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Chikunova contro la pena di morte

Chikunova contro la pena di morte

Uzbekistan - Da una drammatica esperienza personale alla battaglia per i diritti umani con l’associazione ‘Madri contro la Pena di Morte e la Tortura’

Cristina Carpinelli Martedi, 09/06/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2009

Tamara Ivanovna Chikunova: una donna che ha fatto cancellare la pena di morte nel suo paese

Nel 1999, in Uzbekistan, alcuni attentati terroristici hanno portato a misure restrittive e all’arresto di centinaia di attivisti dell’opposizione, nonché ad uno stretto giro di vite nei confronti delle istituzioni religiose musulmane locali. Negli anni successivi il profilo autoritario del governo di Karimov si è andato rafforzando ulteriormente, facendo dell’Uzbekistan uno stato dispotico. L’opposizione ha cominciato ad agire nella clandestinità, mentre l’intimidazione e l’imprigionamento arbitrario di centinaia di dissidenti politici sono diventati normali strumenti di dissuasione. Tuttavia, la pressione esercitata da organismi internazionali e associazioni umanitarie ha favorito in seguito un clima di distensione, anche se il governo uzbeko continua a limitare la libertà di parola e di stampa, mentre l’uso della tortura è ancora frequente. Il presidente Islom Abdug‘aniyevich Karimov è stato rieletto per un altro mandato settennale nel dicembre 2007.

E’ in questo clima oppressivo e intimidatorio che va contestualizzata l’opera grande dell’uzbeka Tamara Ivanovna Chikunova, una donna cristiana ortodossa, che vive a Tashkent, capitale dell’Uzbekistan. Suo figlio Dmitrij, condannato a morte nel 1999, è stato fucilato il 10 luglio 2000. Aveva 29 anni. In seguito alla sua tragedia familiare, Tamara ha deciso di fondare l’associazione ‘Madri contro la Pena di Morte e la Tortura’ assieme ad altre donne, che come lei hanno perduto i propri figli con un’esecuzione capitale. L’associazione, una piccola Ong che coinvolge un centinaio di persone tra volontari e membri provenienti da tutto l’Uzbekistan, lavora con altre organizzazioni internazionali tra cui Amnesty International e la comunità di Sant’Egidio, che la rappresenta nel comitato esecutivo della coalizione Mondiale contro la Pena di Morte. Grazie anche all’appoggio della comunità di Sant’Egidio, Tamara Chikunova, insieme al pool del ‘Soccorso legale di qualità’, ha contribuito a salvare dalla pena capitale 21 condannati e ad ottenere l’abolizione della pena di morte in Uzbekistan, dove ogni anno erano eseguite più di 200 condanne a morte. Le ‘Madri contro la Pena di Morte e la Tortura’ non hanno portato avanti solo una campagna d’informazione, ma hanno anche agito concretamente a fianco dei detenuti in attesa dell’esecuzione. Nel 2008 l’Uzbekistan è diventato il 134esimo paese abolizionista al mondo, il terzo dell’Asia Centrale, dopo Turkmenistan e Kyrgyzstan; dall’inizio dell’anno, infatti, nel paese a forte maggioranza islamica (76% su 25 milioni di abitanti) è entrato in vigore, per decisione della Corte suprema, il decreto che abolisce la pena di morte firmato il primo agosto 2005 dal presidente uzbeko. A questo risultato si è giunti anche, se non soprattutto, per l’indefesso lavoro di mobilitazione portato avanti dalla Chikunova.

Afferma Tamara: “La situazione dei condannati a morte in Uzbekistan era davvero terribile. (…) I familiari non potevano visitarli; i carcerati vivevano in spoglie stanze aspettando ogni momento l’esecuzione. Né loro, né i parenti, conoscevano l’ora dell’esecuzione perché era tenuta segreta. I carcerieri non restituivano nemmeno il corpo dei condannati e non dicevano dove venivano sepolti per scoraggiare le indagini su eventuali segni di torture praticate in carcere”. E ciò malgrado l’Uzbekistan avesse recepito nel proprio ordinamento giuridico l’articolo 17.8 del Documento di Copenaghen del 1990, che obbliga gli stati aderenti all’OSCE a “rendere pubbliche le informazioni riguardanti l’utilizzo della pena di morte”. Tamara stessa ha vissuto in prima persona questo dramma: un giorno si reca per l’ennesima volta nel carcere cittadino per visitare il figlio condannato a morte per un omicidio di cui si è sempre dichiarato innocente. Mentre sta parlando con i secondini la donna sente degli spari: Dmitrij veniva giustiziato senza che lei ne sapesse nulla. Nessuno ha poi informato Tamara sul luogo di sepoltura del suo ragazzo. Da allora, la volontà di porre fine a questi atti di odio e violenza è diventata per lei motivo d’impegno civile.

