Cambiamenti? Solo per amore. Tra crisi e decrescita / Conversazione con Daniela Degan
Ma cos’è questa crisi / 1 - "Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un pazzo." Oppure un economista. Kenneth Boulding, economista
Angelucci Nadia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2009
Anche chi è meno informato sa che la crisi finanziaria globale che stiamo vivendo ha avuto la sua origine negli ormai tristemente noti mutui subprime statunitensi. Le banche statunitensi hanno concesso finanziamenti a soggetti senza richiedere le basilari garanzie di restituzione del debito né indagare se tali soggetti fossero in grado di restituirlo, difendendosi dal rischio solamente con la
possibilità di rivalersi sul debitore in caso di insolvenza. Ma la mancata restituzione dei prestiti e lo scoppio della ‘bolla’ immobiliare del mercato americano (il sensibile calo dei prezzi delle case ha avuto come conseguenza che molte persone si sono ritrovate con un debito superiore al nuovo valore dell’immobile acquistato), verificatisi in contemporanea all’aumento dei prezzi dell’energia e dei beni di consumo primari, hanno trascinato le banche ed i cittadini verso la crisi, costringendo il governo ad intervenire con misure finanziarie di salvataggio per evitare la bancarotta di grossi istituti e il ridimensionamento o fallimento di molte imprese produttive (es. le case automobilistiche) con conseguente perdita di numerosi posti di lavoro. C’è da aggiungere che la crisi ha colpito direttamente anche tutti gli investitori e i mercati che hanno acquistato i prodotti contenenti i prestiti inesigibili, molto diffusi perché appetibili dato che erano stati collocati con un rendimento assai elevato. L’ondata di nervosismo e pessimismo, letale per le borse, ha travolto, come nel gioco del domino, tutti i mercati finanziari mondiali e rischia di travolgere l’economia reale già colpita dalla diminuzione di liquidità e dalla minor capacità di consumo della popolazione soprattutto nei paesi più ricchi.
La crisi dei mutui statunitensi ha mostrato chiaramente e in tutta la sua portata una realtà che da tempo era sotto gli occhi degli analisti senza che, tuttavia, avesse ancora mostrato la sua potenza devastante: dalla metà degli anni ´90 l’economia USA e dei paesi occidentali è entrata in una
fase di stagnazione. I tentativi fatti dai governi per fronteggiare a questa impasse, ci hanno portato alla situazione attuale: la concessione di finanziamenti ‘facili’ infatti è stata una strategia messa in atto proprio per tenere in piedi il motore in difficoltà del sistema basato su credito-consumo-produzione-crescita. Così facendo la maggiore economia mondiale si è indebitata sia con le istituzioni pubbliche, diffondendo obbligazioni e buoni pubblici acquistati soprattutto dalla Cina e altri paesi asiatici o mediorientali petroliferi, sia favorendo i crediti ‘facili’ (carte di credito e mutui senza garanzie) che hanno fatto indebitare i cittadini. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Oggi il sistema finanziario crolla a gran velocità in contemporanea con il verificarsi di altre crisi: quella climatica e quella energetica.
Negli ultimi venti anni si è imposto a livello mondiale un modello economico basato sul monetarismo che, ribaltando le ricette keynesiane che pur avevano ben attutito gli effetti negativi del capitalismo, prevede il ridimensionamento del sistema pubblico, e quindi del welfare, attraverso le privatizzazioni e una liberalizzazione commerciale globale supportata dagli strumenti finanziari. Questo avrebbe dovuto garantire maggiori risorse per il consumo e, di conseguenza, una maggiore crescita. Le prime avvisaglie della crisi sono state frenate con le guerre degli ultimi anni che hanno risposto, oltre che alla necessità di reperire risorse energetiche, anche al bisogno economico di supportare l’industria bellica rivalutando così, anche con la presidenza di Bush, il keynesismo nella sua variante militare.
È sempre più evidente che questo modello economico globalizzato e la teoria secondo cui l’aumento dei consumi, favoriti dall’abbassamento dei costi e dai prestiti, garantiranno una crescita continua del PIL (Prodotto Interno Lordo) e consentiranno a tutti di raggiungere gli standard di benessere materiale degli stati più ricchi, non riflette adeguatamente la realtà che ci circonda.
L’esaurimento delle risorse energetiche e naturali a cui stiamo andando incontro a gran velocità, invece, prospetta condizioni future ancora peggiori.
Ma quali sono le possibili vie d’uscita da questa crisi? Si parla di crisi sistemica, cioè di crisi dell’intero sistema economico, ma le soluzioni che sono state messe in campo finora per arginare la recessione sono tutte interne al sistema stesso.
