Mondo/ Il Guatemala dimenticato - Catastrofi naturali, sfruttamenti senza scrupoli e violenza in un Paese dimenticato, nonostante il Nobel a Rigoberta Menchù e gli accordi di pace
Angelucci Nadia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2005
A sette anni dal devastante uragano Mitch il Guatemala conquista il suo doloroso spazio nei mezzi d’informazione internazionale grazie ad altro distruttivo fenomeno naturale: Stan. Nei sette anni trascorsi tra i due uragani solo silenzio, come se questa nazione non esistesse. Eppure il paese centroamericano è il più disuguale dell’America Latina: la concentrazione della proprietà e della terra si trova in poche mani, il 2% della popolazione possiede il 72% della terra e, secondo i dati delle agenzie internazionali, il 57% dei guatemaltechi vive in condizioni di povertà e il 21% in stato di povertà estrema. Dei 12 milioni abitanti, quasi 7 milioni possono contare solo con 2 dollari al giorno per sopravvivere.
La comunità internazionale, dopo la firma degli accordi di Pace del 1996, che poneva fine al conflitto armato di lunghissima durata nel quale si è perpetrato un vero e proprio genocidio ai danni dei discendenti del popolo Maya e dopo l’emozione e la partecipazione mondiale che ha accompagnato la consegna del Nobel per la Pace a Rigoberta Menchù Tum nel 1992, sembra aver dimenticato questo piccolo paese. Sono passati quasi 10 anni dalla firma della pace ma solo una piccola percentuale degli accordi e degli impegni è stata rispettata.
Per questo il Guatemala non riesce ad uscire dalla sua crisi strutturale fatta di violenza e impunità che alimentano la povertà, la disuguaglianza, la concentrazione della terra nelle mani dei discendenti degli antichi colonizzatori, l’analfabetismo e la denutrizione diffusa, così come preserva nel proprio tessuto sociale la corruzione e la violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
E’ ovvio che un paese in queste condizioni non riesce ad offrire alla gran parte della popolazione servizi di base e una casa degna. Inoltre il disastro naturale provocato da Stan nasconde le ragioni di fondo di questa tragedia: il comportamento delle imprese di estrazione di legname e la costruzione di dighe hanno distrutto in maniera sistematica l’equilibrio naturale.
Il governo guatemalteco ha stimato che circa 3 milioni e mezzo di cittadini sono stati danneggiati dall’uraguano Stan e che la terza parte del territorio nazionale è stata devastata, con danni gravi in 12 delle 13 province più popolose. Le cifre attuali riguardanti i morti si avvicinano alle 700 persone, 1000 quelle relative ai dispersi. Insomma un vero disastro in termini assoluti e relativi.
La regione più colpita è quella abitata da comunità indigene contadine; 80mila di loro hanno perso case e coltivazioni. La CLOC - Coordinadora Latinoamericana de Organizaciones del Campo – ha denunciato che mentre nelle comunità maya colpite dall’uragano, dove si produce la maggior parte della produzione di sussistenza del paese, l’aiuto di emergenza è arrivato con il contagocce, nella regione della costa del Sud, dove predomina l’agricoltura estensiva per l’esportazione il governo ha inviato prontamente la protezione civile e ha offerto già aiuti economici.
Esemplare è la storia del contadino Valentín González, che ha perso tre familiari nella tragedia, mentre si trovava nella capitale al momento della catastrofe. Tornato rapidamente a Santa Lucia, la cittadina prossima al suo villaggio, doveva procurarsi una canoa per raggiungere i suoi familiari e concittadini; ma la municipalità, l’unica a possederne una, non gliene ha concesso l’uso e così Valentín ha dovuto costruirsela con le proprie mani con le foglie di banano prima di potersi dirigere alla comunità che, al suo arrivo, era distrutta e abbandonata a se stessa. I sopravvissuti di Porto Barrio per giorni si erano sfamati solo mangiando banane.
A Panabaj i lavori di riscatto delle vittime sono stati abbandonati. Si stima che gli abitanti di questa cittadina, 1400 persone circa, siano stati travolti da una frana di fango e pietre. Panabaj non solo è stata dichiarata inabitabile ma è ufficialmente scomparsa con la sua miseria, senza lapidi né epitaffi. Verrà ricoperta di cemento e diventerà un cimitero.
C’è chi spera che l’uragano Stan, dopo le morti e le distruzioni, porti con sé almeno un piccolo seme di speranza per l’interesse finalmente risvegliato nella comunità internazionale. Ma per i morti, i dispersi, i senza tetto, gli abbandonati, tutto questo è solo demagogia.
*Femminista e volontaria cooperante, ha viaggiato in molti paesi del Sud America lavorando con diverse ONG in progetti di cooperazione a favore di donne e con Istituti di cultura e università
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