In questi giorni ci si interroga - ed è un bene - su tutto, perché errori politico-militari ne sono stati fatti da più parti in tutto il Medio Oriente e anche altrove, e perché alta è stata la cecità di talune strategie, cui è ricorso il cosiddetto mondo libero.
Fare il mea culpa sulle azioni inidonee non può però avere quale conseguenza la riduzione al silenzio di ogni dissidenza occidentale.
Penso che la saggezza cui ha fatto riferimento Luisa Muraro nei suoi due interventi sul sito della Libreria delle Donne di Milano, in occasione dell’attentato a Charlie Hebdo, sia una qualità necessaria a ogni atto della vita e della relazione con gli altri e dunque in astratto concordo con lei e con le altre redattrici del gruppo, che hanno condiviso il suo pensiero.
In astratto, però. Perché da quelle formulazioni e dalla discussione che ne è sorta su FB - difficile perché difficile è discutere utilmente in un luogo virtuale, che si presta a fraintendimenti e uso di slogan - ho l’impressione che il concreto sia assente.
Riporto quanto apparso su rainews.it del 13 gennaio:
«Prima di Charlie Hebdo, altro sangue sulle vignette: Ali Farzat e Naji al Ali. Ad Ali Farzat hanno provato a spezzare le mani perchè non disegnasse più vignette sul presidente siriano Bashar al Assad, ma lui non hai mai smesso. Il disegnatore palestinese Naji al Ali, invece, è stato assassinato a Londra nel 1987. Si suppone che fosse implicato il Mossad, ma i colpevoli non sono mai stati arrestati».
La mia prima domanda è: sarebbe stato opportuno consigliare saggezza anche a Naji al Ali e ad Ali Farzat, oppure nel loro caso i disegni satirici potevano e possono esser considerati “saggi” in via automatica? E se lo erano da cosa proveniva questa differente valutazione? Dal fatto che l’oggetto preso di mira era un Presidente in carne e ossa, Bashar al Assad o Netanyahu, e non un Profeta religioso?
In altri termini, chi prende di mira il potere politico è giustificato, chi prende di mira la religione (che sarebbe ciò in cui una massa di gente crede) invece non lo è?
Ed ecco qualche altra domanda conseguente.
Charlie Hebdo prendeva di mira i simboli della religione musulmana e anche quelli della religione cristiana. Lo faceva per attaccare questa o quella religione in sé, o per attaccare il potere esercitato attraverso e in nome dell’una o dell’altra?
Avrebbero nutrito interesse per Allah o per il Profeta i disegnatori di Charlie Hebdo se A MONTE non vi fosse stato un esercizio del potere da parte dei vari gruppi fondamentalisti, di questo o di quel Paese? Se non vi fossero mai state fatwe, assassinii, interramenti e lapidazioni di donne, taglio di mani per i ladri e altri crimini analoghi, si sarebbero mai occupati di Allah o di Maometto?
Quel che veniva attaccato da Charlie Hebdo, mi sembra di poter evidenziare, non era il Profeta in sé ma l‘immagine violenta del Profeta che emergeva CON CHIAREZZA da alcuni atti del fondamentalismo religioso. Lanciare fatwe a destra e a manca, uccidere per punire chi si discosta dal solco rigido tracciato da chi crede o finge di credere di essere il migliore interprete di un Dio e di poter commettere atrocità in suo nome, equivale a fare di quel Dio un “mandante”, vuol dire diffondere un’immagine violenta della propria religione e rendere ridicoli i suoi massimi esponenti molto più di quanto possano aver fatto i disegnatori uccisi, che si erano limitati a registrare e tradurre in visibilità grafica quella visibilità concettuale che irrompe dalla gestione perversa della religione musulmana fatta da altri.
Qualcuno ha scritto in questi giorni che la satira non serve al dialogo. A parte il fatto che la satira, in quanto svela e provoca discussione, quel dialogo che si vorrebbe lo produce, come ben sapevano tra i tanti Grosz e Diz, vorrei che si ricordassero per il caso specifico non solo la condanna a morte emessa nei confronti di Salman Rushdie per “I versi satanici”, l’assassinio del suo traduttore giapponese, il ferimento dell’editore norvegese e quello del traduttore italiano; vorrei che si rammentasse anche la fatwa lanciata contro Khalida Messaoudi (Una donna in piedi, Mondadori), femminista algerina costretta per lunghi anni a nascondersi per non essere uccisa dagli emissari del FIS. Sono solo i primi esempi che mi vengono in mente e che non esauriscono certo la casistica.
Commettere crimini in nome di Maometto o di Allah significa fornire p u b b l i c a m e n t e una visione del Profeta o del Dio che definire criticabile è dir poco e contro la quale i musulmani stessi, nel loro diretto interesse, avrebbero dovuto reagire costantemente IN MASSA e non solo sporadicamente o con interventi isolati, com’è accaduto prima di questo attentato avvenuto in Europa. Perché se si ritiene - fondatamente o a torto, poco cambia - che la propria religione sia altro, non solo è bene che il mondo possa conoscere una versione completamente diversa di quella presunta verità religiosa, ma è necessario diventar consapevoli che “il nemico” per ogni musulmano non fondamentalista è il fondamentalista stesso e non chi ne denuncia le azioni e, nel caso di Charlie Hebdo, chi disegna e pone in evidenza la crudeltà e la follia di un potere.
Sono certa che Luisa Muraro non intendesse fornire scusanti ai criminali scrivendo della necessità di una saggezza. Aggiungo ancora una considerazione. “Uccidere in nome di Dio è aberrante” - lo era anche al tempo dei roghi per eresia e stregoneria, non posso fare a meno di osservare - “ma non si può insultare la religione degli altri”, ha dichiarato il Capo della Chiesa cattolica. Detto diversamente, non si offendono i simboli delle varie religioni. Presumo che sia in quanto simboli di quello in cui crede molta gente. Dovrebbero però non essere mai offesi senza una fondata ragione anche altri simboli, in questo caso quelli della libertà di pensiero in cui credono i non religiosi, perché il loro è un credo altrettanto forte, più generalizzato di quanto si sia disposti ad ammettere e certamente non meno rispettabile.Tra i simboli della libertà di pensiero, della sua autonomia, è stato messo a forza dai jihadisti il nome di Charlie Hebdo, che ha avuto il “torto” di accendere riflettori colorati sui crimini del fondamentalismo, e che rappresenta, oggi più di prima, il diritto di un’ampia parte del mondo alla libera espressione. Anche mediante la satira.
Lascia un Commento