Martedi, 20/12/2011 - Il fallimento delle chiese è consistito, secondo me, nel non aver saputo conservare la struttura di comunità aperta, caratterizzata da scambi di ruoli e molteplicità di scelte di vita, preferendo diventare istituzioni.
L’istituzionalizzazione, in ogni ambito, comporta: fissità, accentramento, ritualità.
La fissità, che induce all’immobilismo, si esprime nella difesa della tradizione o radice.
L’accentramento determina un controllo sospettoso di ogni pensiero critico.
La ritualità, che è l’aspetto polimorfo e più mendace, è utilizzata per ammantare di arcano quel divino di cui l’istituzione si autodefinisce unica mediatrice; l’arcano, a sua volta, ha come scopo mantenere in una condizione di stupefazione ipnotica il “popolo di dio”.
Le istituzioni sfruttano un tratto antropologico fondamentale: il bisogno di sicurezza che si traduce nel sentirsi accolto entro una frontiera che identifichi il soggetto e delimiti “l’oggetto” come diverso e nemico.
Questo bisogno, quando viene manipolato, assume tratti regressivi: ne deriva che le chiese, specialmente quella cattolica, hanno tratti necrofili anche se quest'ultima si presenta come paladina della vita al punto da considerarne il suo concepimento e la sua conclusione tra “i principi non negoziabili”.
Per necrofilia intendo non soltanto la repressione del libero pensiero e della dissidenza, ma, soprattutto, la propalazione di false sicurezze, di recinti pseudo confortevoli che eliminano la creatività del singolo di fronte alle scelte dello stile di vita.
Per questo la chiesa cattolica si è trovata sempre a sostenere poteri repressivi il cui strumento era un tempo la violenza, oggi la persuasione occulta che incanala le energie umane verso il Mercato anch’esso assassino della molteplicità della vita.
Di conseguenza la chiesa cattolica sta allo Stato capitalista come la religione sta al Mercato.
Stato e chiesa cattolica pretendono l’ immobilità del conformismo, la stasi del pensiero ostacolando ciò che è creativo, originale, personale: in una parola, l’autenticità.
La necrofilia, però, genera noia che si provvede a rimuovere, almeno in superficie, con occasioni di identificazione collettiva che hanno alla base l’esercizio del ridicolo o dell’atrocità per cui è indifferente discutere delle posizioni in cui fa l’amore la diva di turno o delle reliquie di un santo, o di un delitto efferato, o della ricchezza faraonica derivata dai mestieri più inutili.
Mi rendo conto che ogni analisi destruens è comoda e facile; molto più difficile proporre l’alternativa a quanto si critica; ma alcune linee di rinnovamento discendono proprio da quanto detto nella mia analisi: ridimensionare l’ accentramento, il legame indiscusso con la tradizione, la ritualità fondata sull’emotività, avere fiducia nella spiritualità di ciascuno.
La spiritualità- afferma Frei Betto- è precedente alle religioni storiche che l'hanno imprigionata nei loro dogmi e appaltata in via definitiva.
La spiritualità cui mi riferisco é evidentemente lontanissima da quello spiritualismo fumoso e lacrimoso tanto incoraggiato dalla chiesa romana.
Giacché Cristo é venuto perché noi abbiamo in abbondanza la vita, ritengo che il cristiano debba essere essenzialmente dinamico, incline al cambiamento, al nuovo: ogni cristiano, a suo modo, reinventa la vita, cerca, sceglie tanto più quanto più i condizionamenti lo fagocitano: questa é la spiritualità cristiana, concreta ed ancorata al tempo, allo spazio, alle circostanze in cui ciascuno si trova ad operare.
Una tale spiritualità é evidentemente connessa con l'unicità della persona di cui il Vangelo più volte parla, ma che la chiesa ingabbia e sacrifica ai dogmi, così come i poteri economici la sacrifica alle scelte produttive.
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