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Cancro. E alle donne giovani chi ci pensa?

Cancro. E alle donne giovani chi ci pensa?

Parliamo di bioetica - Il cancro al seno è una brutta bestia. Addomesticata

Macellari Giorgio Martedi, 27/03/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2012

Questo cancro al seno è davvero una brutta bestia. Ma, tutto sommato, ormai sappiamo come addomesticarla. Avrà anche i suoi bisogni d’infiltrarsi nel corpo di una donna, a partire dalle sue mammelle, ma se lo si aggredisce in tempo non ce la può fare - oggi, in media, siamo noi i più forti. Il discorso cambia - e si fa un po’ più difficile - se vogliamo inquadrare la faccenda dal punto di vista della donna giovane. Sarà che le donne giovani sono più complicate, capricciose e imprevedibili, di fatto anche nei confronti di questo problema ci si trova di fronte a qualche ostacolo in più.

Tanto per cominciare, qual è la donna giovane? Non c’è una definizione condivisa, in materia. E poi, parlare d’età con le donne è sempre antipatico. Ma qui non possiamo farne a meno. Così, un po’ arbitrariamente, definiremo, “giovane” la donna che non ha ancora raggiunto i 45 anni. Perché proprio 45? Prima di tutto perché, almeno in Emilia Romagna - regione sotto questo profilo all’avanguardia - lo screening mammografico comincia proprio a questa età (nelle altre regioni si parte ancora dai 49 anni). Poi perché si tratta di donne ancora fertili, quindi con problematiche speciali. Ancora, perché le loro mammelle - rispetto a quelle “over” - sono più spesso“dense”, dunque più difficilmente indagabili con la visita e la mammografia. Ma la cosa che maggiormente preoccupa è il dato epidemiologico: dall’inizio del nuovo millennio, proprio nella fascia d’età fra i 30 e i 45 anni, si è registrato un incremento di incidenza della malattia del 18%. Una cifra che fa riflettere.

Ma non è tutto. Le forme di carcinoma mammario giovanili sono anche più minacciose, rispetto a quelle che insorgono in menopausa. La ragione sta in parte nella maggiore aggressività biologica di alcuni tumori che colpiscono le donne giovani (marcati da una specifica componente genetica), ma soprattutto nel ritardo con cui queste donne giungono alla diagnosi, ritardo a sua volta giustificato proprio con ciò che si diceva poc’anzi: mancanza di appelli mediante screening, ingenuità, distrazione, paura. E questo fa sì che le lesioni vengano trattate in una fase mediamente più avanzata.

Stando così le cose, si capisce facilmente come mai anche le cure di queste forme tumorali saranno più agguerrite. Non ci si riferisce tanto al trattamento chirurgico, che può essere conservativo nel 70% dei casi (dunque in linea con quanto accade nelle altre età). Nemmeno alla radioterapia che, in genere, non si discosta dai protocolli tradizionali. Ci si riferisce piuttosto alle cure adiuvanti, cioè alla chemioterapia e all’ormonoterapia. La prima, quando indicata, è abitualmente aggressiva e comporta con molta frequenza la perdita dei capelli (forza però! poi ricrescono, più belli e più forti di prima). L’ormonoterapia, per quanto non sia in sé “cattiva” (le donne in menopausa la tollerano con una certa disinvoltura), si accompagna tuttavia alla cessazione del ciclo mestruale. Che, per una donna giovane, significa un ingresso brusco e indelicato in una menopausa inaspettata, con tutte le conseguenze possibili: instabilità emotiva, difetti cognitivi, ridotta concentrazione, cambiamenti nell’attività sessuale, depauperamento della qualità di vita. Insomma, una serie di disagi che, passando attraverso la vita intima della donna, rischiano di ripercuotersi anche su quella familiare, relazionale, sociale e professionale. A ciò può aggiungersi la frustrazione di un progetto di maternità per le donne che ancora non hanno avuto figli. Ma per quanto riguarda quest’ultimo, delicatissimo, aspetto, le note positive sono almeno due. La prima: la donna, se lo desidera, può farsi prelevare un frammento di tessuto ovarico, farlo congelare per conservarne la funzione e farselo reimpiantare al termine delle cure, in modo da tentare una gravidanza. La seconda: le gravidanze dopo il cancro sono non solo possibili, ma addirittura raccomandate, poiché sembrano rivelare un effetto protettivo sulle recidive (in ogni caso, è certo, male non fanno).

Come si vede, i problemi per la donna giovane sono tanti. Cosa si può fare, allora, per contenerne il maggior peso? Come si sa, non siamo in grado - almeno oggi - di prevenire i tumori al seno (in qualsiasi fascia d’età). Ci dobbiamo “accontentare” di una diagnosi precoce, cioè di andare a cercare attivamente il tumore quando ancora è di piccole dimensioni, dunque guaribile.

Proprio qui sta il problema. Se questa strategia è facilmente applicabile alla donna più matura (non solo inclusa negli screening mammografici, ma anche più attenta e disponibile a sottoporsi agli esami consigliati), la questione cambia con la donna giovane. La quale, proprio perché nessuno si preoccupa di mandarle a casa un pro-memoria per ricordarle di sorvegliarsi periodicamente, è indotta a credere di essere immune dalla malattia, di esserne in qualche modo esentata: “se non mi avvertono” - così pensa - “allora vuol dire che non mi riguarda”. Il principale intervento da fare, dunque, è di ordine comunicativo e psicologico: non bisogna terrorizzare (tutto sommato, il carcinoma mammario nella giovane resta poco frequente), ma informare con chiarezza sì. E allora il consiglio è semplice: a partire dai 30 anni è raccomandata un’ecografia insieme a una visita senologica, con una cadenza annuale o, al massimo, biennale; dai 40 in poi si dovrà aggiungere una mammografia.

In questo sforzo comunicativo e di vicinanza con le donne giovani, tuttavia, i medici non possono lavorare da soli: anche la collettività, le istituzioni e i media debbono farsi carico di questa campagna di sensibilizzazione, magari anche con il semplice strumento della sollecitazione, diretta e capillare, del porta-a-porta.



*Direttore Unità Operativa di Senologia, Azienda USL di Piacenza





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