Domenica, 04/04/2010 - I vari relatori (al ciclo di lezioni su Maria di Nazaret nel Nuovo testamento, organizzate dal La Cattedra “Donna e Cristianesimo", diretta da Cettina Militello, il 12-13 marzo, presso la facoltà teologica Marianum) sono esperti, che presuppongono da parte dell’uditorio una padronanza assoluta del testo testamentario, una buona conoscenza dell’ebraico e del greco e una familiarità con le scienze teologiche. Che cosa può fare una persona profana in mezzo a loro?
Se resiste alla tentazione d’andarsene, sentendosi fuori luogo, e se rimane dall’inizio alla fine, nonostante la sua ignoranza in materia, può trovare un motivo di coinvolgimento nel clima di una ricerca, che mette tutto in discussione, con un atteggiamento scientifico, vicino alle esigenze di quei laici, che si pongono domande su temi, considerati dogmi indiscutibili dalla religione, compresa Maria di Nazaret. Chi è? Una superstizione? Una devozione pagana?
Molti studiosi non hanno dubbi e negano la storicità di Cristo e quindi anche di Maria, per cui la fede nella Madonna, messa per iscritto in tante Vite di Maria, alla stregua di altrettante Vite di Gesù, secondo loro è rivolta a qualcosa che non esiste, come spiega Fabrizio Bosin, il quale può fornire agli interessati un lungo elenco di studi al riguardo. Ma lo stesso informa su un’altra ricerca, più attuale, che tende a rimettere le cose a posto, cercando d’integrare, quando è possibile, storia e fede, attualità e narrazione, con l’atteggiamento di chi voglia andare a studiare chi siano state davvero due persone come Gesù e Maria. Questo tipo di ricostruzione storica parte dagli ebrei, viene svolta anche fuori dalle facoltà di teologia, presso università, europee e americane, ed inaugura un modo di procedere insieme degli ebrei con i cristiani, che costituisce la novità e il compito del XXI secolo. Ne deriva che Maria è una specie di Rachele cattolica, entrambe donne ascoltate da Dio e, se è possibile ragionare su Rachele, perché non fare altrettanto su Maria?
Maria Luisa Rigato non ha dubbi: Maria di Nazaret è una testimone oculare, preziosa per la ricostruzione dei fatti, nel vangelo di Luca, che si basa su una narrazione dell’accaduto da parte di testimoni oculari e su una trasmissione accurata di quanto è stato riferito. Alla maniera di Giuseppe Flavio. Quindi Maria, per la Rigato, è una figura storica, non solo teologica e lo stesso Magnificat può essere letto, da un lato, come inno sul modo di distribuire la giustizia da parte di Dio e sulla sua irruzione nella storia individuale e, dall’altro, come la dimostrazione della stirpe levitica di Maria e della sua conoscenza della Torà.
Ne è convinta anche Rita Torti Mazzi, la quale ritiene che si possano trovare prefigurazioni di Maria già nell’Antico Testamento sulla scia delle madri d’Israele, come Sara, Anna, Rebecca, oppure alla stregua di eroine come Miriam. La Mazzi, però, non ne parla come di una qualsiasi donna ebrea, ma identifica in Maria di Nazaret quella Figlia di Sion, presente nella Genesi come colei che vinse il serpente. Quello che si legge di Maria nei Vangeli di Luca, Giovanni e anche Matteo è prefigurato in Michea, Geremia, Isaia, Gioele, Sofonia, Zaccaria e altri: Maria, come Figlia di Sion è la personificazione di Israele ed ha una missione accanto ai grandi della storia. Per questo Maria si turba dopo l’annunciazione dell’angelo Gabriele e la spada, di cui parla Simeone durante la presentazione al tempio, profetizza non tanto le sofferenze della croce, ma quelle dell’intero popolo. La spada è la parola di Dio.
La sicurezza delle prefigurazioni precedenti viene rimessa in discussione da Marinella Perroni, la quale fermandosi sui primi capitoli del vangelo di Luca, il prologo, detto vangelo dell’infanzia o delle origini, si domanda: perché Maria, qui protagonista, poi viene dimenticata nel resto, durante la vita pubblica del figlio, secondo una tradizione di Paolo, il quale non conosce una riflessione teologica di Maria? Una discontinuità, che scatena un’ulteriore domanda: questo Gesù da dove è venuto? Ammesso che sia figlio di Dio, pure risorto, ma da dove viene? Sospendendo un altro punto interrogativo su Luca (rabbino-levita-medico-discepolo di Paolo?), la Perroni legge questo prologo come un midrash in sette puntate, in cui si racconta Maria da madre di Gesù a madre del Messia, attraverso la verginità. Sono tanti gli spunti di riflessione( le differenze tra l’annunciazione di Zaccaria nel tempio e quella di Maria a casa sua; l’incontro tra Elisabetta e Maria come pentecoste, per profetizzare lo Spirito, più che per mettere al mondo un figlio, ecc), ma un punto va evidenziato. Secondo la Perroni, infatti, Maria nel prologo lucano non è vergine miracolosamente madre, ma il contrario; madre vergine non è la stessa cosa di vergine madre; madre vergine segue la tradizione della fede, mentre è necessario ribaltare il canone: la verginità di Maria è la sua maternità universale, tanto che si potrebbe fare a meno della definizione come madre; il figlio di Maria, nato da vergine è già resuscitato. Non si tratta di una maternità liberata, ma di una liberazione dal mater(che rivoluzione!).
