Giovedi, 11/05/2017 - Durante una trasmissione televisiva della passata settimana, Storie vere di Rai 1, sono state rese pubbliche alcune risultanze degli esami autoptici a cui è stato sottoposto il cadavere di Valentina Milluzzo, la giovane donna deceduta il 16 ottobre scorso presso il reparto di ostetricia e ginecologia dell’ospedale Cannizzaro di Catania dopo oltre due settimane di degenza. Con lei morirono anche i due gemelli che portava in grembo e la Procura della Repubblica, in conseguenza della denuncia dei familiari, nominò i propri consulenti perché si facesse chiarezza sulla vicenda. Veniva, difatti, contestata dai congiunti di Valentina una presunta negligenza dei sanitari, che avrebbero invece dovuto salvaguardarle la vita. Nello specifico i familiari accusarono i medici di non essere intervenuti finché i bambini portati in grembo da Valentina erano vivi, perché i sanitari erano obiettori di coscienza.
In quel reparto di ostetricia e ginecologia, difatti, i dodici medici strutturati sono tutti tali e Francesco Castro, marito della giovane donna, così dichiarò nell’immediatezza della sua morte al riguardo di un ginecologo a cui si era rivolto per chiedere di alleviare le sofferenze della moglie: «Lo ha detto a me, a me personalmente. Erano le 8 di sera, mia moglie urlava dal dolore da quasi dodici ore. Quando ho chiesto al medico di aiutarla, di fare qualcosa, mi ha risposto: “Sono un obiettore di coscienza. Non posso intervenire fino a quando c’è un battito di vita”». Egualmente il padre di Valentina raccontò: " Le ore passavano e mia figlia chiedeva aiuto, voleva che la sedassero, non ne poteva più di soffrire. Per ore ci hanno lasciato fuori dalla porta senza darci notizie. Solo dopo tantissimo tempo ci hanno detto che era grave, ma noi non avremmo mai creduto che Valentina rischiasse la vita, perché nessuno ci ha tenuto al corrente".
Di contro all’epoca il direttore generale dell’ospedale Angelo Pellicanò specificò che la morte della donna sarebbe stata da ascrivere ad una “sepsi con crisi emorragica dovuta ad infezione”. Anche il Ministero della Salute contestualmente inviò i propri ispettori all’ospedale Cannizzaro, periti che, a differenza di quanto sostenuto dai familiari di Valentina, dichiararono che non si fosse trattato di alcun caso di obiezione di coscienza da parte dei medici che l’avevano in cura. Anzi parlarono di “trattamento adeguato dal momento del ricovero fino al suo decesso” (fonte La Stampa) spingendosi, nella relazione finale fornita dopo pochi giorni alla ministra Lorenzina, a suggerire alcune raccomandazioni quali “l’implementazione di protocolli operativi sintetici e mirati alla pronta individuazione delle situazioni a rischio” (op. cit.).
La Procura, che nel prosieguo aveva iscritto nel registro degli indagati dodici medici del nosocomio catanese, conferì l’incarico a tre consulenti per effettuare l’autopsia, il medico legale Gian Luca Marella, l’infettivologo Antonio Volpe ed il ginecologo Carlo Ticconi. Decorso il termine entro cui in un primo momento dovevano essere depositati i risultati i specialisti chiesero una proroga, che fece slittare al mese di marzo il deposito dei referti. Venutone a conoscenza, i genitori di Valentina, Salvatore e Giusi Milluzzo, pochi giorni fa si sono recati a Storie vere, per renderli noti all’opinione pubblica. Dalle risultanze degli esami autoptici si evince che la figlia sia deceduta per: “mancato tempestivo riconoscimento della sepsi; mancata instaurazione tempestiva di antibioticoterapia efficace; mancata raccolta di campioni per gli esami microbiologici; mancata tempestiva rimozione della fonte d’infezione (feti e placenta); mancata somministrazione di unità di emazie lavate durante l’intervento del 16 ottobre 2016”.
Il procuratore della Repubblica a Catania, Carmelo Zuccaro, nei giorni immediatamente successivi alla morte di Valentina Milluzzo, dichiarò che l’obiezione di coscienza fosse un fatto secondario perché, a suo dire, “l’aspetto più proficuo sotto il profilo investigativo è un altro e riguarda cosa è stato fatto o non è stato fatto nei diciassette giorni di ricovero”. Alla luce dei tanti ”mancato/a” presenti in quei riscontri dell’autopsia e che in ordine logico parrebbero coinvolgere più sanitari, perché non mettere nel conto anche la circostanza che l’obiezione di coscienza determinasse le condotte sanitarie in quel reparto di ginecologia, come ha affermato Giusi Milluzzo nella trasmissione televisiva? Si tratterebbe solo di negligenze da imputare ai medici che hanno avuto in cura la donna per ben 17 giorni prima della sua morte avvenuta in reparto? Oppure si potrebbe desumere che le mancanze evidenziate da parte dei consulenti della Procura della Repubblica configurino un caso di malasanità?
Giusi Milluzzo davanti alle telecamere si è comportata come una leonessa nel controbattere ai commentatori presenti nello studio televisivo, per onorare la verità dei fatti sulla tragica morte della figlia. Non dimenticherà mai quell’invocazione straziante di Valentina, dopo ore di sofferenza: “Mamma sto morendo”. Come non potrà scordare neppure la risposta rassicurante che da madre impotente dovette dare alla figlia: Non si muore di parto”. Entrambi i genitori a Storie vere hanno puntualmente replicato a quanti ancora sostengono che l’evento sia soltanto un paventato caso di malasanità. Possano i giudici valutare obiettivamente l’episodio, perché la Verità e Giustizia chiesta a viva voce dai familiari di Valentina non abbia solo il fine di onorare la vicenda personale di quella vittima indifesa, ma valga anche per quanti non hanno potuto denunciare casi analoghi nel passato e soprattutto perché per il futuro non abbiano più a succedere analoghi decessi in una corsia ospedaliera. Perché di parto o aborto non si debba morire.
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