianza. Come donne conosciamo, per averla vissuta sulla nostra pelle, la fatica che comporta il mettersi in discussione e chiedere (a noi e agli altri) di cambiare e sappiamo anche che gli uomini questo lavoro su se stessi non lo hanno fatto. E a quanto pare non ne vogliono sapere di avviarsi in questo cammino faticoso e (anche) doloroso. Probabilmente il suo ex marito è uno di questi (tanti) uomini. Ha ragione ad essere indignata per quello che le è stato tolto, ma non sappiamo se la legge potrebbe quantificare in un risarcimento in danaro questo danno. Certo la politica non aiuta in questo versante: e ci riferiamo alla recente decisione del nostro Parlamento di non approvare una legge contro l'omofobia, che avrebbe aiutato un percorso di crescita culturale. Per quanto ci riguarda, come redazione, possiamo darle la disponibilità - se, quando e come vorrà - di parlare della sua storia. La salutiamo cordialmente
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