Ho letto ‘Sottosopra’ di ottobre 2009, contiene spunti interessanti che concordano con ciò che nell’UDI si è scritto su lavoro di cura e manutenzione....
Lunedi, 02/11/2009 - Ho letto ‘Sottosopra’ di ottobre 2009, contiene spunti interessanti che concordano con ciò che nell’UDI si è scritto su lavoro di cura e manutenzione. Il Manifesto - così lo chiamano le autrici - apre con 2 lettere “cara amica” e “caro amico”. Mi soffermo sulla prima, immaginando di essere una delle destinatarie. Traggo i corsivi virgolettati dalla lettera. La mia pratica politica fa del “percorso già compiuto” un punto di partenza. Non solo per consentire “primi tentativi di riflessione e bilancio”, ma per produrre azione politica ogni giorno con altre donne, perché “la politica non si fa da sole”. Poiché la lettera contiene un “piena e paritaria” riferito alla “partecipazione delle donne”, mi sento chiamata a dire qualcosa, essendo relatrice del Progetto di legge Udi Norme di Democrazia Paritaria per le Assemblee elettive presso la Commissione Affari Costituzionali del Senato. Ci sono molti fraintendimenti sul 50E50. Voglio scomodare la memoria e le parole di Letizia Gianformaggio per dire alcune cose che mi auguro comprensibili. Letizia mi è stata idealmente accanto durante lo studio per la Proposta e forse da lì dove ora sta, oppure nella memoria di molte di noi, sorriderà in bonaria ironia. Quando si parla di leggi, norme, Costituzione, uguaglianza, in una parola di Diritto, si fa riferimento a costrutti rispetto ai quali la differenza sessuale è e deve restare una pre-condizione. I tentativi di introdurla nella norma sono falliti tutti miseramente. Altro è affermare la differenza sessuale in ogni dove, altro è usarla in maniera posticcia nel Diritto. L’unica conseguenza possibile, a tutt’oggi, è il suo stravolgimento in “distinzione” o peggio “divisione dei ruoli”. Qualcosa del genere è avvenuto dopo un Documento Vaticano vecchio di soli 5 anni, a firma dell’attuale Papa, quando era a capo della Congregazione per la Dottrina della Fede. Parlo della Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, che suscitò un complesso dibattito tra alcune donne italiane, tutte colpite favorevolmente dall’attenzione che ai loro occhi il futuro Papa sembrava avere verso la parola "differenza", citata per ben 13 volte nel Documento. Lettera ai Vescovi che, nella realtà, propugna una divisione dei ruoli e un ritorno al passato. Mi soffermo su questo perché bisogna fare molta attenzione all’uso delle parole, e ancor di più all’uso che altri – come nel caso vaticano - fanno delle proprie. Tornando a noi e alle parole di Letizia Gianformaggio, faccio riferimento alle riflessioni su uguaglianza e differenza sessuale. Mi limito a indicare il testo postumo a cura di Facchi, Faralli e Picth edito da Il Mulino “Eguaglianza, donne e diritto” con ampia bibliografia. L’assunto di partenza è contenuto nell’introduzione “un monito a prendere sul serio l’uguaglianza” dove vengono indicate le tante volte in cui Gianformaggio si è posta la questione “se politica della differenza e principio d’eguaglianza siano veramente incompatibili, dato che avendo analizzato i diversi significati tanto di uguaglianza quanto di differenza le appariva chiaro come né la politica della differenza neghi l’uguaglianza, né il principio di uguaglianza dimentichi le differenze.” (ivi, pag. 16) Sì, è bene prendere sul serio l’uguaglianza, più che continuare a disquisire in eterno tra noi sulla faccenda. In fondo, le stesse Costituzioni, la nostra almeno lo fa, parlano di uguaglianza “davanti alla legge”. Davanti alla legge, e non altrove. La Democrazia Paritaria del 50E50 …ovunque si decide!” non chiede quote, ma afferma principi; non chiede tutele, ma parla (dal 2005 per l’esattezza) di diritti e doveri, di condivisione e dialogo civile tra i generi. Principi e pratiche che non ostano alla differenza, bensì la contengono per la sua affermazione “alla pari”, posto che differenza sessuale coinvolge donne e uomini. Nel 2007 un intero numero di Via Dogana (ma è solo uno dei riferimenti possibili, posso citare un intervento di Lia Cigarini e uno di Ida Dominijanni sul Manifesto) fu dedicato alla nostra Campagna per avversarla con argomenti vari: in alcuni passaggi vi è lampante dimostrazione di non avere letto neanche uno dei documenti originali. Credo che questo non abbia nulla a che fare con i pensieri contenuti nel pensiero della differenza, ma con dinamiche precise dipanatesi in Italia a partire dagli anni 80.Nell’arco degli anni 80-90 alcune traduzioni del pensiero della differenza sessuale hanno trovato ascolto in donne in Italia. Alcuni toni contenuti in scritti di quegli anni erano molto assertivi. Mi riferisco al testo “Non credere di avere dei diritti” e a tutta una