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Carla Mussi - La fiaba della poesia

Carla Mussi - La fiaba della poesia

- Una scrittura dove la magia cede il passo alla scoperta di una realtà feroce e inquieta

Benassi Luca Venerdi, 27/02/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2015

Carla Mussi è nota soprattutto come scrittrice di racconti (“La vera morte del pesce viola”, Edizioni Gazebo, Firenze 2000) e per rade apparizioni in antologie e riviste. Adesso esce allo scoperto come autrice di poesia, grazie al prestigioso premio Astrolabio che ha classificato al secondo posto la silloge “il cattivo dono”, pubblicata da edizioni Puntoacapo nel 2014, con una postfazione di Valeria Serofilli. Il libro rivela una poetessa acuta, dotata di rara perizia per un’esordiente, la cui scrittura si muove sui terreni della fiaba e del racconto, nei quali la magia del favoloso si innesta nell’amara scoperta di una realtà feroce e inquieta. Non è un caso che i testi rimandino, soprattutto nella prima parte del libro, a Pinocchio e all’illusione di un paese nel quale il gioco e l’allegria mostrano la doppia faccia dell’ignoranza e della derisione. Non manca, infatti, un continuo ricorso al sarcasmo e all’ironia, che a volte trascende in un grottesco dai toni alterati, vicino all’illusionismo del capolavoro di Collodi, senza mai arrivare ad una resa incondizionata, ma, come osserva Serofilli, “con versi secchi e graffianti, non privi di una certa aggressività, dai quali emerge sempre la forza della parola, con quella consapevolezza anche del proprio male.” Si veda il testo di chiusura dove la ‘fine’ è resa in modo spiccio, attraverso il ricorso alla metafora scacchistica declinata in una manciata di versi brevi, fulminanti, attraverso una logica quasi matematica, di una consapevolezza che non lascia scampo, ma che allo stesso tempo segna una resa scelta e non subìta: “è mancato l’alfiere/ il cielo si è preso la torre/ ha mangiato la regina/ vacilla il re/ quel che fatto è fatto/ mi arrendo/ scacco matto.” Questa poesia si dipana in una serie di quadri o fotogrammi, debitori dell’esperienza narrativa, che spostano continuamente il punto di vista, l’assetto dell’osservazione, con esiti stranianti: è questo lo stratagemma per risolvere una centralità dell’io alle prese con le aporie di un’esistenza che si percepisce inquieta, in un continuo movimento di discesa e risalita, ma che tende al metafisico, al dialogo con un dio da amare, sfidare, accusare. Più di tutto Mussi crede nella parola, nella sua forza, nel suo essere terreno di caccia, di confronti, di vita; una terra di esilio come diceva Celan, nella quale tuttavia trovare la verità di se stessi: “in ogni parola nascondersi/ in ogni parola mostrarsi/ vacillare al soffio/ delle sillabe/ e sulle corde vocali/ arrampicarsi fino alle dita/ essere il soffio/ conoscere un luogo/ senza dimora/senza decenza.”






BOX 1



Il premio



Quando potrò scavare

nel campo dei miracoli

non troverò

le mie monete d’oro.

Nella terra profonda

tra i semi, tra radici,

luccicherà il coltello

e fremerà alla luce.

Sobbalzeranno prive di pietà

nel cuore, come un tonfo,

la mia credulità

e il mio trionfo.







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