Nel settembre 2003, la Chikunova ha inaugurato una campagna mediatica per l’ottenimento di una moratoria sulla pena di morte nel suo paese, diffondendo un appello con una sottoscrizione mondiale: le adesioni si sono contate a migliaia in poche settimane. Tale mobilitazione sarebbe dovuta culminare in una conferenza a Tashkent il 5 dicembre 2003, che è stata però impedita dal governo uzbeko con scuse pretestuose. Gli interventi delle diplomazie europee a Tashkent per la creazione di una rete di attenzione internazionale e sostegno locale si sono rivelati decisivi perché l’associazione potesse proseguire il suo lavoro. Il primo luglio 2004 la Chikunova, per la sua opera meritoria, è stata insignita a Roma del premio Colomba d’Oro per la Pace, conferitole dall’Istituto di studi politici internazionali Archivio Disarmo.

#foto5dx#Tamara Chikunova, assieme a Dilobar Khudajberganova, sorella di un condannato a morte, ha poi intrapreso nell’autunno 2004 un lungo tour che ha toccato le maggiori città d’Europa e d’Italia, durante il quale ha denunciato la drammatica realtà della pena di morte nel suo paese. Al loro rientro le pressioni dei servizi segreti e della polizia uzbeka si sono intensificate. Dilobar ha ricevuto esplicite minacce di morte se avesse continuato a “propagandare azioni contro lo Stato”. Ma l’associazione ha proseguito incurante la sua attività in Uzbekistan e all’estero, conseguendo presto tangibili risultati. Il 28 gennaio 2005, il presidente uzbeko ha dichiarato di fronte alle camere parlamentari riunite in seduta comune: “Non stiamo parlando dell’introduzione di una moratoria come avviene in alcuni paesi dove i condannati devono aspettare per anni l’esecuzione della sentenza di morte, ma della completa abolizione della pena di morte. (…) L’essenza delle riforme destinate a favorire il rinnovamento democratico della società civile rende necessario porre fine alle esecuzioni capitali”. Il primo agosto 2005, Islom Karimov ha decretato l’abolizione della pena di morte nel paese, rinviando tuttavia di tre anni l’entrata in vigore del provvedimento: il tempo necessario - ha detto - per “costruire nuove carceri”. Nel settembre dello stesso anno, Tamara è stata insignita in Germania del Premio Norimberga per la sua strenua battaglia civile, e il primo gennaio 2008 il Senato dell’Uzbekistan ha abolito la pena di morte dalla Costituzione del paese, sostituendola con il carcere a vita, proprio all’indomani dell’approvazione della moratoria universale sulle esecuzioni da parte dell’Assemblea Generale dell’ONU (18 dicembre 2007).

Attualmente coloro che erano stati condannati a morte si trovano ancora nei “bracci della morte”. Nonostante l’emanazione del decreto presidenziale che ha commutato le sentenze di morte in ergastolo, non esiste ancora una giurisprudenza ordinaria che lo metta in pratica. Finché la Corte Suprema non elaborerà e non approverà un adeguamento legislativo al decreto presidenziale di abolizione, i prigionieri resteranno nei “bracci della morte”. Secondo quanto fissato dal decreto, le pene massime sono ora l’ergastolo e la condanna a 20-25 anni di reclusione, e l’attentato alla vita di una persona, in qualunque circostanza esso si verifichi, è considerato un grave crimine.

A spingere la “pasionaria” uzbeka in questo pionieristico impegno sul fronte dei diritti umani, che le ha causato non pochi problemi, è stata una precisa motivazione di fede: “Sappiamo che ci sono persone che usano il nome di Dio per spargere odio e violenza. (…) Noi, con più impegno di ieri, crediamo che la religione non debba mai giustificare l’odio e la violenza. Pace è il nome di Dio”. E proprio questa fede le ha consentito di superare umiliazioni e pressioni psicologiche esercitate su di lei perché si convincesse ad abbandonare la sua opera in difesa del rispetto per la vita. È stata chiamata “la madre dell’assassino”, è stata accusata di favoreggiamento della prostituzione, di essere una terrorista musulmana, più volte ha ricevuto minacce di morte da agenti di polizia e da ignoti. Ciononostante, ha proseguito impassibile la sua battaglia contro la pena di morte. E non solo nel suo paese, ma anche in quelli limitrofi come il Kyrgyzstan. Nei suoi “bracci della morte” giacevano condannati che erano cittadini uzbeki e russi. Tamara si è rivolta al governo kyrgyzo e ai difensori locali dei diritti umani con un appello per l’abolizione della pena di morte. Ha trovato il sostegno dell’associazione “Cittadini Contro la Corruzione”, diretta da Tolekan Ismailova, e con lei ha duramente lavorato per l’abolizione della condanna a morte in Kyrgyzstan. Il 26 giugno 2007 è stata approvata la legge che ha sancito l’abolizione giuridica della pena di morte dal codice penale kyrgyzo.

Tamara è in questo momento impegnata per la stessa causa in Kazakhstan, Mongolia e (forse) Bielorussia. Paesi nei quali è praticata la tortura, che come la pena capitale rappresenta un’esplicita violazione del diritto alla vita, e come tale da considerare, secondo le parole di Tamara, “omicidio premeditato”, e pertanto i colpevoli dovrebbero essere condannati.





(9 giugno 2009)

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