vivace produzione che ha trovato spazio in aule universitarie, come su comodini privati. In Italia alcune donne hanno continuato a pensare. Altre hanno fatto anche altro. Tutto perfettamente lecito e qualche volta gradevole. Concetti molto accattivanti, legati a parole quali affidamento, disparità, autorità, madri simboliche si sono infranti molto spesso sullo scoglio degli scogli: la pratica politica. Ecco che sulla parola “politica” (per me mai disgiunta dalla riflessione giuridica) devo soffermarmi, e tornare a citare alcune parole della lettera “cara amica” dove le Donne di Milano scrivono di essere in “tante” e di essere “coinvolte in molte cose” e subito dopo che… “voglio dire la mia” su alcune altre. Più avanti, si aggiunge però “sulla politica meno: è già stato detto molto e non vedo molta disponibilità ad ascoltare. Anzi, a me la politica par di farla solo quando riusciamo a dar parole pubbliche ai nostri punti di vista”.La parola “politica” viene usata quindi in almeno due accezioni differenti, prima per indicare qualcosa su cui si vuole “dire meno”, poi per dire cosa “la politica par di farla solo quando…” Bisogna intendersi sulle parole, sul loro significato e sul conseguente uso. Se l’assunto laconico presente nel Sottosopra “il discorso della parità fa acqua da tutte le parti” ha a che fare in qualche modo finalmente con una critica alla filosofia/pratica delle “pari opportunità” in Italia, non può che trovarmi d’accordo. Le pari opportunità sono al capolinea da tempo, per 2 ordini di ragioni che qui sintetizzo: 1) si tratta di istituti gestiti a livello governativo in netto contrasto con i principi per i quali sono nati in origine, 2) sono vissuti sia da chi li gestisce sia da chi li elargisce come luoghi di scarsa autorevolezza, in maniera affatto differente che altrove in Europa. Entrambi questi aspetti deleteri sono indipendenti dal colore politico della maggioranza di turno. In due parole, andrebbero abolite. Altra cosa è la pratica politica, mi riferisco ad alcune consigliere di parità che fanno da anni un lavoro encomiabile per affermare le politiche di genere. A questo si aggiunge il fatto, perché è un fatto che spesso si tende a confondere, che l’istituto delle consigliere di parità è altra cosa rispetto all’universo caleidoscopico delle pari opportunità, anche dal punto di vista del ruolo giuridico e politico. Il problema, ancora una volta, è che l’eccesso di assertività nuoce sempre. E l’affezione per le parole, se portata allo stremo, non rende giustizia a molto. Passo ad altro: le Donne del Sottosopra scrivono – ma è cosa che sento da un po’ - che il patriarcato sarebbe morto, e “morto nel cuore delle donne” e che “perfino la parola fa pensare al secolo scorso”. Quanto il patriarcato sia morto nel cuore delle donne, tutte indistintamente, è arduo da affermare in giorni in cui sentiamo quello che sentiamo dire da donne sullo stupro a Montalto di Castro. Nessuna può avere la pretesa di rappresentare e/o parlare a nome di tutte le donne in Italia. Né ancora è possibile pensare o dire “le donne” ovunque come un universo unico. Perché allora, con quella frase, comunicare questa supponenza? Non scrivo tanto per convincere le Donne della lettera. Scrivo perché mi interessa e molto la politica. Si possono dire e fare tante cose su lavoro di cura e maternità, si può riscoprire la bellezza del privato e vivere tutto questo non come un privilegio procurato da portafogli o da condizione socio-culturale, ma come un privilegio puro della mente, e come tale appannaggio di tutte... si può fare tutto questo, ma per quanto riguarda la politica, la politica che resta il luogo delle scelte, che anche per me è coniugata innanzitutto tra donne, la politica che ci fa tutti i giorni un po’ più cittadine di questo nostro piccolo grande mondo, per quanto riguarda questo a qualcuna potrebbe passare per la mente che basta e avanza riuscire “a dar parole pubbliche ai nostri punti di vista”. Qualcuna, disoccupata nel lavoro e/o nella passione per la politica, potrebbe prendere a prestito delle belle parole, rimuginarle, incorniciarle accanto al proprio comodino, per poi dire a se stessa e ad altre: io sì, io faccio politica, ho un punto di vista! Infine: il “femminismo non ci basta più”, recita l’incipit del Sottosopra, lapidario. Sono femminista e non sento il bisogno di “nominarlo” continuamente in giro. Indubbiamente, la ridda di parole, usi e costumi tra donne in Italia è tale e tanta e da così tanto tempo, che di una cosa sono sicura: un certo qual femminismo parlante non mi basta più. Siamo già oltre. Ho a cuore la libertà e la signoria del genere politico femminile. Al mio sguardo, presupposti imprescindibili per una intelligente felicità.
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