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Carcere ‘aperto’ per conquistare la libertà

Carcere ‘aperto’ per conquistare la libertà

Rebibbia - Breve viaggio nell’istituto di pena più grande in Italia dei sei esistenti con un’organizzazione che gestisce in modo autonomo progetti e risorse.

Maria Fabbricatore Lunedi, 31/03/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2014

Abbiamo visitato il carcere femminile di Rebibbia, il più grande in Italia dei sei esistenti con questo tipo di struttura autonomo. Sono poco più di 400 le detenute in una struttura che comprende anche una sezione ad alta sicurezza. L'Istituto ha servizi di eccellenza, come il nido per i bambini. La legge prevede che da zero a tre anni i bambini stiano dentro con le madri. Il servizio gestito dai volontari di “A Roma, insieme Leda Colombini”, unico in Italia, porta i bambini dal carcere ai nidi esterni dalle 8 alle 16. La piccola sezione, la cui capienza è di 18 bambini, ricorda più un nido vero e proprio che un luogo di detenzione. Si punta molto sulla scolarizzazione e infatti al momento della nostra visita vediamo solo qualche piccolo giocare in braccio alla mamma: la maggior parte è negli asili comunali. La ludoteca è a dimensione di bambino e accogliente per fare in modo che la visita alla mamma in carcere non sia vissuta con senso di vergogna. 
 

La gestione del carcere tiene molto al fatto che sia una struttura “aperta” e da oltre vent'anni dalle otto alle venti alle detenute è permesso girare liberamente all’interno dell’istituto, ovviamente se ci sono dei motivi. Visitando il carcere insieme alla vice direttrice Gabriella Pedote, ci è capitato di incontrare le detenute che camminavano tranquillamente nei corridoi e la salutavano, per chi come noi non conosceva, faceva fatica a volte a distinguere il personale dalle detenute. I giardini presenti nella struttura sono tanti, uscendo da un padiglione all'altro ci sono angoli di verde tenuti benissimo. “È merito delle detenute che si occupano del verde. Teniamo molto al fatto che ognuna impegni il tempo in modo costruttivo. Il lavoro è importante, perché aiuta a ritrovare fiducia in se stessi. Prevediamo molti progetti, anche dall'esterno, attraverso le associazioni di volontariato, che coadiuvano il lavoro che noi facciamo dall'interno”, ci dice Ida Del Grosso, che da un anno è la direttrice, ma che ha lavorato per vent'anni come vice nello stesso Istituto. 



Un giardino - con gazebo, sedie e tavoli - si nota in particolare fuori dalla finestra del suo ufficio dove le detenute, d’estate, incontrano i figli che vengono a far loro visita. Le esperienze delle detenute sono tante e qualcuna, particolarmente eclatante, è rimasta nella memoria. Molte si sono salvate da un destino segnato, qui in carcere la vita non è facile, mai. Ci sono i figli fuori che aspettano che le madri tornino, la lontananza da loro è il dolore più grande. La biblioteca conserva circa 10.000 volumi, le detenute trascorrono lì molto tempo a leggere e spesso si organizzano incontri con gli autori con i quali si discute del libro appena letto. Nel teatro sono stati fatti spettacoli anche con le detenute di massima sicurezza. Il loro coinvolgimento emotivo è stato altissimo, soprattutto quando in sala erano presenti i familiari. “La funzione della pena è rieducativa - spiega la direttrice - e il carcere deve tendere al recupero del condannato. Gli strumenti servono perché le detenute possano capire lo sbaglio e migliorarsi”.#foto5dx#

 

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