La politica sembra prigioniera di un `fondamentalismo economico´ che le impedisce di vedere la realtà. Lo stesso Presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, ha riproposto la ricetta keynesiana del suo predecessore puntando, invece che sulle spese militari, sulle energie rinnovabili, ma confidando sempre in un sistema che continui a crescere. Questa prospettiva di sviluppo sostenibile coniuga la necessità di un rinnovato ruolo dello stato per fronteggiare la disoccupazione che sta dilagando e rivitalizzare i consumi, grazie a nuovi posti di lavoro e al sostegno all’industria ecologica, con il tentativo di fronteggiare la scarsezza di energia. Ma la strategia adottata potrebbe non essere risolutiva e, soprattutto se guardiamo il medio e lungo periodo, come molti analisti hanno rilevato, dopo una fase di crescita arriva la stagnazione e poi il declino. E mentre si lavora per porre un freno agli effetti distruttivi che l’attuale crisi avrà sul sistema economico-produttivo e, in particolare, sulla vita delle persone, sarebbe il caso di cominciare ad elaborare un pensiero forte su quello che ci aspetta.
Le risorse energetiche finora utilizzate non sono eterne e i loro prezzi saranno sempre più alti man mano che ci avvicineremo al loro esaurimento; la sostenibilità ambientale del nostro stile di vita è agli sgoccioli. Il ripensare al modello economico non è più la speculazione elitaria di un gruppo ristretto di intellettuali ma un obbligo che ci coinvolge tutti, a partire dalla messa in discussione del nostro stile di vita. Due sembrano essere le strade: rassegnarci a vivere in un mondo in cui una ristretta minoranza vive sulle spalle della maggioranza ma questo ci condannerebbe ad una perenne guerra su più fronti con l’obiettivo di reperire risorse per mantenere il nostro stile di vita. Oppure ripensare quest’ultimo nelle sue fondamenta.
CAMBIAMENTI? SOLO PER AMORE
conversazione tra crisi, decrescita e pensiero femminile con Daniela Degan, Rete Lilliput-Nodo di Roma e promotrice del Laboratorio Itinerante per la decrescita
La qualità di vita di un individuo passa anche attraverso la possibilità di fare una pausa pranzo degna di questo nome. Daniela Degan lo sa benissimo e quindi ci incontriamo a casa sua, dove, davanti a prodotti freschi del territorio, facciamo una chiacchierata sulla crisi economica e sul progetto sociale e politico alternativo alla società della crescita.
“Spiegarti cosa intendiamo per decrescita non è semplice perché non parliamo di un modello economico in senso classico. Non dà soluzioni valide per tutti in ogni luogo. Cerca invece di offrire degli strumenti e di trasmettere stili di vita che non sono omologati ma creati dai territori e dalle comunità. Propone un punto di vista che ritiene fondamentale riappropriarsi dello spazio e del tempo di ciascuna e ciascuno che viene valorizzato e qualificato. Rappresenta una ricerca, ‘un’utopia concreta e necessaria’.”
La decrescita, quindi, non vuole essere una soluzione alla crisi economica ma piuttosto una ipotesi per promuovere un tentativo creativo di rompere la retorica della crescita economica senza limiti verso un supposto sviluppo i cui risultati, in termini di distruzione ambientale, cambiamento climatico, accumulazione dei rifiuti sono sotto gli occhi di tutti. “L’ansia sviluppista degli ultimi decenni ha lasciato indietro l’ascolto dei bisogni primari e necessari, delle tecniche e dei saperi tradizionali, la capacità di decidere nella libertà l’uso delle risorse. E un numero sempre crescente di persone si ritiene insoddisfatto della propria qualità di vita e della corsa alla crescita infinita a cui sembriamo condannati. Non basta più calcolare il PIL (Prodotto Interno Lordo) che è solo sinonimo di crescita economica e non riflette assolutamente l’interezza della persona. Bisogna tornare ad un principio di benessere e quindi basarsi sul proprio BIL (Benessere Interno Lordo). Il mio si fonda su tre indicatori: il tempo sottratto alle ‘molte cose da fare’ perché deciso di vivere con profondità, tra i sorrisi dei bambini, i dolci pensieri delle amiche e l'aria selvaggia della natura; tutti i sogni, le immagini, le creazioni dell'ingegno, dell'arte, della terra, delle tessiture di reti, i giochi delle molte donne sibille che abitano ancora i boschi fatati; la valorizzazione dell'ascolto attivo, empatico e amicale quale stimolo del vivere ed agire la nonviolenza a favore di un mondo colorato di pace”. E il discorso si sposta inevitabilmente su un’altra passione, quella per il pensiero e il vissuto femminile, che possono mostrare delle concrete indicazioni per il futuro