Venerdi, 06/07/2018 - Casi come quelli di Cesira Ferrari ci spingono a paragoni con le violenze commesse ancora oggi su corpi e menti delle donne dato che le relazioni affettive, ieri come oggi sono basate sulla prevaricazione, alimentata dal genere. Maltrattate o uccise perché donne. Invito tante di noi a cercare notizie su questa donna dimenticata dalla Storia ma non dalle donne.
Devo ringraziare la mia amica studentessa di Urbino, se riesco ad avere materiale su cui lavorare. Lavorare per contrastare l’odio, la discriminazione verso le donne. Forse è importante far toccare con mano un caso reale di femminicidio, preceduto e seguito da tutti quei comportamenti violenti e meschini, senza nulla di eroico che caratterizzano il più delle volte la violenza domestica; è importante far comprendere come molti piccoli comportamenti nei confronti di compagne o fidanzate dei quali non si valuta a sufficienza la portata e il significato, non siano così banali. Questi atteggiamenti si pongono allo stesso livello del marito di Cesira che in un crescendo di presunzione, di egoismo e di aggressività giunse ad arrogarsi il diritto di vita e di morte della sua “amata” moglie. Comprendere che sottrarre e spiare il cellulare o la posta elettronica della propria donna, controllarla telefonicamente o seguirla di nascosto è esattamente quello che Babila faceva chiedendo al cognato e alla madre di controllare la moglie; ma anche proibirne le amicizie, o sceglier per lei le amiche, quella mi piace e quella no, insultarla, scrivere messaggi ambigui, offensivi o intimidatori, indebolire la sua autostima con continui richiami e atteggiamenti svalutanti o postando immagini che la espongono al ridicolo e al giudizio negativo della collettività, anche attraverso le diffamazioni, significa replicare le modalità d’azione della personalità criminale e della cultura rozzamente villana e da scarpe grosse e arcaica, quella dei rozzi che si facevano guidare dall’istinto quando tornavano da lavoro, quella del feudalesimo, pur astenendosi oggi a volte dai fatti più gravi delle percosse e delle violenze fisiche. Sempre è comunque riconosciuta la legittimità, se non il dovere, della correzione da parte del marito di veri o presunti atteggiamenti di disobbedienza che, se tollerati, avrebbero potuto minare l’ordine sociale fondato sulla famiglia patriarcale e sulla supremazia del marito che esercitava un’autorità pressoché assoluta, quando tornava dalla campagna. Il problema non era dunque la legittimità della violenza domestica, sempre riconosciuta in capo al marito per scopi ‘correttivi’ ed ‘educativi’, quanto piuttosto i suoi limiti: fino a che punto poteva spingersi l’azione correttiva del marito sulla moglie? In Francia i cambiamenti vennero recepiti dalla dottrina giuridica e dall’Encyclopedie, svuotando di potere la potestà correzionale del marito sulla moglie, senza tuttavia giungere alla sua negazione. Se tuttavia la dottrina giuridica, a piccoli passi, poneva freni all’arbitrio del marito in ambito familiare, questo permaneva nell’immaginario e nelle consuetudini popolari e contadine, che ripetevano e tramandavano atteggiamenti arcaici, difficili da s c a l z a r e , s o p r a t t u t t o i n a s s e n z a d i u n a d i f f u s a scolarizzazione delle classi più povere isolate in villaggi di campagna, con le loro leggi non scritte e legate al predominio del maschio. Ogni parola, ogni atteggiamento, ogni comportamento di un membro della famiglia che paresse scalfire il senso dell’onore del pater familias, o mettesse in discussione il suo potere di controllo e di gestione della casa e delle persone che vivevano, era spesso punito in modo esemplare nel contesto locale, utilizzando il metodo della “pubblica ammenda”. A costo di pagarne le conseguenze giudiziarie, l’onta doveva essere lavata, se necessario anche nel sangue. Se queste norme e questi atteggiamenti possono apparire lontanissimi dalla dottrina giuridica italiana di oggi e dalla mentalità corrente, non appare fuori luogo ricordare che il delitto d’onore in Italia fu abolito solo nel 1981.
Dal basso Medioevo all’Età moderna i giuristi furono impegnati a trasferire nel matrimonio la terminologia utilizzata nel diritto di proprietà. Possedere una cosa significa infatti escluderne la proprietà o il godimento di altri. Per questo in molti casi, la punizione dell’adulterio era soggetta a un giudizio pubblico che vagliasse le prove prima di emettere sentenze capitali, demandato preferibilmente al potere vescovile che aveva, tra i suoi compiti, anche quello di indagare la diffusione di questo genere di peccato all’interno della propria diocesi, come ben dimostrano fino all’età contemporanea i verbali delle visite pastorali.
Il diritto di proprietà che costò la vita a Cesira, che costa la vita alle tante Cesire di oggi.
Elena Manigrasso
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