Il sacerdozio proibito -
E se un vescovo ordina sacerdote una donna… merita la scomunica
Stefania Friggeri Lunedi, 06/02/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2012
“Ordinare sacerdoti delle donne? Sarebbe la stessa cosa che celebrare la messa con la Coca Cola” Con queste colorite parole il Cardinal Biffi, senza perdersi in disquisizioni teologiche, riaffermava la posizione tradizionale della Chiesa cattolica sul sacerdozio femminile. Vedi il caso del vescovo australiano di Toowomba rimosso dal suo incarico perché aveva diffuso una lettera pastorale in cui si dichiarava favorevole al sacerdozio femminile. E se un vescovo ordina sacerdote una donna? Secondo la dottrina della Chiesa cattolica si rende colpevole di un “delictum gravius” (come quello di cui si macchiano i preti pedofili) e merita la scomunica. Perché ancora oggi sulla donna grava “l’incapacità di culto”, come starebbe a dimostrare il fatto che gli apostoli erano tutti maschi; ma oggi sul sito “Amici domenicani” una fedele scrive: “ Premetto che sono cattolica praticante e che mi sottometto completamente all’Autorità del Papa. Ciononostante vengo assalita da dubbi circa la questione del sacerdozio femminile…mi chiedo: non era anche Gesù un uomo del suo tempo?…se avesse scelto anche le donne come apostoli non trova che a quei tempi sarebbe stato criticato?….Ma se venisse oggi sulla terra non pensa che sceglierebbe anche le donne?…Ci sono tanti sacerdoti che….hanno in mano la Parola di Dio e pare che leggano le previsioni del tempo…Ha idea della carica di passione che porterebbero le donne nella Chiesa? Ha idea di come sanno amare le donne? E poi Padre parliamoci chiaro: le donne sono più capaci dell’uomo di vivere in castità”. Sul tema la discussione si trascina da secoli anche perché “l’incapacità di culto” è un carattere arcaico che nell’antichità apparteneva a tutte le religioni del Medio Oriente, della Grecia e di Roma. Dove i sacrifici comportavano anche l’abbattimento di animali di grossa taglia, operazione sconsigliata alle donne, sia per la loro costituzione fisica sia perché alla donna è associato il compito di dare la vita, di proteggerla. Ma l’elemento decisivo che impediva alle donne di accedere al sacerdozio era l’impurità da cui sono contagiate durante le mestruazioni. Anche l’uomo presso gli ebrei poteva divenire impuro, ad esempio in seguito al contatto con un cadavere, ma questa circostanza, diversamente dalle mestruazioni, poteva essere evitata. Nell’antichità il tabù del sangue femminile trovava fondamento nella convinzione che fosse velenoso, tale da uccidere la forza vitale del seme maschile o da provocare danni genetici al nascituro che sarebbe nato lebbroso o idrocefalo o epilettico o posseduto dal demonio ecc. Vietati dunque i rapporti carnali con le donne mestruate anche perché “Se lo (il sangue mestruale) si tocca non germinano frutti, i fiori appassiscono, le erbe inaridiscono…il ferro arrugginisce” (Isidoro di Siviglia). Il Levitico afferma che la donna mestruata rimane impura per sette giorni e tutto ciò che tocca diventa impuro, un pregiudizio che ancora oggi impedisce alle donne mestruate di toccare il Corano. Se alla donna mestruata era proibita la comunione, più spesso in Oriente che in Occidente, ancora più velenoso era il sangue delle puerpere per le quali il Sinodo di Treviri (1227) prevedeva un’apposita cerimonia di riconciliazione con la Chiesa: “anche Maria poté entrare di nuovo nel tempio solo dopo quaranta giorni e dopo un sacrificio di purificazione” (Uta R. Heinemann). Ed è solo a partire dal seicento (il secolo di Galilei e di Newton in cui la razionalità scientifica si afferma grazie al metodo sperimentale) che la credenza negli effetti nocivi del sangue mestruale viene progressivamente abbandonata. Se nel mondo pagano non mancavano figure di rango sacerdotale, (ma anche qui la disciplina del sesso era ferrea: le sacerdotesse o erano le “vergini del tempio” o all’opposto erano le “prostitute sacre”; un caso a sé le veggenti, dotate del dono della profezia, come la Pizia) nella Chiesa dei primi secoli erano presenti le presbyterae e le diaconesse, che assistevano le donne malate e provvedevano al battesimo (la donna veniva immersa nuda nell’acqua), ma sulle loro funzioni tuttora è in corso un acceso duello dove i contendenti si misurano con le armi dell’interpretazione filologica e della corretta lettura dei testi (vedi la lettera in cui papa Gelasio I, 494 d. C., dichiara di aver appreso che alle donne era concesso di divenire “sacris altaribus ministrae”). E oggi? Nel 1976 esce la “Inter Insignores” che ribadisce la posizione tradizionale della Chiesa cattolica ma evidentemente la solenne Dichiarazione non riesce a superare la discrepanza fra la posizione ufficiale del magistero e il contesto sociale, dinamico e sensibile alle rivendicazioni femminili. E infatti nel testo dell’ “Ordinatio sacerdotalis” (1994), riaffermate le precedenti disposizioni, papa Giovanni Paolo II si preoccupa di aggiungere: “questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa”. Due anni prima la Chiesa anglicana aveva concesso il sacerdozio alle donne.
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