dell’umanità. “Contemporaneamente all’impegno nel movimento per la decrescita, ma in un certo senso anche in strettissima unione con quella elaborazione, sto portando avanti uno studio sulle civiltà preistoriche e il ruolo del femminile. È l’analisi di una società egualitaria e solidale che è esistita ma che la storia non ci ha raccontato. Siamo abituati a far iniziare lo studio sistematico della storia a partire dagli assiri e da lì in poi le figure fondamentali sono gli eroi, i guerrieri e poi i re. Invece delle archeologhe, in primis Marija Gimbutas, hanno avuto l’intuizione di andare a studiare le società del neolitico nella quale i reperti archeologici ci dicono che è esistita una società matrilineare e matrifocale nella quale il ruolo delle donne non era ancora quello imposto dal sistema patriarcale. Si tratta di società fondate sul principio della solidarietà, della nonviolenza in cui non esistevano la gerarchia, l’autorità, il principio dell’accumulazione e si rispettavano le risorse. Il mio immaginario mi porta a credere che, se questo è stato, se l’umanità è stata in grado di vivere senza l’aggressività, è ancora possibile trovare una giusta distanza dalla guerra e dalle violenze degli uomini su altri uomini e su tutte le donne. Riane Eisler, un'antropologa, storica e saggista statunitense, ha coniato il termine gilania che nasce dal legame delle parole donna (guné) e uomo (anér): si tratta di una società evoluta, non più matriarcale e non ancora patriarcale, organizzata in un sistema non gerarchico e che era in grado di sviluppare delle tecnologie al servizio degli individui senza conoscere le armi. Sapere che questo, nel passato dell’umanità, è stata la realtà di vita quotidiana mi porta ancora più fortemente a credere che c’è bisogno della consapevolezza degli individui di farsi carico di questa necessaria e straordinaria trasformazione altrimenti per il genere umano si prospetta solo l’imposizione e la persona sarà completamente schiacciata dai consumi. La crisi diventa quindi solo una interruzione della ossessione del consumare illimitato e di conseguenza una occasione preziosa (di portata storica, direi, vista la necessità urgente di salvare il pianeta dall’uso smisurato delle risorse naturali) per reintrodurre una visione al femminile nei tanti modelli di evoluzione pacifica (non di ripresa dello sviluppo che macina la natura invece di osservarla e goderla) che dobbiamo, come genere umano, ricreare e reintrodurre al posto della ‘megamacchina’, se vogliamo salvare quel che resta dell’unico pianeta che abbiamo a disposizione. Come dice Serge Latouche, ‘Sarà per amore o non sarà’.” (Contatti mail: degadan@hotmail.com)
ELEMENTI E PRINCIPI PER UN MODELLO ALTERNATIVO
A. Recuperare la drammatica situazione ambientale
• La Terra è un pianeta limitato
• Perseguire la ricostituzione dei cicli biologici
• Salvaguardare la capacità di riassorbimento
• Perseguire usi multipli di ogni risorsa naturale limitata
• La conservazione delle risorse naturali
• La riconquista della percezione degli elementi costitutivi della natura
• Il reinserimento dell’uomo nel ciclo del carbonio
• Il principio di precauzione
• La conversione all’ambiente di produzioni e consumi
• La riprogettazione degli oggetti artificiali
• Adeguare i bisogni alle dimensioni del pianeta
• Elaborare un modello per ogni cultura
B. Modificare la struttura dei consumi
• Riutilizzare al massimo le materie prime già estratte
• Usare in modo parsimonioso petrolio e gas
• Ridurre ‘utilizza degli oggetti di plastica
• Ridurre l’uso di energia ed acqua nelle produzioni industriali di beni di consumo
• Ridurre il contenuto di rifiuti in ogni oggetto
• Ridurre le esigenze di imballaggi
• Riprogettare gli oggetti dannosi per l’ambiente
• Aumentare la produzione di oggetti biodegradabili, riciclabili, riutilizzabili
• Ampliare al massimo le produzioni agricole biologiche e similari
• Bloccare il processo di omogeneità genetica, recuperare semi e varietà originali
• Bloccare all’origine polveri sottili e particelle metalliche nell’aria e nel suolo
• Modificare le dinamiche che creano i mega agglomerati urbani, moltiplicando le infrastrutture di uso comunitario
C. Modificare le occasioni di lavoro come attività umana non dipendente da retribuzione
• Utilizzare anziani esclusi dal sistema per formazione e passaggio conoscenze
• Sostenere le attività di tipo alternativo solidale volte alla creazione di posti di lavoro e di riprogettazione
D. Riconquistare e moltiplicare le attività di relazione
tratto dai laboratori dal materiale del Laboratorio Itinerante della Decrescita
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