Questa domanda ironica, negli anni Settanta, metteva a tema l’ostilità dichiarata o latente che i consultori pubblici incontravano dalla nascita perché molti non sopportavano il protagonismo delle donne nelle scelte che riguardavano la loro salute riproduttiva. I Consultori pubblici istituiti a livello nazionale con la Legge n.405 del 1975 infatti andavano ben oltre l’idea del servizio di pianificazione familiare istituito in altri paesi e la centralità delle donne anticipava la Legge 194 che sanciva l’autodeterminazione delle donne in tema di sessualità e di maternità e introduceva l’idea innovativa di un potere medico non dirigistico ma “amichevole” e di sostegno alle scelte delle donne e delle coppie. Le reazioni contrarie furono subito significative e dopo trentaquattro anni ci sono ancora forze che hanno paura della libertà delle donne e pretendono di contrapporle la responsabilità morale dimenticando che questa può derivare solo dalla libertà .
Negli anni l’ostilità non è mai venuta meno anche se si è manifestata in modi diversi, compresa la scarsità di mezzi e risorse materiali e professionali messe a disposizione da Asl e potere politico per i consultori. Nonostante ciò questo servizio è entrato nelle abitudini e nell’immaginario di moltissime donne e uomini e oggi rappresenta un’opportunità in gravidanza e per la pediatria, anche per molte immigrate.
Forse proprio per questo i nemici dei consultori pubblici sono tornati all’attacco più forti che mai grazie a un potere politico che ha fatto da apripista alla restaurazione contro le donne e alla legittimazione del movimento per la vita (pagato dai soldi pubblici) nei servizi pubblici per sabotare la L. 194 sull’ IVG e l’utilizzo della RU 486, con lapidazioni psicologiche sulle donne ribelli e per affermare un unico modello familistico. Questa tendenza ha fatto scuola non solo in regione Lombardia, Piemonte e Lazio ma anche in altre realtà, come nella Usl di Bologna. L’eccezione è rappresentata dalla Giunta regionale della Puglia che ha tentato una riforma dei servizi preso atto del rapporto esistente tra l’alto numero degli obiettori nei consultori e l’eccessivo numero di IVG tra le minorenni.
La bocciatura da parte del Tar della Lombardia delle Linee guida della giunta Formigoni sulla L. 194 e il congelamento della delibera regionale della regione Piemonte che vara il Protocollo per l’introduzione dei “volontari pro vita” nei consultori pubblici sono stati resi possibili dal fatto che la L. 194 ha contenuto “costituzionalmente vincolato” e fissa dei principi che non possono essere modificati da atti regionali.
Queste decisioni hanno rappresentato un incoraggiamento alla battaglia delle donne e di tutti coloro che nel Lazio si stanno opponendo alla cosiddetta proposta Tarzia, firmata da tutto il centro destra, e conferma le ragioni che, in tutti questi mesi, sono state portate anche dagli uffici giuridici del parlamento e dello stesso consiglio regionale del Lazio, da giuriste e da ordini professionali contro la proposta considerata illegittima e incostituzionale. Inoltre le scelte fatte dalla regione Lombardia e dal Piemonte sembravano propedeutiche all’affondo legislativo da parte della presidente del Movimento per la vita, nonché vice presidente nazionale dei consultori cattolici. Proprio nel Lazio è emersa con forza l’esistenza di un disegno ideologico e politico che non è fatto solo di privatizzazione e distorsione dei consultori ma di un federalismo eversivo funzionale a una politica reazionaria in cui solo alcuni particolari soggetti ideologici sono abilitati a gestire donne e famiglie, a intervenire sulle loro scelte riproduttive e addirittura educative anche con l’invenzione di figure specialistiche inesistenti nell’ordinamento italiano. L’azione delle associazioni pro-life ha dimostrato una incredibile povertà di ragionamenti battendo sempre e solo sulla incapacità morale delle donne e sull’eccesso di IVG per ragioni economiche da contrastare con una elemosina, dimenticando la centralità delle donne nella maternità e nella famiglia, il ruolo della contraccezione per prevenire l’aborto, la mancanza di politiche per sostenere l’occupazione e la procreazione delle giovani generazioni, l’inconsistenza morale di chi tuona contro l’aborto ma si mostra indifferente alla violenza maschile contro donne e minori soprattutto nella famiglia e nei rapporti di fiducia, a una sessualità maschile sfrenata e impudente come vediamo nel nostro paese e che rappresenta il vero disastro antropologico e politico che abbiamo quotidianamente di fronte. Dire che le donne non possono decidere sulla loro sessualità e sulle loro scelte procreative, che lo si voglia o meno, è un modo per aumentare il potere maschile, politico, economico, familistico e fondamentalista su di loro. Potere onnipresente che dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, come le donne siano solo considerate come oggetti, di volta in volta oggetti sessuali, di violenza o riproduttivi, non persone dotate di libertà e responsabilità come abbiamo voluto e per cui abbiamo lottato dalla Costituzione a oggi. Battaglia che ha dato frutti significativi negli anni Settanta e che non a caso sono quelli particolarmente sotto attacco.
