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Chi ha paura della scienza?

Chi ha paura della scienza?

Futuri possibili - Da sempre il progresso scientifico "si nutre della diversità e dell’interscambio, indifferente alla nazionalità, al ceto sociale, alla religione e al sesso"

Stefania Friggeri Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2007

Il caso Welby ha riproposto in modo drammatico il tema del rapporto scienza/fede, costringendo un paese ammalato di analfabetismo scientifico ad interrogarsi ancora una volta intorno al principio della laicità dello stato: perché quando si ragiona sui temi etici diventa chiara l’impossibilità di conciliare due mondi così lontani, nei principi e nei metodi.
Ancora una volta si discute sui grandi temi della vita e della morte che, coinvolgendo in profondità il vissuto personale, i valori, le convinzioni religiose, rendono molto difficile compiere una scelta al di fuori degli schieramenti ideologici e col massimo di apertura mentale.
Come è apparso chiaramente al referendum sulla procreazione assistita, quando la diffusa impreparazione ad affrontare le questioni poste dalla ricerca e l’immagine negativa della scienza (rischio nucleare, inquinamento ambientale, ingegneria genetica) hanno indotto cittadini spaventati e/o disinformati a non prendere posizione. La scelta dell’astensionismo non va dunque strumentalmente interpretata come un allineamento plebiscitario ai dettami del magistero cattolico, ma piuttosto come estraneità e disaffezione verso un mondo vissuto come un’isola misteriosa dove gli scienziati giocano a fare Dio. Scossi dalle difficili e inquietanti novità della crescita tecnologico-scientifica che sfida le leggi di natura, oggi siamo lontani dall’ottimismo ottocentesco che vedeva nella scienza un motore benefico di progresso: non c’è un film o un romanzo in cui lo scienziato appaia come una figura positiva, diffidenza e distacco hanno preso il posto dell’interesse e dell’aspettativa fiduciosa. Abbiamo anche dimenticato quanto la scienza abbia contribuito all’incivilimento umano: storicamente essa ha promosso la tolleranza, ovvero l’abito mentale indispensabile alla vita di ogni corpo sociale che si vuole nutrire di libere relazioni, non teme la diversità, non guarda con diffidenza alla creatività: ieri col latino e oggi con l’inglese la scienza ha creato uno spazio comune di studio e di lavoro che si nutre della diversità e dell’interscambio, indifferente alla nazionalità, al ceto sociale, alla religione e al sesso.
L’attività scientifica è inarrestabile: documentata fin dai primi passi dell’homo sapiens, nasce dall’insopprimibile desiderio di sapere e di migliorare attraverso le applicazioni tecniche la condizione umana (il mito di Prometeo celebra il titano punito dagli dei per aver donato il fuoco all’uomo, cioè per averlo liberato da una vita strettamente animale attraverso la conoscenza).
Ma impostando i problemi in modo razionale, la scienza ha messo in crisi il pensiero dogmatico e ogni istituzione gerarchica. Non a caso infatti alla scienza viene rimproverato di avere contribuito alla secolarizzazione dell’occidente, dove oggi la fede non rappresenta più l’unico valore di riferimento nel campo dell’etica e dove si è verificato uno scisma sotterraneo, come dimostrano il controllo delle nascite e le convivenze civili.
Ma l’ostilità ai pacs è molto grave: non solo perché nega la cittadinanza a qualsiasi altro tipo di legame diverso da quello tradizionale, non solo perché impedisce l’allargamento dei diritti civili, ma anche perché non ne valuta tutte le conseguenze, anche se indirette e involontarie: le forze politiche più primitive e antidemocratiche e i media sempre affamati di scandalismo, presentano le posizioni del Papa come meritoria difesa della salute del popolo cristiano dai reprobi ‘gay’. E questo non può certo aiutare quei cittadini a liberarsi da uno stigma sociale che ancora oggi li vede offesi e maltrattati in Italia, carcerati od uccisi altrove, per tacere dei campi di concentramento nazisti. E’ incredibile che tutto questo accada ancora oggi nonostante le scoperte della genetica ci dicano quanto sia complicato il processo che porta alla definizione del sesso. Infatti nell’intricata interazione fra genomi ormoni e recettori, il meccanismo genetico diventa così complicato che non sempre quel cammino si conclude generando in modo secco ed inequivoco un maschio o una femmina, come invece richiede il pensiero prescientifico il cui immaginario si esprime attraverso le figure di Adamo ed Eva. La cecità di fronte al caso delle atlete private della vittoria dopo successive indagini intorno alla loro reale identità sessuale, ci dice quanto sia forte il rischio che oltreTevere si ripeta l’errore compiuto ai tempi di Galileo, quando invece sarebbe necessario ascoltare la voce di chi esprime le aperture e lo spirito del Concilio Vaticano 2^ e non quella del cardinale Ruini e dell’Opus Dei.
(15 febbraio 2007)

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