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Cambiare come forma di consumo e non di consapevolezza: vi presento l’individualismo

Cambiare come forma di consumo e non di consapevolezza: vi presento l’individualismo

Ricordo un pezzo molto interessante scritto da Umberto Galimberti sull’individualismo

Giovedi, 12/05/2022 - Mi capita molte volte di sentire frasi che tendono a valorizzare l’idea di persona senza avere alcuna attenzione di fronte alla comunità: “leggo per alimentare il mio sentire, faccio ciò che sento, e agisco secondo il mio solo sentire”.
Ricordo un pezzo molto interessante scritto da Umberto Galimberti sull’individualismo, inteso come posizione morale che sconfina in una forma di egoismo, nella volontà del voler fare “ciò che si sente”, senza considerare gli interessi o le esigenze della collettività, in nome della propria personalità o anche del proprio egocentrismo.
Chi tende a fare “ciò che si sente” non si cura affatto degli altri soggetti sociali, ogni relazione amicale o affettiva sparisce di fronte al voler fare “ciò che provo”. E il dolore o la rottura che causa agli altri la scelta non mi appartiene. Anzi mi sottraggo ad ogni discussione o verifica dell’altro. Esiste solo il mio sentire.
Questo mi porta ad avere la possibilità di poter realizzare fantasie del momento, che domani saranno sostituite da altri sogni “mordi e fuggi”. Chi mi è accanto può essere persona o un qualsiasi oggetto da collezione. Mi creo una realtà conforme solo ai miei bisogni, sganciandomi da quelli della comunità o del mio nucleo affettivo.
Questo è l’Io-mondo nel quale io dispongo della felicità a portata di mano, di persone in quel momento utili, poi interscambiabili. Una visione consumistica degli affetti e dei progetti, revocabili quando si presenta una situazione più allettante, quando una identità può essere messa e dismessa secondo le situazioni; in questo modo ci sfugge il racconto della persona, il racconto della Storia. Al suo posto è subentrato l’individualismo dai mille volti che non si esprime in una biografia, ma in una serie di specchi attaccati fra loro alla rinfusa. L’immagine che ne esce è sfuggente e danneggiata, l’animale sociale è solo e si bea di se stesso. Ma è questa la vera felicità?
Elena Manigrasso

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