Centri antiviolenza e i fondi statali. Il caso (eclatante) del Lazio
I criteri di assegnazione dei fondi statali premiano le regioni che sono già più avanti: il monitoraggio 2019 di ACTIONAID e l'esempio di Lucha y Siesta a Roma
Sabato, 29/02/2020 - Dopo la Convenzione di Istanbul, ratificata in Italia nel 2013 per non incorrere nelle sanzioni amministrative da parte dell’Europa, lo Stato si è mosso per implementare e aumentare i Centri Antiviolenza e le Case Rifugio, vi è stato un incremento per quasi tutte le regioni ma non per tutte e, anche se di poco, sono penalizzate le regioni del sud.
Nella relazione “TRASPARENZA E ACCOUNTABILITY ACTIONAID - Monitoraggio dei fondi statali antiviolenza 2019”, analizzando la ripartizione abbiamo notato che i criteri di assegnazione non privilegiano le aree più disagiate o meno fornite di servizi o chi ha meno Centri Antiviolenza (cav) e Case Rifugio (cr), ma paradossalmente chi ha una filiera di servizi più ricca e chi ne ha il numero maggiore sul proprio territorio.
Bisogna comunque tener presente che i fondi erogati per tutti i cav della penisola sono una goccia nel mare rispetto a quanto chiedeva nel 2013 la Convenzione di Istanbul: un cav ogni 10mila abitanti; invece nel 2018 erano attivi in Italia 285 cav, pari a circa lo 0,06 per 10mila abitanti. I pochissimi fondi che vengono erogati dallo Stato sono stati 20 milioni nel 2018 e solo lo 0, 39%, pari a 77.000 euro, è arrivato ai Centri Antiviolenza e alle Case Rifugio. Per il 2020 sono previsti altri 20 milioni e un implemento di 58 cav distribuiti in tutte le Regioni.
CRITERI DI RIPARTIZIONE FONDI I criteri per il 2018 (e per gli anni2015,2016, 2017) per suddividere le risorse per il potenziamento dei cav e delle cr esistenti, sono stati fatti in base al numero di residenti e al numero delle strutture già presenti in ogni regione. E anche utilizzando il FNPS (fondo nazionale delle politiche sociali), si tratta di una distribuzione di risorse rigida che non tiene conto di quanto stabilito dalla legge, che dice di tenere conto “della necessità di riequilibrare la presenza dei Centri Antiviolenza e delle Case Rifugio in ogni regione”. In base a questi criteri, le strutture esistenti saranno implementati e avranno più finanziamenti e migliori servizi, dove invece non ce ne sono arriveranno meno fondi. Dunque le strutture esistenti funzioneranno sempre meglio e gli altri rimarranno indietro e si indeboliranno sempre di più.
QUALCHE NUMERO Nel 2018 i Centri Antiviolenza in Italia sono 280 (escluse le province di Trento 1 e Bolzano 4): Nord 144 – Sud 115 – Centro 21.
Dal 2013 al 2018 (per la Convenzione di Istanbul c’è stata la costituzione di vari centri in tutta Italia per via delle sanzioni europee) sono aumentate in modo consistente in Lombardia (da 21 al 49) e Veneto (da 10 a 22), la Campania (era riuscita a passare da 9 a 48 nel 2017, ma nel 2018 ne aveva solo 39), sono diminuite in Sardegna (da 13 a 8), e le Case Rifugio in Sicilia (da 52 a 22), nelle altre regioni sono aumentate di poco o di molto,che non sposta la ripartizione complicata anche dal fatto di avere più gestori(Regioni o Comuni).
La ripartizione dei fondi in generale ha penalizzato le regioni che, pur essendo più popolose non ha un numero adeguato di centri antiviolenza e di case rifugio. In questa ripartizione il Lazio è un caso eclatante, perché nonostante sia la seconda regione più popolosa d’Italia, dopo la Lombardia,ha avuto meno implementazione e dunque meno fondi ad esempio dell’Emilia Romagna, della Toscana, del Veneto o della Campania, il Lazio (il 2013 aveva 7 cavnel 2018 ne ha avutosolo 13), è prevista per il 2019 (2020) la costituzione di altri 10 cav, ma non cambia la sua posizione di svantaggio rispetto alle altre Regioni. Resta comunque la Regione più penalizzata rispetto anche ad altre realtà più virtuose del sud come ad esempio la Puglia (da 19 a 26).
L’ESEMPIO VIRTUOSO DI LUCHA Y SIESTA A ROMA Lucha y Siesta è un esempio di eccellenza in Europa è, se vogliamo semplificare, sia Centro Antiviolenza che Casa Rifugio e contiene in sé anche un piccolo passaggio, ma importante, che è quello di avviare al suo interno per le donne accolte delle attività lavorative che sono poi indispensabili una volta uscite dal percorso.
Nata nel 2008, con la valorizzazione di uno stabile dell’ATAC (l'azienda dei trasporti della Capitale), negli anni è diventata anche uno spazio simbolico di audeterminazione delle donne che offre accoglienza abitativa e sociale, che facilita l’inserimento nel lavoro, che garantisce consulenza psicologica. Dal 2008 ad oggi Lucha ha accolto migliaia di donne, rispondendo ad un numero di richieste di accoglienza che il Comune di Roma non può e non poteva sostenere con i fondi statali antiviolenza. Nonostante questo l’ATAC ha deciso di vendere lo stabile per fare cassa. È storia di questi giorni il tentativo di chiusura delle utenze dell'immobile. Il Comune di Roma è cieco e sordo rispetto a questi luoghi che non sono solo simbolici, ma attivi e reattivi nella società. Uno Stato che calpesta i nostri diritti e i suoi doveri crea distanze abissali e crea disuguaglianze che forse non saranno mai più colmabili.
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