E poi, che c’entra Maria con la donna dell’Apocalisse? Rincara la dose delle domande Ricardo Pèrez Marquez, il quale consiglia di orientare l’attenzione altrove, perché l’importanza di questo testo non sta nell’identificare l’Immacolata con la donna vestita di sole, bensì nel cambiamento radicale di vedere la realtà e la storia, preteso dal libro, come dice il suo nome stesso: Apocalisse, che per l’appunto significa rivelare, disvelare. Peccato, per motivi di spazio, non poter riferire nella sua interezza la complessa simbologia, accennata da Marquez, per spiegare il tipo di donna dell’Apocalisse, secondo la tradizione ebraica e testamentaria, ma non si può tacere l’atteggiamento indispensabile da assumere, su cui si sofferma: per togliere il velo, occorre la disposizione personale a voltarsi e a cambiare. Come Maria Maddalena, che piange la tomba vuota e, voltandosi, vede e riconosce dalla voce Gesù. L’importanza del libro non sta tanto nel momento di fragilità di una donna gravida, che partorisce in un contesto drammatico, quanto nel fatto che costituisca il canto della caduta dell’accusatore, capace solo di accusare gli uomini davanti a Dio e di far pesare per sempre il senso di colpa nel cuore umano. Escluso l’accusatore, scaraventato via dal trascendente, è di nuovo possibile una piena relazione con Dio, rappresentata dalla veste di luce della Donna, che sostituisce il tempio: la vittoria dell’umano(la vittoria del femminile? Regina degli angeli e dei santi in terra come in cielo?).
Anche Marida Nicolaci prova a dare i connotati, soprattutto teologici, a Maria con un’analisi appassionata e ben documentata del vangelo di Giovanni, che bisognerebbe riportare per intero, tanto è ricca di spunti per la riflessione. Il testo giovanneo, infatti, è capace nello stesso tempo di dare una testimonianza oculare su Gesù e la sua storia e di offrire, insieme, una contemplazione dei fatti, come se la storia palpitasse di vita. In questo vangelo Maria ha un ruolo cruciale solo all’inizio e alla fine della vita pubblica del figlio: le nozze di Cana e la crocifissione. Il modo di fare e di essere di Maria durante il matrimonio provoca “un ‘salto’ nei tempi”, un imprevisto: la trasformazione dell’acqua nel vino migliore inizia la vita pubblica di Gesù, che lo porterà alla croce, la sua ora. E’ stata la sua mamma in un certo modo a provocare il dono del vino nuziale, che “significa l’inizio di una nuova alleanza, di una nuova creazione, di un nuovo mondo”, con la differenza che a Cana la madre media tra Gesù e i servi, mentre sotto la croce è Gesù a mediare tra la madre e il discepolo più amato, in nome di una relazione umana, basata su maternità e filiazione, indipendenti dal sangue. “A Cana viene donato il vino nuziale, sul Golgota viene aperto il grembo della donna-madre Sion”. Maria, quindi, è una delle figure “bifronti” dell’Antico e del Nuovo Testamento: è una e, insieme, comunità, quale madre del Messia e donna-madre di Sion, il popolo dei cieli e terra, nuovi, che si reggono “sulla Parola diventata carne, la stessa Parola per la quale l’acqua è diventata vino”.
Una donna che conosce il libro, capace di stabilire una relazione col divino e con la Parola, in continuità con le grandi e le piccole donne del suo popolo e dell’umanità; una donna con una missione precisa, che la rende grande, come tutti coloro, che vivono e si impegnano totalmente, per realizzare un progetto di trasformazione e di liberazione; un nuovo modo di essere madre e vergine, superando la stretta parentela del sangue; una donna disponibile a togliere il velo, per liberare se stessa e gli altri dal senso di colpa; una donna coraggiosa e vittoriosa; una ricerca indispensabile: Maria di Nazaret.
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