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Chi spende in famiglia?

Chi spende in famiglia?

Well_B_Lab* - Il ruolo centrale delle consumatrici per la ripresa delle economia

Badalassi Giovanna Domenica, 27/10/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2013

Il crollo dei consumi interni in Italia è dovuto in misura preponderante all’elevato grado di sfiducia registrato tra le donne, che sono i principali responsabili dei consumi delle famiglie. Le numerose proposte avanzate per superare la crisi ignorano questo aspetto importante. Noi riteniamo che per riavviare il meccanismo inceppato dei consumi interni sia essenziale che vengano proposte politiche di genere specifiche mirate a migliorare la condizione femminile. Alcuni dati e i risultati di diverse ricerche provano in modo chiaro questa dinamica. Vediamoli.

I consumi delle famiglie nel 2012 sono stati in Italia di 950 miliardi di euro , in calo vistoso rispetto al 2011 (965 miliardi di euro). E’ evidente quindi una criticità nei consumi interni che sta effettivamente impedendo di superare la crisi. Questo comportamento depressivo delle famiglie risente certamente di una dimensione oggettiva (il calo sostanziale dei redditi e la crisi del lavoro è innegabile), ma anche soggettiva (il diffuso sentimento di timore per il futuro e di sfiducia che blocca gli acquisti anche delle famiglie senza problemi economici). È però fuorviante parlare di “famiglie” in termini neutri. Occorre infatti valutare che i responsabili di acquisto non sono le famiglie ma i suoi componenti, donne e uomini, madri, padri, figli, ognuno dei quali si rapporta alle decisioni di spesa con gusti e potere di decisione diversi. Considerata la struttura-tipo della famiglia italiana, va da sé che le donne hanno un potere di decisione sulle scelte di consumo preponderante. L’ultimo rapporto Censis sulla Situazione economica del paese del 2012 ha rivelato che in Italia le donne sono le principali responsabili degli acquisti familiari per il 66,5% contro il 33,5% degli uomini. Rapportiamolo ai 950 miliardi di spesa delle famiglie e arriviamo ad un potere decisionale delle donne del valore economico di 631 miliardi di euro. Un aggregato equivalente a tutta la spesa dell’amministrazione pubblica in Italia (628 miliardi di euro nel 2012) . È dunque un potere economico del quale le donne non sono consapevoli collettivamente, ma che può decretare il successo o la crisi di aziende ed interi comparti economici, ma, soprattutto, ha il potere di indirizzare i trend di consumo del paese. Come si stanno dunque comportando le consumatrici in questi tempi di crisi? Una ricerca della Bocconi ha dato una risposta molto esauriente: l’89% delle donne italiane a seguito della crisi ha tagliato le spese o ha ripensato ai consumi. Ha tagliato i consumi alimentari il 27% delle donne intervistate (il 36% nelle fasce deboli), il 72% le vacanze, il 67% le serate con parenti e amici, il 66% l’abbigliamento, il 62% la cura del corpo, il 47% il consumo culturale. Tali rinunce hanno inoltre coinvolto anche le donne abbienti le quali pur non avendo subito l’impatto di effetti recessivi, hanno rivisto al ribasso le personali politiche di acquisto. Un altro indicatore interessante è quello che ha visto aumentare gli acquisti alimentari di beni primari quali farina (+8,3%) e uova (+5,3%) e diminuire il ricorso al lavoro domestico retribuito (da 721mila lavoratori domestici iscritti all’Inps nel 2010 a 686mila nel 2012). Una prova che le donne, oltre a ridurre gli acquisti, hanno avviato un processo di riconversione da economia retribuita a economia familiare e non retribuita non solo di alcuni prodotti (da alimentari confezionati ad alimentari fatti in casa) ma anche di numerosi servizi (dai pranzi al ristorante a quelli a casa, dalla baby sitter o badante all’accudimento diretto etc). Questo processo di riconversione si aggiunge alle scelte di riduzione degli acquisti e produce un’ulteriore distruzione di valore aggiunto. Si vive quindi nel paradosso per cui quello che è un comportamento virtuoso nella dimensione privata diventa invece un comportamento dannoso nella dimensione pubblica e macroeconomica. Dietro a questo comportamento delle donne si cela non solo la determinazione a rimboccarsi le maniche, ma anche un atteggiamento di timore per il futuro e di sfiducia che è stato ben fotografato dalla ricerca Nielsen: l’indice di fiducia su base 100 del 2005 è stato in Italia del 41% nel II trimestre 2012, contro una media Europea del 71% (terz’ultima posizione dell’Italia in Europa). Significativo il dato di genere: gli uomini in Italia risultano più ottimisti, collocandosi a 6 punti sopra l’indice medio italiano, a differenza delle donne, 7 punti sotto la media. Ma perché le donne hanno così poca fiducia? E, soprattutto, chi si deve impegnarsi per fargliela tornare? A guardare la condizione femminile in Italia, non vi è da stupirsi dei maggiori timori delle donne. Ogni aspetto economico e sociale della loro vita è ad uno stadio critico: hanno una insoddisfacente condizione lavorativa (sono occupate per il 46,5% contro il 67,5% degli uomini), un basso livello di empowerment (sono l’11,6% tra i componenti dei Cda nelle imprese quotate , il 13,8% dei dirigenti iscritti all’Inps nel 2011), pochi aiuti, (11,8% l’indice di copertura degli asili per i bambini tra 0 e 2 anni ), e sono sfiancate dal lavoro familiare (hanno un carico di lavoro di cura del 45% nel 2011, era del 36,9% nel 1971, per 5h e 09 min ore lavorate in famiglia al giorno nel 2008 contro le 2h 22 min ore degli uomini). Tutte variabili che definiscono una condizione che a ben ragione ha relegato l’Italia alla 80a posizione nel Global Gender Gap (2012) del World Economic Forum su 135 nazioni. Ecco quindi che un miglioramento della condizione femminile diventa un prerequisito fondamentale per ritornare a far crescere i consumi e a riprodurre una spirale virtuosa di crescita che oramai manca da troppo tempo in Italia. La responsabilità di questa svolta è certamente da attribuirsi alla società tutta, dalla quale occorre augurarsi un salto nella modernità che sappia riconoscere il ruolo economico e sociale delle donne loro dovuto, ma un ruolo di guida, appunto nel senso letterale, di governo, è inevitabile debba essere assunto dalle politiche pubbliche. Ad esse la responsabilità di innescare attraverso politiche innovative e gender sensitive un percorso di crescita per le donne a vantaggio di tutti.



giovanna.badalassi@wellblab.it





Well_B_Lab*. Il valore del ben-essere Soc. Coop. è uno spin off dell'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. È un laboratorio che promuove l’innovazione sociale guardando al modello e alle teorie economiche del Nobel Amartya Sen e trasformando i risultati della ricerca accademica in prodotti e servizi per il mercato. L’obiettivo è conseguire maggiori livelli di benessere della persona, donne e uomini, negli enti pubblici e nelle aziende private attraverso l'analisi, la ricerca, lo sviluppo di strumenti tecnicamente avanzati e la costruzione di strategie. Il team è composto da 9 soci (90% donne) tra docenti, ricercatori e professionisti provenienti dall’Università di Modena e Reggio Emilia, che partecipa in qualità di socio sovventore.

http://www.wellblab.it





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