Naturalmente come è già successo per portare avanti questo disegno politico si costruisce una menzogna che ripetuta in tutte le sedi diventa una verità. La menzogna, come nel caso del Far West per la Legge 40, consiste nel sostenere contro ogni dato e ogni evidenza, comprese le relazioni annuali del Ministro della salute al Parlamento, che i consultori sono degli abortifici e che non si curano né della famiglia né della maternità e della paternità. È necessario modificare i consultori pubblici perché la cultura della vita deve vincere sulla cultura della morte. Poco contano le persone e le ragioni reali, molto conta il dato ideologico della vita astratta. In tutte le sedi donne, operatori e figure istituzionali hanno smontato queste accuse una ad una con dati, esperienze, testimonianze di donne, di professionisti e di amministratori. Tuttavia se le motivazioni puntuali hanno cominciato a incrinare qualche certezza in qualcuno dei firmatari nessun dubbio hanno prodotto sugli orchestratori e registi di questo battaglia. Basta leggere le dichiarazioni di O. Tarzia per capire. Ma anche le contraddizioni della Polverini tra le sue posizioni in campagna elettorale e i silenzi di questi mesi e le sue assicurazioni al papa nell’udienza del 14 gennaio 2011 sull’elevato numero degli aborti nel Lazio, assicurazioni che imprimono un’accelerazione al cammino intrapreso e ne svelano la natura. In realtà il numero delle IVG nel Lazio è nella media nazionale ma è sulla falsificazione e enfatizzazione di questo dato avulso dalla realtà che la consigliera Tarzia ha iniziato a combattere la sua battaglia per snaturare e privatizzare i consultori pubblici con l’abrogazione della L.R.15 del 1976. Convinta di avere la strada spianata a giugno ha dovuto in questi mesi subire la mobilitazione delle donne e il saldarsi di un’alleanza inedita tra tutte le associazioni delle donne romane, i coordinamenti femminili sindacali, la Consulta femminile Regionale e le forze di opposizione in Consiglio regionale finalmente unite su questo tema. La mobilitazione delle donne, con l’assemblea permanente che si riunisce tutti i lunedì alla Casa Internazionale delle donne, ha messo in campo numerose azioni che hanno permesso a molte persone di conoscere l’inganno e approfondire i problemi del funzionamento dei consultori e della battaglia contro l’autodeterminazione delle donne.
La discussione e le numerosissime richieste di audizioni alla competente commissione consiliare dimostrano inoltre come questi problemi siano avvertiti dagli ordini professionali (medici, ginecologi, psicologi e assistenti sociali) ma anche dalle istituzioni coinvolte come le provincie, le Asl o diversi consigli municipali, alcuni anche del Centro destra. Questo ampio coinvolgimento e la discussione approfondita che ne è scaturita ha portato alla riscoperta di questi servizi del territorio e delle loro funzioni: ed è indubbia, nonostante la posizione di nicchia che tutti attribuivano a questo servizio, la credibilità che esso si è conquistato negli anni. Gradimento e riconoscimento che si riscontra non solo nelle iniziative pubbliche e nei dibattiti ma soprattutto nella raccolta delle firme a sostegno dei consultori pubblici dove donne di tutte le età ma anche uomini e giovani che hanno incontrato gli operatori dei consultori come singoli o come coppia. La grande presenza della Consulta romana dei consultori è testimonianza di come gli operatori si sentano non solo parte in causa della battaglia in atto ma anche rappresentanti di tante e tanti loro utenti anche molto giovani come dimostrano le raccolte delle firme nelle scuole superiori di Roma per la qualità dei corsi di educazione sessuale fatti.
Eppure la situazione rimane paradossale. La collaborazione, la condivisione di temi e argomenti a favore dell’autodeterminazione delle donne, del valore del primo servizio di genere voluto e ottenuto dalle donne e per le donne nel 1975 di cui la legge attuativa del Lazio è particolarmente pregevole, i dati a disposizione che dimostrano la qualità del servizio, il valore della salute delle donne e di assistenza alla famiglia che dovrebbe stare particolarmente a cuore a tutti in un periodo di crisi economica e di tagli alle strutture sanitarie per le risorse insufficienti per i servizi pubblici, l’ostinazione a non accettare nessun confronto reale ci dicono che l’operazione è di natura ideologica e di potere e i promotori pensano di prescindere completamente dalle esigenze delle donne e dalla realtà anche in barba alla mobilitazione democratica.
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